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Ludwig Monti "GESÙ INSIDE OUT 1. Introduzione, gioia, stupore"

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Articolo per CREDERE 36/2021

Dossier su “Le emozioni e i sentimenti di Gesù”, settembre 2021

 

Ludwig Monti

Biblista

 

GESÙ INSIDE OUT

1. Introduzione, gioia, stupore

 

 

Le emozioni primarie

Vi sarà forse capitato di vedere Inside Out, un bel film di animazione di qualche anno fa. Magari lo avete proposto ai vostri figli piccoli o ai vostri nipotini. Poi piano piano vi siete appassionati anche voi, prima guardando distrattamente, poi sedendovi sul divano, infine, forse, pensando e ripensando a una storia non solo (o non proprio) per bambini. E magari applicandola alla vostra vita, ai vostri vissuti.

Per chi non sapesse di cosa si tratta, solo un breve riassunto della trama, una sorta di trailer in parole. Riley, una ragazzina di undici anni, all’improvviso si trova costretta a trasferirsi con i genitori dal Minnesota a San Francisco per via del lavoro del padre. Qui le emozioni di gioia, tristezza, paura, rabbia e disgusto entrano in gioco sotto la forma di pupazzetti animati dai colori e dagli atteggiamento diversi, caratterizzando i vari momenti della giornata di Riley. Attraverso questo stratagemma, accompagnato dalle varie vicende che scandiscono un anno della vita della ragazzina, Inside Out ci spinge a riflettere sull’importanza delle emozioni nella nostra esistenza quotidiana, “Dentro-Fuori” di noi.

Ora, dietro a questa semplicissima trama vi sono le teorie di Paul Ekman, uno dei più famosi psicologi contemporanei, il quale sulla base degli studi di Charles Darwin ha approfondito il tema delle emozioni e ne ha studiato il collegamento con le espressioni del viso. Egli è giunto così a individuare sei emozioni primarie, universali: per l’appunto gioia, tristezza, paura, rabbia e disgusto, alle quali va aggiunto lo stupore/sorpresa, che alcuni ritengono una mescolanza di gioia e di paura.

 

Gesù, uomo in tutto come noi

Ebbene, tutto questo ha qualcosa da dire alla nostra vita cristiana, cioè umana dell’umanità vissuta da Gesù Cristo? Ha scritto un grande teologo recentemente scomparso: “Ciò che Gesù ha di eccezionale non è di ordine religioso, ma umano … Ci è dato di vedere la luce di Dio riflettersi dalla sua figura umana su ogni volto umano e possiamo lasciarci guidare da essa fino a Dio sulle vie di umanità che Gesù ha tracciato” (Joseph Moingt). O ancora, ascoltiamo le parole di Romano Penna, nell’introdurre un bel libro sui sentimenti di Gesù:

 

Come poteva essere esente dalle passioni un uomo come Gesù di Nazaret? Certo nei suoi confronti è esistito (e forse esiste ancora) un giudizio, che lo esclude da una umanità ritenuta eccessiva. Ma si tratta nient’altro che di una tentazione monofisita, che considera indegna contaminazione mondana la condivisione da parte sua di ciò che è umano, magari considerato troppo umano! Eppure, come si esprimeva un antico adagio patristico, quod non est assumptum non est redemptum! E invece, Gesù ha assunto tutta intera la nostra umanità, compresi gli affetti che segnano tanto a fondo la nostra identità quotidiana.

 

Queste parole a prima vista difficili esprimono una verità fondamentale, in quanto fondamento della nostra fede: approfondire le emozioni e i sentimenti di Gesù significa prendere sul serio l’incarnazione, l’umanizzazione di Dio (cf. Gv 1,14), il quale ha voluto vivere dall’interno, in lui, la nostra umanità. Sì, Gesù è nostro fratello in umanità (cf. Eb 2,11): contemplare le sue emozioni, come ci vengono raccontate dai vangeli, significa conoscerlo meglio e, insieme, sentirlo vicino a noi nelle esperienze emotive che viviamo ogni giorno. Fino a comprendere che dalla nostra vita spirituale cristiana non possono essere escluse le emozioni umane. Al contrario, solo integrandole nel nostro rapporto con il Signore potremo andare a lui con tutta la pienezza della nostra persona.

Dedichiamoci dunque a questo appassionante compito, suddividendo in due puntate l’analisi di come Gesù ha vissuto e affrontato le sei emozioni primarie di cui sopra.

 

Gesù esultò di gioia nello Spirito

Partiamo dalle due emozioni di segno positivo. O almeno, certamente lo è la prima: la gioia.

