Enzo Bianchi "La memoria che serve a tutti"
di ENZO BIANCHI
per gentile concessione dell’autore.
Da vent’anni in Italia (prima della risoluzione dell’Onu del 2005) il 27 gennaio si celebra la
giornata della memoria della Shoah: una memoria non come le altre, perché ci chiama a sentirci
responsabili – sì responsabili –, noi europei, noi italiani, noi cristiani. Ma se questa assunzione di
responsabilità non avviene, allora la giornata della memoria è condannata a ridursi a ripetitiva
retorica, è confinata nell’ambito della “narrazione”, anche se oggetto di parola pubblica o privata.
Lo dobbiamo ammettere: per molti la Shoah è un evento che reca disonore all’umanità come tanti
altri, è una pagina come molte ve ne sono nei manuali di storia, un giorno in cui risuonano forte i
“Mai più!”, senza che però muti in profondità un atteggiamento. Continuiamo cioè a nutrirci
quotidianamente di indifferenza, sopportando genocidi, guerre, campi di concentramento, tentativi
di migrazioni attraverso perigliosi mari e gelidi inverni che causano la morte.
Vent’anni di celebrazione della giornata della memoria non sono stati in grado non dico di
eliminare, ma almeno di arginare diverse forme di antisemitismo, che mostra la sua efficace
presenza anche nella contagiosa violenza verbale praticata nei social media. C’è un antisemitismo
volgare e “popolare” tuttora molto presente in Italia, che si manifesta anche solo nell’espressione:
“Ma quello è un ebreo!”, per stigmatizzare chi, godendo di qualche riconoscimento, sembra
esserselo meritato solo in virtù dell’appartenenza a una nebulosa lobby ebraica di potere.
L’antisemitismo ha radici profonde in noi italiani, che non abbiamo mai sviluppato una coscienza
storica e civile di quanto abbiamo commesso durante l’epoca fascista. Lo stesso vale purtroppo – mi
preme dirlo – per il truce massacro che abbiamo commesso in Etiopia, sconosciuto ai più e del
quale nessuno assume la vergognosa colpa.
Come cristiani, inoltre, va ricordato che le persone della mia generazione erano abituate a usare
l’offensivo epiteto “sporco giudeo” e a credere alla condanna che pesava sull’ebreo deicida, quella
di essere ramingo senza poter meritare l’appartenenza alla società. Ciò aveva la sua epifania nella
invocazione liturgica del venerdì santo “pro perfidis Judaeis”, eliminata solo da papa Giovanni.
Cosa, personalmente, mi convertì? Non posso dimenticare che nel 1960 la scuola ci portò in
pellegrinaggio al campo di concentramento di Dachau, con lo slogan: “Devi vedere per ricordare!”.
Tornai da quella settimana non più come prima e quell’esperienza mi segnò al punto tale che per
tutta la mia vita mi sono impegnato a resistere all’antisemitismo.
Il fatto che la Shoah abbia avuto luogo nei paesi della cristianità deve tener viva la questione della
relazione tra persecuzione degli ebrei e gli atteggiamenti dei cristiani: mancò infatti la resistenza
spirituale concreta di quelli che nella fede sono i fratelli gemelli degli attuali ebrei. La giornata della
memoria, dunque, è indispensabile alla storia e la storia essendo memoria futuri è indispensabile al
futuro dell’umanità. La Shoah ha una singolarità non esclusiva ma inclusiva, che deve essere
celebrata pubblicamente come antidoto all’oblio e alla non-giustizia, continuando a confidare in una
sola cosa: in ogni uomo, in ogni donna c’è e resta, nonostante tutto, la capacità di dire no al male e
sì alla vita, quindi un’apertura possibile a riconoscersi fratelli.