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Paolo Zambaldi e Roberto Pasolini "Giubileo e indulgenze"

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Mettiamo a confronto due testi (di segno opposto) che affrontano il tema del Giubileo con particolare riguardo al significato del termine "indulgenza". 

Il primo è scritto da don Paolo Zambaldi sul suo blog, il secondo è pubblicato da padre Roberto Pasolini su Avvenire.

Poco prima di Natale il Papa inaugurerà il Giubileo. In origine veniva celebrato ogni 25 anni, ora, adducendo varie motivazioni, ci viene proposto molto più frequentemente (…1950, 1975,1983,2000, 2015, 2025…). 

A cosa servono realmente i Giubilei? Intendo da un punto di vista spirituale, perché da un punto di vista economico è chiaro … conviene! 

La maggioranza delle persone (frequentanti o no) se interrogata risponde che è un ‘occasione per un viaggio a Roma’, che è ‘una sorta di pellegrinaggio’, oppure più mondanamente, che è un evento a cui potrebbe essere interessante partecipare. 

Perché proporlo allora, visto che pochi vi colgono un significato “religioso” qualunque cosa questo termine significhi oggi? 

Le stesse parole (porta santa, anno santo, indulgenza plenaria) che vengono pronunciate nella convinzione che abbiano ancora una presa su un popolo assolutamente scristianizzato, in realtà sono estranee ai più, incomprensibili, avulse dalla realtà. Evocano un tempo finito per sempre, un cimelio che incuriosisce, nella migliore delle ipotesi. 

Vorrei soffermarmi sulla parola indulgenza che è quella che evoca maggiore perplessità in chi conosce la storia, e addirittura orrore in chi sperava che finalmente si fossero superate certe affermazioni che, poggiando su non-verità (i dogmi), non fanno che aumentare la disaffezione nei confronti del cattolicesimo. 

La regola (ancora oggi ritenuta valida) così dice: 

“Le indulgenze sono remissioni della pena temporale (ossia da scontare durante la vita terrena o in purgatorio) dovuta alla divina giustizia per i peccati attuali (ossia compiuti personalmente e responsabilmente, anziché ereditari come il peccato originale). Il meccanismo è: tolta la colpa mediante un sacramento (confessione, estrema unzione), viene tolta la pena mediante l’indulgenza”. 

“Le indulgenze dunque, vengono concesse attingendo al “tesoro della Chiesa”, un caveau nel quale sono custoditi i meriti di Gesù Cristo (ossia tutte le gocce del suo sangue (…), di Maria madre di Dio e di tutti i santi. Le chiavi di questo tesoro appartengono al papa e (con limiti) ai vescovi. Le indulgenze possono essere versate (per così dire) sui conti correnti (…) sia dei vivi che dei defunti. Il dogma sulle indulgenze è tra i più solennemente definiti e fermamente ribaditi dal magistero pontificio e conciliare e dal diritto canonico.” Lombardi Vallauri L., Nera luce. Saggio su cattolicesimo e apofatismo, Firenze, Le Lettere, 2001, p. 43-44. 

Dicendola con linguaggio più attuale il papa (che rappresenta la Chiesa) può eliminare con una sua parola gli anni che dovremmo passare in purgatorio a causa dei nostri peccati, ovviamente peccati non gravi, “perdonabili”, perché per quelli cosiddetti mortali ci aspetta l’inferno e non c’è indulgenza che tenga. Naturalmente la colpa viene perdonata tramite la confessione, mentre la pena viene ridotta con l’indulgenza. E si possono acquisire anni di sconto anche per i morti. 

Rischiando l’inferno per peccato di eresia (non soggetto ad indulgenza!) vorrei farvi partecipi di alcune riflessioni/domande, peraltro ormai comuni anche all’interno della stessa istituzione, sebbene la gerarchia ecclesiastica si guardi bene dal renderle accessibili “al santo (ma non stupido) popolo di Dio”. 

–Non sembra strano che tolta la colpa sia ancora dovuta una pena? Perchè un non più colpevole deve essere ancora punito? La confessione assolve ma la pena resta. Nessun tipo di diritto oserebbe affermare tale assurdità. 

–Perché usare un po’ alla volta il “sangue di Cristo”? Cioè solo in certe particolari situazioni decise da un Papa? Non è ingiusta questa gestione? 

–Inoltre o le opere richieste per concedere l’indulgenza (visite a santuari, basiliche ed elargizioni in denaro) sono meritorie in sè e allora non occorre concedere l’indulgenza; o non sono in sè meritorie e allora non c’è motivo di richiederle. 

–Questa regola ancora ripropone l’idea di un Dio col quale si può mercanteggiare, tramite una Chiesa che si pone come unica mediatrice. 