La gioiosa notizia che è il Vangelo è racchiusa in una grande inclusione tra l’annuncio della “grande gioia (charà)” suscitata dalla nascita del Salvatore a Betlemme (cf. Lc 2,10-11) e la “grande gioia (charà)” esplosa all’alba del primo giorno dopo il sabato, il giorno della resurrezione (cf. Mt 28,8). E non a caso la prima parola rivolta da Gesù risorto alle donne accorse al sepolcro è: “Gioite! (chaírete)” (Mt 28,9).

Nella sua vita, accanto a ore di tristezza – di cui ci occuperemo la prossima volta – Gesù ha conosciuto anche momenti di grande gioia. In un caso Luca parla addirittura di esultanza (verbo agalliáo). Al ritorno dei discepoli pieni di gioia per aver annunciato con frutto il Vangelo, Gesù “esultò di gioia nello Spirito santo e disse: ‘Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intellettuali, e le hai rivelate ai piccoli’” (Lc 10,21). Gesù trasale di gioia nello Spirito perché intuisce e comprende che i misteri del Regno – in definitiva di quel Regno che lui è in prima persona – sono rivelati dal Padre a persone semplici, a quanti cioè si lasciano ispirare e sanno accogliere la sua semplice novità. Per chi invece si sente saggio, per chi pensa di conoscere la verità, tutto è velato, nascosto…

Ed è proprio per aver vissuto questa gioia profonda che Gesù può annunciarla ripetutamente. Al culmine delle beatitudini, paradossale annuncio di gioia secondo Dio, egli afferma: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Gioite ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5,11-12; cf. Lc 6,22-23). Grande consolazione: tale ricompensa ha la sua caparra già nel nostro oggi. Nella misura in cui accogliamo le beatitudini, infatti, pur a caro prezzo possiamo sperimentare già qui e ora la felicità che consiste nel vivere come Gesù, nel vivere con lui.

Per questo, in tutt’altro contesto, nel quarto vangelo, congendandosi dai suoi amici nei cosiddetti “discorsi d’addio”, Gesù insisterà a più riprese:  Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,9-11). Dall’esortazione si passa poi alla promessa, accompagnata dall’invito alla preghiera: “Ora siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia … In verità, in verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena” (Gv 16,22-24). E infine è lui stesso a pregare il Padre: “Ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia” (Gv 17,13). Questo l’orizzonte che ci attende, radicati nella gioia di Gesù Cristo, con lui, per lui e in lui.

 

Le parabole della gioia

Annota il cardinale Gianfranco Ravasi:

 

Luca è per eccellenza l’evangelista della gioia, nello spirito appunto dell’“evangelo” proclamato da Gesù che è la buona e festosa notizia della salvezza offerta da Dio. Si pensi che l’evangelista usa ben 5 verbi greci diversi per espimere la gioia in 27 passi del suo vangelo. Cristo è venuto a comunicare il lieto annunzio di liberazione, come egli afferma nel suo discorso programmatico della sinagoga di Nazaret (cf. Lc 4,17-19). I primi due capitoli dedicati all’infanzia di Gesù sono intarsiati di canti gioiosi di lode entrati nella liturgia cristiana, … mentre pieni di felicità sono coloro che vengono perdonati e salvati, nelle parabole della misericordia (cf. Lc 15).

 

Ecco, proprio queste tre parabole – la pecora smarrita, la moneta perduta, il Padre misericordioso e i due figli – potrebbero essere a ragione definite anche “parabole della gioia”, vista la frequenza di questa parola nei commenti fatti da Gesù tra le varie storie raccontate: “Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione … Vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte” (Lc 15,7.10). Rileggete con calma questi brani e vi renderete conto che le parole appena citate manifestano i sentimenti del cuore di Gesù, venuto per annunciare la gioia ai peccatori che si riconoscono tali e si sanno bisognosi di perdono… Lui che è venuto a dirci, con tutta la sua vita: “Entra nella gioia del tuo Signore” (Mt 25,21.23).

Una gioia che – ricordiamolo – nel Nuovo Testamento può addirittura essere comandata dagli apostoli: “Rallegratevi, siate nella gioia!” (chaírete: 2Cor 13,11; Fil 2,18; 3,1; 4,4; 1Ts 5,16; cf. Rm 12,12.15; 1Cor 12,26). In quale senso? Perché la gioia profonda non è un sentimento, bensì uno stato da ricercare con impegno. È per l’appunto gioia “nel Signore” (Fil 4,4.10), in quanto gioia del Signore in primo luogo, del Dio che si rallegra e comunica la sua gioia ai suoi amati; e nel cristiano tale gioia nasce dall’essere “in Cristo”, dal sapere che Cristo vive in lui (cf. Gal 2,20). Davvero, come si legge in uno splendido passo biblico, “la gioia del Signore è la nostra forza” (cf. Ne 8,10).

