Vito Mancuso “La Festa e attorno il carico di morte. Solo dentro di noi troviamo speranza.”
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |

Davanti agli occhi del mondo ci sono gli orrori delle crisi, c’è il bambino di Gaza senza braccia. Il compito del pensiero non è solo registrare l’esistente, ma far fiorire la vita e cercare giustizia.
C’è una frase di uno dei più importanti fisici del Novecento, John Archibald Wheeler, che esprime al meglio la potenziale spiritualità che può nascere dal nuovo paradigma scientifico: «L’insegnamento più importante della meccanica quantistica è che i fenomeni fisici vengono definiti dalla domanda che ci poniamo su di essi». Da queste parole emerge la consapevolezza che la realtà nel suo livello più profondo non è come appare a un primo sguardo, ma dipende strettamente dall’intenzionalità che la guarda, perché, guardandola, la determina. Si tratta del potere costruttivo dell’osservatore. Viviamo, per riprendere sempre Wheeler, in un «participatory universe», in un universo partecipativo la cui realtà sostanziale dipende dal nostro livello di partecipazione. Ti interessa solo la materia? L’universo sarà materiale. Ti interessano anche i sentimenti e gli ideali? L’universo li rifletterà, anche solo per il fatto che anche tu sei parte dell’universo.
Nel suo libro più bello, La vita della mente, Hannah Arendt ha scritto: «Non è irrilevante notare come la parte immortale e divina nell’uomo non esista se non viene attualizzata e focalizzata su ciò che è divino fuori di lui»; e concludeva: «In altre parole, l’oggetto dei nostri pensieri conferisce immortalità al pensiero stesso». Possiamo ignorare del tutto la nostra dimensione immortale e divina e risultare «uomini a una dimensione», come profetizzava Marcuse nel suo celebre saggio L’uomo a una dimensione, con il sottotitolo “L’ideologia della società industriale avanzata”, particolarmente attuale oggi quando la nostra società è direi avanzatissima nell’appiattire l’umanità sull’unica dimensione del “lavoro, guadagno, pago, pretendo” che ci rende tutti pretendenti e in questo nostro pretendere inevitabilmente tesi, ipertesi, nervosi, cattivi. Ma la parte immortale e divina di noi può iniziare a esistere, se viene attualizzata e focalizzata su ciò che è divino fuori di noi. Che cosa è divino fuori di noi? Il bene, la giustizia, la bellezza, l’amore: insomma, la verità-primavera. Se ci focalizziamo su questo divino fuori di noi, la nostra dimensione immortale e divina si risveglia e risorge. Ecco la Pasqua, termine che significa “passaggio”, ed è esattamente il passaggio dall’appiattimento alla profondità umana il senso di questa festa antichissima, ebraica e cristiana al contempo, chiamata oggi a dilatarsi sulla Pasqua di tutti, credenti e non credenti, tutti semplicemente umani, risvegliati da questo passaggio a sviluppare le più profonde dimensioni dell’esistenza facendole risorgere dentro di sé.
Siamo cresciuti pensando che dentro di noi esistano solo illusioni, paure, incubi, rimozioni più o meno inconsce da cui guardarci a livello conscio. È giunto il momento di rivalutare filosoficamente la nostra dimensione interiore, pensando che quel desiderio di bene e di giustizia che talora vive dentro di noi non è un’illusione infantile ma è la nostra dimensione più vera, e che a partire da essa possiamo porre le domande giuste alla vita. Per domande giuste intendo quelle che consentono alla vita di rivelarsi a sua volta giusta e produrre giustizia. Se è vero infatti che l’insegnamento più importante della meccanica quantistica è che «i fenomeni fisici vengono definiti dalla domanda che ci poniamo su di essi», anche il fenomeno fisico della vita è definito dalla domanda che ci poniamo su di essa: e se la nostra domanda parte dal bene e dalla giustizia, anche la vita apparirà come bene e come giustizia. Viceversa, se cercheremo solo scontato e grossolano interesse, anche la vita si mostrerà infallibilmente come scontato e grossolano interesse.
Io credo che da qui possa scaturire una più autentica spiritualità, quella che colloca il suo centro vitale non in ciò che è esterno a noi (sacre scritture, riti, sacramenti, dogmi) ma nel cuore alla ricerca del bene e della giustizia. E vorrei aggiungere che probabilmente Gesù (il Gesù terreno così diverso dal Cristo della fede proclamato dalle varie Chiese) sarebbe stato d’accordo con questa visione, visto che egli da un lato insegnava a cercare il regno di Dio e la sua giustizia prima di ogni altra cosa, e dall’altro diceva che il regno di Dio è dentro di noi.
Vito Mancuso, La Stampa 20 Aprile 2025