Enzo Bianchi “La preghiera respiro dell'anima”
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Famiglia Cristiana 20 giugno 2025
Incontriamo fratel Enzo Bianchi a Casa della Madia, il suo monastero vicino a Ivrea. Vecchia conoscenza del nostro giornale, con cui ha collaborato negli anni passati, dal prossimo numero inaugurerà una nuova rubrica di spiritualità incentrata sulla preghiera dal titolo: “Cristiano chi sei?”.
Fratel Enzo, perché questo titolo?
«Sono convinto, e non è solo un mio pensiero, che in questo momento c’è una grande fragilità nella vita di fede di tanti cristiani. Papa Leone nel suo recente intervento alla Conferenza episcopale italiana ha chiesto ai vescovi di risvegliare la fede in Gesù Cristo come unico Salvatore e come centro della fede cristiana. Viviamo in un tempo in cui i cristiani si sono giustamente aperti ai bisogni del mondo, al dialogo e al confronto con tante realtà terrene, ma è venuta meno la centralità del primato di Cristo, da cui dipende la nostra fede. La nostra salvezza non dipende da Lui?».
In parole semplici cosa è la preghiera?
«La preghiera ha uno sviluppo diverso da persona a persona. C’è quella della persona semplice che chiede grazie e protezione e che va rispettata, ma sapendo che non è sufficiente per una matura vita di fede. La preghiera non è tanto un chiedere a Dio, quanto un ascoltare la sua voce che si manifesta nella Parola di Dio. È dall’ascolto che nasce la fede, che conosciamo la volontà di Dio, che plasmiamo la nostra vita secondo il Vangelo. La preghiera è un lungo cammino che porta la persona ad adorare e lodare Dio fino alla misura della contemplazione, che non è solo dei mistici, ma è la capacità aperta a tutti di assumere lo sguardo di Dio sulle persone e sulle cose. È qui l’apice della preghiera».
Cosa direbbe a un giovane?
«L’unica cosa che si può chiedergli è di fermarsi dieci minuti al giorno per leggere alcune righe del Vangelo e chiedersi se trova qualcosa che parla al suo cuore. Tutto qui. Non dico che questo lo renderà automaticamente cristiano, ma almeno maturerà una memoria affettiva di Gesù che rimarrà nel tempo. E che nel momento opportuno riemergerà come una vera luce».
Quale malattia ci affligge oggi?
«È quella di un mondo in fuga che dovremmo combattere e che invece assecondiamo con le nostre scelte, vivendo da mattino a sera a velocità massima. Questa rapidità non ci da tempo per pensare, per fermarci, per approfondire. Per uscirne dovremmo organizzare la nostra giornata prima che cominci e mettere da parte del buon tempo per quello che vogliamo realmente fare. Altrimenti veniamo “mangiati”, e alla fine siamo estranei a noi stessi. Molte persone anziane mi confidano di non aver vissuto la loro vita e sono tristi, non perché non abbiano avuto successo nella loro vita, ma perché sentono che per loro il tempo è volato inutilmente. È un problema antropologico prima che cristiano».
E le distrazioni nella preghiera?
«C’è un’educazione alla concentrazione nella preghiera, ma non dobbiamo spaventarci se accade. La mente vaga nella preghiera, possono esserci distrazioni. Ci vuole tempo e perseveranza perché perdano la loro forza. A volte però sono delle specie di mostri che si agitano dentro di noi e che salgono dalle nostre regioni interiori più basse. È il allora momento di immergerci ancora di più in noi stessi per guardarli in faccia senza spaventarci, per vincerli e ordinarli con la forza dello Spirito Santo».
Spesso oggi ci si rivolge agli psicologi…
«Oggi esiste una pericolosa “psicologizzazione” della vita di fede. Anche nella Chiesa si parla più di psicologia che dell’azione della grazia, cioè dello Spirito Santo. Persino nei seminari, cosa che ha contribuito a creare un vero deserto nel campo delle vocazioni. Così Gesù non è più il medico delle nostre vite. Io credo, invece, che bisogna combattere soprattutto con le armi spirituali contro i fantasmi che ci abitano. È pericolosa questa mescolanza tra spiritualità e scienze umane e può in casi limite essere causa di abusi spirituali, perché a un certo punto non si capisce più se uno è il padre spirituale o lo psicologo».
Poi c’è la pace del cuore...
«La pace è l’ultimo frutto della vita dello spirito. Per ottenerla occorre che lo Spirito Santo scenda nelle nostre profondità, lì dove manteniamo le nostre riserve verso il nemico e il nostro carico di aggressività. Se non accade rimarranno dentro di noi delle forme di rancore, di odi nascosti, di volontà di dominio. Lo vediamo anche tra noi cristiani. Pensiamo solo alla guerra fratricida in Ucraina: fratelli battezzati e parte dell’unico corpo di Cristo si ammazzano ogni giorno».
Cosa ha ispirato la sua preghiera?
«La mia vita di preghiera è nata quando ero molto piccolo e mia madre ogni sera mi faceva inginocchiare sul letto, sussurrandomi le parole delle preghiere, facendomele ripetere. Così ha iniziato a farmi balbettare con Dio e da allora non ho più smesso di pregare. Credo che se le madri facessero questo coi loro figli farebbero loro un grande regalo».
Stefano Stimamiglio