–La Chiesa nonostante tutti i tentativi di essere ‘inclusiva’, dimostra di considerare la colpa e il perdono, come qualcosa da usare per richiamare all’ordine, per subornare gli uomini con la paura del giudizio e della morte. Questo dopo aver predicato, negli ultimi anni, un aldilà non più dantesco (non c’è il limbo, né il purgatorio né tantomeno l’inferno!!). C’è coerenza in questo comportamento? Il Papa pare non curarsi di contraddire se stesso, talvolta affermando che tutti si devono salvare… ma tutti tutti… per poi venirsene fuori con le indulgenze… 

–Un Papa che si presenta come il vicario di un Dio, dal quale riceve poteri addirittura capaci di cancellare pene relative a un altro mondo, ripropone la visione di una Chiesa che ambisce ad essere “potente”. Questo atteggiamento non suscita forse il sospetto che Essa, mentre non più tardi di un mese fa, si attribuiva una nuova veste meno autoreferenziale e più umana, più sinodale e più trasparente, in realtà non abbia nessuna intenzione di cambiare il suo ruolo, né tantomeno di cambiare il catechismo, fondato su una visione dogmatica che la pone fuori dalla storia? Nessun uomo infatti dotato di una normale razionalità, può accettare oggi affermazioni poste come “indiscutibili”. 

–Inoltre qualcuno che conosce la storia sa bene quanto il tema delle indulgenze abbia diviso l’Europa con feroci guerre di religione. Al tempo di Lutero le si pagava in denaro e il ricatto era così forte (e l’Inquisizione cosi sanguinaria) che anche i più poveri non si potevano sottrarre. E dunque il rievocare questo tema seppur addolcito dalla trasformazione dei mezzi, sembra un passo sconsiderato, un oltraggio alla verità, un desiderio inconscio di auto-distruzione. (Paolo Zambaldi

La parola “indulgenza” spesso suscita una certa difficoltà di comprensione e accettazione. Può sembrare un concetto lontano, arcaico o persino burocratico. Anche le modalità indicate dalla Chiesa per ottenerla rischiano di ridurla a uno sconto di pena piuttosto che a un incentivo per intraprendere una vita buona e santa. 

Per coglierne il significato autentico, è utile rileggere un versetto della Scrittura che rivela i sentimenti di Dio verso ogni aspetto della nostra vita, incluso il peccato: «Tu ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta? Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all’esistenza? Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita» (Sap 11,24-25). 

La dottrina e la pratica delle indulgenze, consolidate da secoli nella Chiesa cattolica, si radicano nel cuore stesso di Dio. Egli si mostra sempre accondiscendente verso di noi, desideroso che l’amicizia infranta dal peccato possa essere ricomposta. Questo accade per un unico motivo: il suo amore è così forte e fedele da non trasformarsi mai in disgusto o, peggio ancora, in odio nei nostri confronti. 

Quando comprendiamo questo e ricordiamo che attorno a Dio esiste una comunione di santi che amplia il cerchio di amore in cui siamo immersi, il chiedere alla Chiesa l’indulgenza non è più un gesto formale. Diventa piuttosto un atto gioioso, un tentativo di rientrare al più presto in una comunione di amicizia e amore di cui avvertiamo una profonda nostalgia. 

Immaginiamo di aver commesso un errore che ha ferito una persona, causando una frattura non solo nel suo cuore ma anche nel tessuto delle relazioni che condividiamo con altri amici. Il senso di colpa che ne deriva può isolarci, rendendo difficile trovare la forza per rimediare e sanare i rapporti danneggiati. Tuttavia, se scopriamo che la persona ferita non ha mutato i suoi sentimenti verso di noi e che anche gli altri amici in comune ci sono vicini, nasce in noi il desiderio di fare tutto il possibile per riparare agli errori commessi e ritrovare la gioia di un’amicizia riconciliata. 

In questa luce, l’indulgenza si può comprendere come un’opportunità per i peccatori di rientrare nella vita di Dio e di ricostruire le relazioni con gli altri, anche quando tutto sembra compromesso. Non si tratta semplicemente di cancellare le conseguenze delle proprie azioni, ma di cogliere l’occasione per ricominciare a vivere nel modo migliore, contribuendo con le proprie azioni alla fraternità e al Regno di Dio. 
L’indulgenza diventa così molto più di uno “sconto” sulla pena: è un’opportunità preziosa per riconciliarsi con se stessi e con gli altri. 
Accogliendo questa possibilità, si possono sanare le ferite del passato e costruire legami più forti e significativi, sia nel presente che nel futuro. (Roberto Pasolini


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