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Fulvio Ferrario "Dal Sinodo al Giubileo (passando per il Sacro Cuore)"

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(Rubrica “Teologia e società”
rivista Confronti, Dicembre 2024)


di Fulvio FerrarioProfessore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.

Alla fine di ottobre si è chiusa la lunga fase sinodale voluta da Francesco. Naturalmente, come si dice sempre in questi casi, non si tratta di un punto di arrivo, bensì di partenza: fatto sta che un documento conclusivo tira le fila di un processo dal quale diversi ambienti cattolici si aspettavano cambiamenti di una certa portata. Non pare, a dire il vero, che essi siano alle viste. 

Si può osservare che, su temi come quelli dell’apertura alle donne del ministero diaconale, la porta non è stata del tutto chiusa: bisogna «proseguire il discernimento al riguardo». In realtà, l’unica proposta operativa è di «dare piena attuazione a tutte le opportunità previste dal diritto vigente relativamente al ruolo delle donne». Tradotto: la normativa in vigore va benissimo, non c’è nulla da cambiare, passiamo oltre. 

Negli ultimi mesi, del resto, Francesco ha moltiplicato interventi piuttosto ruvidi. In qualche caso si è trattato di prese di posizione di un certo livello istituzionale, come quando ha ricordato ai vescovi tedeschi che in Germania c’è già una Chiesa protestante e loro, i vescovi, sono responsabili di un’altra Chiesa (quella “vera”, secondo il papa), che comprende la sinodalità in modo assai diverso. 

In altre occasioni, si è espresso in semplici interviste, che però, comprensibilmente, hanno avuto una notevole eco: rientrando da un viaggio pastorale, ad esempio, ha qualificato come “sicari” i medici che applicano la legislazione sull’interruzione volontaria della gravidanza [vedi Confronti 11/2024]. Nessuna di queste uscite può considerarsi sorprendente, data la fonte. Se però si ricordano le aspettative di rinnovamento associate da alcuni/e all’uomo proveniente dalla “fine del mondo”, come egli stesso si era definito, occorre constatare che gli accenti del pontefice si sono rivelati profondamente diversi. 

Uno tra essi, non irrilevante, è ben attestato nell’enciclica Dilexit nos, del 24 ottobre 2024. Si tratta, in buona sostanza, di un rilancio massiccio della devozione al Sacro Cuore di Gesù. Una ventina d’anni fa, in un libro di notevole interesse, lo storico Daniele Menozzi aveva mostrato, accanto alle valenze legate alla pietà tradizionale, la dimensione politicamente conservatrice di questo tipo di devozione, dall’opposizione ai principi della Rivoluzione francese all’intransigentismo cattolico dell’Ottocento, fino alla ripresa da parte di Giovanni Paolo II, che vi scorgeva una sorta di antidoto alle derive secolaristiche della modernità. 

Non sono in grado di valutare se e quanto la Storia politico-religiosa piuttosto problematica di questa espressione spirituale sia rilevante per Francesco. La sottolineatura devozionalistica mi appare però indicativa di un orientamento pastorale. Già durante la pandemia, del resto, la pietà popolare era stata presentata dal papa come risorsa di riferimento, con tanto di crocifissi miracolosi, riferimenti mariani e le immancabili indulgenze. Insomma: meno fantasie pseudoriformiste e vagamente protestantoidi e più sana devozione cattolica. 

A proposito di indulgenze: è in arrivo il “Giubileo”. Questa periodica autocelebrazione della centralità vaticana, con il suo imponente apparato spiritual-turistico, appare, specie se osservata dalla città di Roma, tutt’altro che marginale nella proposta pastorale della Chiesa cattolica. 

Vero è che in alcuni ambienti la si vorrebbe relativizzare, spiegando che gli aspetti centrali dell’annuncio sono altrove e che la portata delle pie pratiche ereditate dalla tradizione non dovrebbe essere sopravvalutata. L’enfasi mediatica messa in campo dall’istituzione, però, va nella direzione esattamente opposta: il Cattolicesimo, si ricompatta intorno alle proprie, collaudate, “specialità della casa”. 

Insomma, le prospettive di rinnovamento e il cammino sinodale sono approdati alla devozione del Sacro Cuore, al Giubileo e alle sue indulgenze. Non sono affatto convinto che ciò costituisca un segnale di debolezza o di imbarazzo nei confronti delle dinamiche della società secolare. Al contrario, si tratta di una proposta chiara e ben radicata nella tradizione. La si può accogliere o rifiutare, ma non sarebbe corretto fingere di non riconoscerne la natura. 


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