Enzo Bianchi "L’uomo che parla alle querce"
di ENZO BIANCHI
per gentile concessione dell’autore.
Sovente la tradizione ebraico-cristiana è accusata di un esagerato antropocentrismo, le cui vittime
sono non solo gli animali ma tutta la Terra, sulla quale l’umanità agisce da padrona assoluta, nella
persuasione che la sua vocazione sia dominare il mondo. D’altronde, una certa lettura della Genesi,
prologo della civiltà occidentale, per secoli ha autorizzato l’uomo a dirsi culmine della creazione. Il
cristianesimo del secondo millennio ha coltivato una fede acosmica e ha concepito la natura, i
vegetali e gli animali come il contesto della sua affermazione.
L’attenzione si è focalizzata solo sull’uomo. Tommaso d’Aquino attesta: «Animali e piante non
hanno una vita razionale, sono servi secondo natura, fatti per l’uso da parte degli uomini». Per
Cartesio gli animali sono «macchine», ma sarà Schopenhauer a denunciare che «per il cristianesimo
è stato un errore aver separato l’uomo dal mondo degli animali al quale appartiene, considerando gli
animali solo cose». Le ragioni sono tante, dalla paura del panteismo alla volontà di demitizzare ogni
creatura, ma così sono state depotenziate le responsabilità e la custodia della Terra, vera madre
misconosciuta dai terrestri.
In verità, la Bibbia contiene anche altri messaggi. E pone l’uomo, fin dall’inizio del mondo, in una
comunità di creature, come co-creatura che condivide con gli animali la somiglianza, la solidarietà,
lo spazio, la sofferenza e il ritorno alla Terra. L’uomo non esiste senza il “suo” mondo e il mondo
esiste come luogo e dimora dell’uomo, degli animali e di tutte le creature vegetali e minerali. Perciò
l’uomo ha la vocazione a essere responsabile di tutte le creature, il loro custode, rispettandole e mai
dominandole. Né gli è stato dato alcun potere arbitrario e assoluto, né facoltà di sfruttamento della
Terra. Anche quando all’uomo è concesso di cibarsi della carne degli animali, lo potrà fare nel
rispetto della vita, non cibandosi mai del sangue ( kasher) che deve essere restituito alla Terra, in
attesa del regno messianico in cui non ci sarà più violenza. Mangiare kasher è riconoscere che
anche della vita degli animali non si è padroni.
Il mondo ha bisogno di rispetto e solidarietà tra co-creature, anche se ciò che vediamo contraddice
questo sogno. Dobbiamo esercitarci alla conoscenza di tutti gli esseri, imparare la contemplazione
della natura e lo sguardo che sa vedere come tutti insieme viviamo e ci salviamo. Se per paura
dell’idolatria panteista abbiamo desacralizzato la natura, il Vangelo ci dice che la speranza è “Dio
per tutti in tutti”, in una compassione cosmica e comunione universale. Umani, animali, vegetali e
la Terra hanno una vocazione alla vita e una dignità che va riconosciuta, nella consapevolezza che
noi umani siamo responsabili delle creature, le creature invece non possono esserlo per noi. Siamo
inquilini e non padroni! E gli animali sono nostri compagni di viaggio. Perché sono rari quelli che,
come Francesco d’Assisi, sanno parlare agli uccelli, ai fiori e alle querce?