Massimo Recalcati: “La luce e l’onda. Cosa significa insegnare”
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Nella vita della Scuola la pluralità delle lingue non è solo tutelata dal lavoro degli insegnanti, ma informa anche il suo istituirsi come una comunità. È quello che è mancato di più ai nostri figli nel tempo della sua chiusura imposto dall’emergenza sanitaria: la possibilità dell’incontro con i propri pari, la vita insieme, la Scuola come soggetto collettivo.
La vita del gruppo costituisce un tempo essenziale nella separazione necessaria della vita del figlio dalla vita della famiglia. Nella comunità della Scuola l’attivazione del codice fraterno o di sorellanza che integra il discorso del maestro come discorso che apre la vita alla esperienza del Due è una esperienza decisiva. Se, infatti, la vita del figlio resta imbozzolata nell’ordine della lingua della propria famiglia di origine, non c’è formazione, non c’è incontro possibile con la pluralità aperta delle altre lingue.
La vita in gruppo e di gruppo, la vita viva della comunità della Scuola, sostiene in modo decisivo questo processo di apertura rendendo possibile il passaggio dal codice privato della lingua materna a quello pubblico di tutte le altre lingue del mondo. Se per un verso l’esperienza traumatica del Covid aveva rafforzato i legami famigliari sottraendo ai nostri figli l’ossigeno a loro indispensabile della vita al di fuori dalla famiglia, la riapertura della Scuola ridona alla vita del figlio uno spazio aperto. Ancora una volta possiamo misurare la parzialità della visione foucaultiana della Scuola come dispositivo unicamente disciplinare o di controllo sociale.
La Scuola non ha come finalità quella di normalizzare la vita dei nostri figli attraverso una tecnica di dominio e di sorveglianza, ma quella di favorire l’apertura della loro vita all’orizzonte illimitato della vita. Un maestro non è un istruttore, né un governatore, non è un moralizzatore né un sorvegliante, ma la grazia di un incontro che apre la vita a mondi nuovi. Dunque, non agisce per imprimere la sua volontà sui suoi allievi, non impone un sapere già fatto.
Come abbiamo visto, assomiglia piuttosto a una luce che allarga la visione, a un respiro che allarga la vita o a un’onda che ci costringe a soggettivare il sapere che abbiamo acquisito, a farlo diventare davvero nostro. Quando invece la sua presenza scivola via e al suo posto si impongono insegnanti distruttori sadici o burocrati senza desiderio o, ancora, soggetti frustrati che vivono solo per il loro stipendio, la vita scolastica diviene oppressiva e toglie il respiro. Non è un caso che un sintomo come quello degli attacchi di panico, che ha nella sensazione di mancanza d’aria una delle sue manifestazioni piú eloquenti, appaia come un sintomo ricorrente ed emblematico in molti giovani. Per questa ragione alcuni di loro hanno fatto fatica a ritornare a Scuola.
Ma andare a Scuola non significa entrare in un tunnel senza luce quanto entrare in una comunità aperta. Ed è proprio questa apertura a sottrarre alla vita dei nostri figli i suoi confini familisti costringendoli ad abbandonare il già saputo, ad aprirsi a un mare aperto. La Scuola, scriveva Freud, non solo non spinge i suoi allievi al suicidio ma ha il compito di «creare in loro il piacere di vivere e offrire appoggio e sostegno in un periodo della loro esistenza in cui sono necessitati dalle condizioni del proprio sviluppo ad allentare i loro legami con la casa paterna e la famiglia».
© 2025 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino
Fonte: Fondazione Feltrinelli