Roberto Repole “Europa ha tradito fede e perso la direzione”
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intervista a
a cura di Giacomo Galeazzi
24 settembre 2025
«Non possiamo permetterci la rassegnazione. La deriva della guerra si contrasta solo con la capacità
di ragionare», dice il cardinale Roberto Repole, arcivescovo di Torino e Susa, membro in Vaticano
dell'ex Sant'Uffizio e in Cei della Commissione per l'educazione cattolica, per quasi un decennio
presidente dei teologi italiani. Dal 9 al 12 ottobre Torino ospiterà il Festival della Missione, terza
edizione della rassegna che accende i riflettori sull'impegno internazionale della Chiesa,
sull'annuncio del Vangelo e la costruzione della pace. A ospitarla e a inquadrarne il significato in un
mondo sull'orlo di una escalation bellica è il porporato torinese impegnato anche
nell'organizzazione del Sinodo dei vescovi.
In Palestina e Ucraina la voce dei cannoni. Gli appelli?
«Prima degli appelli ci sono la vita concreta e i gesti come quello della parrocchia di Gaza che ha
rifiutato di abbandonare la città e con coraggio sta aspettando che arrivino i carri armati. Gli appelli
del Papa e della Chiesa danno voce a questo coraggio e alla terribile sofferenza delle vittime, ma si
pongono anche obiettivi molto concreti, direi operativi: contestare il clima di rassegnazione
internazionale e strattonare il mondo perché recuperi la capacità di ragionare».
Il mondo non ragiona?
«Mi sembra che lo stia facendo sempre meno. Oggi il mondo improvvisa. È il più grande problema
che abbiamo in questo momento: la superficialità. Con la complicità dei social media, che hanno
preso il centro della scena, ascoltiamo fiumi di schiamazzi, ma poche idee. Non c'è da stupirsi se
anche i governanti improvvisano. La fragilità del pensiero collettivo appare chiara rispetto alle
guerre (si pensa solo al riarmo), ma anche di fronte all'emergenza ambientale, alla crisi demografica
o ai temi etici come il fine vita, lo scandalo delle povertà, l'emergenza educativa. Non siha più
voglia di ragionare a fondo su niente. Pochi guardano lontano, la massa si accontenta di arrivare alla
sera».
Ciò accade ovunque?
«Di sicuro è un problema dell'Occidente. La crisi culturale è più che evidente in Europa e negli Stati
Uniti, molto meno in altre regioni del mondo che danno la sensazione di sapere dove vogliono
andare. Noi non lo sappiamo più. Abbiamo voluto credere che l'unica regola della convivenza fosse
il denaro e che non servissero altri riferimenti valoriali. Era una menzogna disumanizzante. E il
cuore dell'uomo ha bisogno di altro. Così adesso ci troviamo a balbettare, non sappiamo come
entrare nel futuro, non ci capacitiamo che scoppino le guerre».
Mattarella evoca il 1914.
«Purtroppo non esagera. Oggi la situazione potrebbe essere più grave ancora: lo sviluppo
tecnologico ha prodotto armi terrificanti. Abbiamo assistito a una crescita tecnica a cui non è
corrisposto uno sviluppo di riflessione antropologica, né di pensiero morale. Abbiamo teorizzato
che tecnologia e progresso fossero la stessa cosa e anche qui abbiamo mentito. Dipende dove si
orienta la tecnologia: il progresso reale comporta il bene complessivo dell'essere umano e si gioca
su molte altre dimensioni della vita, relazionali e spirituali. Averlo dimenticato, aver abdicato ad
una riflessione sull'uomo e sul suo fine, aver cessato di chiederci quali strumenti sono buoni e quali
cattivi, è il vero fallimento dell'Occidente».
Come si è arrivati a questo?
«Forse è avvenuto perché abbiamo dato per scontate le acquisizioni del Novecento: la pace, il
welfare, la salute. Abbiamo tramandato la memoria delle guerre, ma non abbiamo più sentito il
bisogno di riflettere sulle radici della pace che nasceva dalla coscienza etica delle generazioni che ci
hanno preceduto. Rischiamo di perdere quello che abbiamo perché non abbiamo fatto
manutenzione, non abbiamo considerato che la pace e il benessere non sono definitivi. Sono un
processo dinamico».
In che modo si sviluppano?
«Trovano sorgente nel nostro lavoro interiore, nella lotta contro l'egoismo, l'odio, il desiderio di
vendetta, l'indifferenza, il disprezzo della vita. Lo dicevano subito dopo la tragedia della seconda
guerra mondiale i padri del Concilio Vaticano II, nella "Gaudium et spes", e pensatori come
Mounier o Maritain. Ed era in qualche modo evidente anche ai più grandi pensatori della modernità.
È vero, oggi l'Europa conosce una certa secolarizzazione spirituale, ma ha tradito anche
l'Illuminismo nella sua intuizione di fondo: che la libertà comporti l'assunzione di una responsabilità
etica».
Vede solo nubi all'orizzonte?
«No, ma cerco di chiamare i problemi con il loro nome, perché è questo che ci può permettere di
affrontarli. Finché lo facciamo, sappiamo che è possibile riprendere un compito che abbiamo
dismesso: quello di educare le coscienze, orientandole verso qualcosa per cui vale la pena di vivere.
Finché lo facciamo, continuiamo ad avere fiducia che c'è nell'uomo un desiderio di pace, di
fratellanza, di rispetto per ogni vita umana e di riflessione, che resiste alla superficialità che si è
imposta e all'idea che la libertà sia dare sfogo a tutte le passioni dell'anima».