Enzo Bianchi "La fatica del corpo e la forza di Pietro"
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L'ultimo suo messaggio a mezzogiorno di Pasqua è stato un accorato appello alla pace. L’ultimo suo gesto una benedizione urbi et orbi come una benedizione per la chiesa e per il mondo è stato il suo pontificato. Veramente un congedo solenne da parte di chi ha fatto il Papa fino alla fine. E poi, nel lunedì che prolunga liturgicamente il giorno di Pasqua, Francesco è morto, lasciando questa terra che tanto ha amato.
La chiesa da alcuni mesi seguiva le difficili vicende della sua salute, sapendo che Francesco era comunque sempre il Papa, in ogni condizione fisica. Perché il Papa è il successore di Pietro e ciò che lo rende tale non sono gli atti, l'agire più o meno efficace, ma il suo essere costituito Pietra della chiesa fintanto che è in vita. In questi ultimi giorni si è parlato troppo e spesso a sproposito del ministero papale, se per esercitarlo fosse indispensabile l'eloquenza, la forza e la salute, dimenticando che Pietro è rimasto la Pietra della chiesa anche incarcerato, impotente, senza comunicazione verbale con i cristiani. Ma tra Pietro e la chiesa c'era comunione più che mai nella sofferenza e nella preghiera. E poi i cattolici vigilino sul rischio della papolatria. Chi conduce la chiesa è lo Spirito santo, sempre presente e operante anche quando Pietro è ridotto all'impotenza, anche quando viene a mancare, perché anche lui è un uomo che conosce la morte.
Papa Francesco è giunto alla morte dopo una lunga malattia in ospedale e poi nella sua residenza a Santa Marta vivendo tutta la debolezza di noi umani, fragili e mortali. Da vecchio e malato non più autonomo ha accettato che altri lo vestissero, altri lo portassero, altri lo guidassero nel camminare. E, come dice la profezia di Gesù a Pietro, anche Papa Francesco è stato portato dove lui non voleva andare. Parole che racchiudono un mistero che però si compie: sì, anche Francesco da vecchio ha dovuto piegarsi e andare con la chiesa dove non voleva andare. Mistero della sofferenza di ogni papa veramente cristiano che sa vedere il suo primo posto nella chiesa, la sua prima e grande autorità, ma anche il suo doversi piegare dietro a un gregge che non sempre lo segue. Si dice ormai di Papa Francesco che è un Papa incompiuto, che ha aperto solo processi e non li ha portati a compimento, che ha indicato mete ma non ha percorso tutta la strada per giungervi, che è stato anche una delusione per chi aveva sperato in una vera riforma della Chiesa.
Ho conosciuto bene — posso dirlo — Papa Francesco, con me ha avuto molta confidenza e mi ha aperto il cuore nei diversi incontri che ho avuto con lui. Era consapevole di ciò che non riusciva a compiere e della distanza tra lui, che cercava di seguire i segni dei tempi, e una parte della Chiesa cattolica. Certamente non prestava attenzione alla teologia del “resto d’Israele”, di quella porzione che solo Dio conosce e non coincide con il popolo, perché lui voleva che tutto il popolo di Dio fosse chiesa anche nella sua povertà e nella sua insufficienza. Per questo non amava la chiesa delle minoranze, a differenza di Ratzinger, perché era un uomo del popolo e solidale con il popolo fino alla fine.
Ci vorrà molto tempo prima di comprendere a fondo il magistero di Papa Francesco. Dalla sua apparizione alla loggia di San Pietro dopo l'elezione, quando chiese la benedizione del popolo di Dio anziché essere per primo lui a benedire, fino a quella epifanica apparizione in San Pietro nei giorni scorsi: Papa Francesco in carrozzella appariva nella realtà quotidiana di un uomo vecchio, calvo, sotto ossigeno avvolto in una coperta con pantaloni scuri e una maglietta bianca. Nessun trono, nessuna croce pettorale, nessuno zucchetto: il Papa spogliato di tutte le sue insegne e vestito come un comune cristiano. Vista la foto sui social mi è venuta alla mente la lettura del breviario in cui si racconta che il vescovo San Guglielmo da Vercelli (+1142) prima di morire si fece svestire dei suoi abiti pontificali e disse: “Ora finisce la scena e inizia la realtà!”