 
La stupita meraviglia di Gesù

Lungo tutti i vangeli lo stupore è uno dei sentimenti più diffusi tra quanti entrano in relazione con Gesù, motivato dalla sapienza delle sue parole e dall’autorevolezza del suo agire. Così avviene per le folle, per i discepoli, per gli uomini religiosi, diverse volte anche per Pilato. È quello stupore che potrebbe essere riassunto in una domanda: “Chi è costui?”.

Quanto a Gesù, conosciamo bene le sue attitudini di meraviglia e stupore di fronte alla bellezza del creato, che lo spingeva a contemplarlo e a creare poeticamente racconti e parabole. Ma solo due volte gli evangelisti attestano esplicitamente che egli si meraviglia (verbo thaumázo). La prima volta è Marco a dirci che, quando Gesù ormai adulto fa ritorno a Nazaret, il villaggio della Galilea in cui è cresciuto, la gente non riesce a capacitarsi che la sua sapienza e i prodigi dalle sue mani vengano proprio da lui, cresciuto in mezzo a loro. Perciò si domandano: “Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?” (Mc 6,3). Sottinteso: “Cosa vuole? Perché dovrebbe avere una missione speciale?”.

La risposta è l’inciampo, lo scandalo, l’incredulità. Gesù è costretto a reagire di conseguenza: “non vi poté fare alcuna opera potente, ma curò solo pochi malati imponendo loro le mani. E si meravigliava, si stupiva della loro mancanza di fede” (Mc 6,5-6). Grande insegnamento: se non mettiamo fiducia in Gesù, se non lo accogliamo così come si manifesta ma, al contrario, facciamo prevalere i nostri schemi “religiosi”, proiettandoli anche su di lui, lo rendiamo impotente. Senza ricevere da parte nostra fede-fiducia, Gesù non può fare nulla, non può mutare nulla nella nostra vita, e noi restiamo in una chiusura mortifera eppure all’apparenza così rassicurante. Beati noi se, invece, ci lasciamo inquietare da lui!

Non è dunque un caso che la seconda volta in cui Gesù si stupisce sia, all’opposto, proprio a motivo di una manifestazione di fiducia (cf. Lc 7,1-10). Saputo del comportamento di un centurione romano, dunque di un pagano, che ama il suo servo e resta accanto a lui nell’ora della sofferenza, chiamato da lui Gesù fa quanto è in suo potere per aiutarlo, incamminandosi verso la sua casa. Mentre è per strada, il centurione manda però a dirgli: “Signore, non darti disturbo: non sono infatti in condizione di farti entrare sotto il mio tetto; per questo non mi sono neppure ritenuto degno di venire da te. Ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito!” (Lc 7,6-7). L’evangelista commenta: “All’udire queste parole, Gesù si meravigliò/stupì di lui e, rivoltosi alla folla che lo seguiva, disse: ‘Vi dico che neppure in Israele ho trovato una fede così grande!’” (Lc 7,9).

Non dimentichiamolo: Gesù sa discernere la fede o l’incredulità di chi incontra (ben al di là dell’appartenenza religiosa!), e da esse è toccato in profondità, fino a esserne stupito. A noi di aderire a lui con le nostre forze, di fidarci di lui, per gioire in lui e provare una stupita meraviglia a causa del paradosso della sua folle sapienza e della sua potente debolezza (cf. 1Cor 1,18-25). Anche a noi, infatti, egli non si stanca di chiedere ogni giorno, chiamandoci allo stupore: “Non avete letto questo passo della Scrittura: ‘La pietra che i costruttori hanno rigettato, proprio questa è stata posta a testata d’angolo; è opera del Signore questa ed è una meraviglia ai nostri occhi (Sal 118,22-23)’?” (Mc 12,11; cf. Mt 21,42).

 

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BIBLIOGRAFIA MINIMA

 

G. Barbaglio, Emozioni e sentimenti di Gesù, EDB, Bologna 2009.

 

B. Maggioni, Era veramente uomo. Rivisitando la figura di Gesù nei vangeli, Àncora, Milano 2001.

 

A. Miranda, I sentimenti di Gesù. I verba affectuum dei Vangeli nel loro contesto lessicale, EDB, Bologna 2006.

 

G. Ravasi, Piccolo dizionario dei sentimenti. Amore, nostalgia e altre emozioni, Il Saggiatore, Milano 2019.

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