Umberto Galimberti “Addio a Eugenio Borgna, psichiatra con sentimento”
Ci sono notizie che ti arrivano improvvisamente e, come un fulmine a ciel sereno, ti tolgono un pezzo della tua vita. Un pezzo importante. Un caposaldo, come in una casa un pilastro.
Eugenio Borgna (morto a 94 anni a Borgomanero, nel novarese), che ieri è andato ad abitare un altro cielo, è stato quello psichiatra che ho conosciuto negli anni Settanta perché, nonostante la mia formazione psicoanalitica, avevo l’impressione di non sapere molto di più rispetto a quando l’avevo iniziata. E allora decisi di andare in un manicomio a vedere su grande schermo gli abissi della follia, di cui la nevrosi, che si tratta nei nostri studi psicoterapeutici, è solo un pallido riflesso.
Eugenio Borgna dirigeva l’Ospedale psichiatrico femminile di Novara e, ancor prima di Basaglia, aveva aperto le porte di quel manicomio, a partire dal principio che non si può riportare al mondo un folle, privandolo del mondo. E portando i folli nel mondo si intuisce che la follia, prima di essere letta come un’“entità clinica” è una “forma d’esperienza umana” che va accostata non solo con il metodo dell’osservazione tipico delle scienze della natura, ma con quella facoltà cognitiva che è il sentimento. Il sentimento, infatti, non è solo qualcosa che si sente, ma è una modalità di conoscere più comprensiva e più esplicativa di quanto non lo sia il metodo scientifico che oggettiva il paziente, smarrendo la sua soggettività.
Infatti, come spesso ci ricordava Borgna, «è possibile spiegare qualcosa, come ad esempio la schizofrenia, senza comprendere lo schizofrenico ». Ma per comprenderlo occorre empatia, partecipazione emotiva e sentimentale.
All’epoca Borgna aveva scritto tantissimi articoli scientifici, i più importanti dei quali sono oggi raccolti in un libro che titola: Nei luoghi sperduti della follia (2008), ma non aveva mai scritto per il grande pubblico. Feci una gran fatica a superare le sue resistenze, e alla fine Borgna cedette, perché in qualche modo l’avevo persuaso che anche i folli avrebbero potuto capire e sapere di sé, al di là delle diagnosi formulate su di loro che incorniciano la loro condizione in una stigma inoltrepassabile.
E allora in Malinconia (1992) Borgna prese a descrivere, in modo accessibile a tutti, la depressione, in cui c’è l’invito a non lasciarsi ingannare dal silenzio malinconico, come sarebbe nelle attese dei più.
Quel che occorre fare è perforare questo silenzio nel tentativo di raggiungere quel grido taciuto, che è tale perché molto spesso nessuno si dispone all’ascolto. E allora il silenzio diventa tumultuoso e la malinconia prende a parlare, non con le nostre parole inutilmente consolatorie, ma con l’ascolto partecipato perché, scrive Borgna in un altro libro che ha per titolo una frase di Hölderlin: Noi siamo un colloquio (1999).
E poi la schizofrenia descritta in Come se finisse il mondo(1995), la cui definizione, scrive Borgna, è inadeguata e andrebbe cancellata per cogliere il senso e la fragilità delle "esperienze schizofreniche", onde cogliere in esse non aggressività e destituzione di senso, ma stremate sensibilità e sconvolgenti intuizioni, delicatezza d’animo e talvolta sfolgorante creatività, come quella di Antonin Artaud e di Gérard de Nerval che sfidano i modi di essere banali e quotidiani di ogni esistenza "normale".
La letteratura, la poesia, le espressioni artistiche costellano tutti i libri di Borgna, a partire dalla persuasione che la creatività non è un prodotto della ragione, ma un evento della follia. In ciò seguendo le orme del più grande psicopatologo del Novecento, Karl Jaspers, che in Genio e follia scrive «ogni volta che ammiriamo un’opera d’arte ci comportiamo come quando ammiriamo una perla, dimenticando che la perla è la malattia della conchiglia. E senza la schizofrenia dell’autore, quell’opera non sarebbe mai nata». Ma per questo occorre avere un rapporto con la follia che ci abita e che di notte ci visita nel teatro dei sogni.
E poi Le figure dell’ansia (1997) la cui comparsa fuggitiva e arcana riflette, come in uno specchio, i tratti misteriosi e inquietanti delle realtà psicopatologiche e umane, al di qua e al di là di ogni malattia. Qui lo sguardo dello psichiatra non deve limitarsi e arenarsi nel terreno biologico, dove le figure dell’ansia sono circoscritte e sigillate, mentre invece vanno considerate a partire da quelle situazioni umane contrassegnate dalla solitudine o dalla timidezza, dalla nostalgia o dall’attesa, in una parola dalle inquietudini del cuore, metafora viva che ci avvicina alla cifra segreta e indicibile della condizione umana. Si veda Le intermittenze del cuore (2003).
Nel 2022 Borgna scrive L’agonia della psichiatria che, nel pieno di una trasformazione della vita interiore e di quella collettiva a cui stiamo assistendo, resta lontana da quella vitalità che conobbe nell’epoca della sua rivoluzione ideale ed etica con Franco Basaglia. E in questa lontananza non può tornare ad essere di aiuto alla comprensione della condizione umana, a partire dall’esperienza del dolore e della follia, "sorella infelice della poesia". Quest’anno è uscito l’ultimo libro di Eugenio Borgna che titola L’ascolto del silenzio da lui definito «un elemento che cura e ristora». Non so se Borgna prevedesse la sua fine. In ogni caso ora spetta a noi ascoltare il suo silenzio.