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Enzo Bianchi "Chi ascolta la paura"

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La Repubblica - 18 gennaio 2021
per gentile concessione dell’autore.

In tutta la mia vita, grazie a una severa educazione ricevuta riguardo al rapporto con gli altri, ho cercato di dare il primato all’ascolto, perché avevo compreso e ho sempre potuto verificare che l’ascolto degli uomini e delle donne, l’ascolto della coscienza attraverso la quale, per un credente, parla Dio, e l’ascolto di tutte le realtà, anche le più umili, dà ragioni per vivere in pienezza. 

"Ogni cosa ha una voce", scrive Paolo di Tarso: voce a volte tenue, come una brezza, un silenzio eloquente, ma ascoltabile se si apre non solo l’orecchio ma anche il cuore. Certamente c’è molto ascolto nella cella solitaria e silenziosa della propria solitudine, quando gli abissi e anche gli inferni che ci abitano nelle profondità fanno udire le loro grida, o quando i sentimenti di amore, armonia e pace danno a tutto l’essere, anima e corpo, la quiete. 

Non ho mai frequentato salotti ecclesiastici, intellettuali e tantomeno politici, ma soprattutto nell’ultimo decennio trovo molto tempo per passeggiare in campagna o in città, per "bighellonare" nei boschi, nelle colline e nei campi, senza una meta precisa, ma inoltrandomi su strade e sentieri che si presentano davanti a me e che scelgo con libertà. 

Questo mi consente gli incontri più diversi: vecchi e giovani, gente che va in giro, gente che lavora, persone che non mi conoscono, come io non conosco loro. Ascolto, parlo poco e cerco di imparare. 

E cosa ho imparato, in questo anno segnato dalla pandemia? Che la gente ha paura ed è disorientata. 
Ha paura per il contagio, diffida dell’incontro e del contatto con gli altri. Ha paura per la situazione di povertà in cui è venuta a trovarsi. Ha paura che non sia più possibile tornare a vivere liberi da questo incubo. Il tempo presente, segnato a intervalli dalla clausura e dalle altre misure per il contenimento del contagio, segnato dall’impossibilità di incontri, viaggi e relazioni, è sentito come un tempo non abitabile, morto, collocato tra un prima in cui c’era vita e un domani in cui forse tornerà a esserci. 

Ma nell’oggi questi mesi sono come tolti alla vita, soprattutto a chi è anziano e sente preziosi i suoi ultimi anni. E così il sentimento che più traspare è quello del disorientamento: sì, mancanza di un oriente, di un orizzonte. Non si riesce a capire, e ciò aumenta la paura, il senso di impotenza e anche di rabbia. Disorientamento dovuto a una confusione sulla dinamica della pandemia; disorientamento a causa dei politici che, anche in presenza di numerosi morti ogni giorno, continuano a mostrarsi arroganti e irresponsabili, senza una volontà di perseguire il "bene comune", neppure in una situazione tanto drammatica a livello economico e sociale. La gente è veramente disorientata e lo dice con rabbia, quasi sognando un’insurrezione che travolga questi imprenditori del nulla e dello sfacelo della polis. 

Quanti uomini e donne dicono, in forme più o meno esplicite: «Non ne possiamo più!». Possibile che non si ascolti questo grido?
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