Jean Louis Ska "La famiglia nell’Antico e nel Nuovo Testamento"
“Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” (Mc 3,33; Mt 12,48). È la domanda rivolta da Gesù di Nazaret a chi viene ad annunciargli che sono giunti membri della sua famiglia per vederlo o discutere con lui. Il motivo della visita non è molto chiaro. In ogni modo, la risposta di Gesù di Nazaret è lapidaria: “Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli»” (Mc 3,34). Il vangelo di Matteo aggiunge una frase esplicativa: “Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre»” (Mt 12,49-50).
La problematica della famiglia nella Bibbia appare in modo alquanto polemico in questo passo del vangelo. Si tratta di prendere distanza dalla famiglia? Il vangelo nega il valore della famiglia e tenta di creare un altro tipo di appartenenza? Il nuovo tipo di appartenenza sostituisce la famiglia tradizionale? È semplicemente diverso oppure è superiore? Ecco una serie di domande che sorgono alla lettura del passo del vangelo.
Non possiamo, certo, rispondere a tutte le domande nel quadro di un breve articolo. Proveremo piuttosto a individuare alcuni “paletti” più solidi per una riflessione sull’argomento. Iniziamo con alcuni dati forniti dall’Antico Testamento e vedremo in seguito come il Nuovo Testamento tratta la stessa tematica.
1. La famiglia nei primi capitoli della Genesi
Le prime pagine della Genesi cercano di porre le fondamenta dell’esistenza nel nostro universo. Fra i molti messaggi di testi polivalenti, alcuni trattano della vita umana e, in particolare, della famiglia. Tutti conosciamo i versetti dedicati alla creazione della prima coppia umana in Gn 1,27: “E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò”. Alcuni elementi sono essenziali per il resoconto della creazione attribuito al racconto sacerdotale. Primo, Dio non crea un individuo, bensì una coppia. La vita umana, così come per tutti gli “esseri viventi” è vita dialogale ed è, in gran parte, orientata verso la perpetuazione del genere umano. Lo specifica subito il versetto seguente: “Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra»” (Gn 1,28). Creazione e procreazione vanno di pari passo, almeno di primo acchito. È il messaggio del racconto sacerdotale, certo, scritto in un momento delicato della storia d’Israele, e legato all’esperienza dell’esilio. La terra è vuota, la prima coppia è sola sulla terra. Dio ripete lo stesso messaggio dopo il diluvio in una situazione simile, quando Noè e la sua famiglia escono dall’arca e scoprono un mondo svuotato da tutti i suoi abitanti (Gn 9,1.7).
Un testo meno conosciuto si trova nel libro di Geremia ove il contesto è nuovamente simile. In una lettera ai primi esiliati, quelli deportati in Babilonia dopo il primo assedio di Gerusalemme nel 597 a.C. e la resa della città decisa del re Yoyakîn (2Re 24,10-17), il profeta trasmette un messaggio divino piuttosto sorprendente: “Costruite case e abitatele, piantate orti e mangiatene i frutti; prendete moglie e mettete al mondo figli e figlie, scegliete mogli per i figli e maritate le figlie, e costoro abbiano figlie e figli. Lì moltiplicatevi e non diminuite. Cercate il benessere del paese in cui vi ho fatto deportare, e pregate per esso il Signore, perché dal benessere suo dipende il vostro” (Ger 29,5-7). “Moltiplicatevi e non diminuite” - era di prima importanza per il profeta Geremia che il popolo deportato non sparisse. In effetti, per Geremia così come per Ezechiele che faceva parte della prima deportazione, i primi esiliati sono quelli che saranno incaricati di ricostruire Gerusalemme e di formare l’Israele del futuro (Ger 29,10-14). Coloro che sono rimasti a Gerusalemme con Sedecia, invece, sono condannati, secondo lo stesso Geremia (29,15-20; cf. Ez 33,23-29).
L’importanza della procreazione è legata, in tutti i tre contesti, a una situazione precaria ove il futuro è incerto. La situazione dell’umanità in Genesi 1 e 9, nel momento della creazione e subito dopo il diluvio si ritrova, con molte sfumature, durante l’esilio: era essenziale, in questo caso, assicurare il futuro del popolo d’Israele.
Aggiungiamo un solo elemento alla nostra riflessione: all’inizio della creazione, troviamo un uomo e una donna, non troviamo due donne o due uomini. Nel mondo biblico, era difficile immaginare qualcosa di diverso e per motivi abbastanza evidenti: la procreazione suppone un maschio e una femmina.
Il secondo racconto della creazione in Genesi 2-3 non aggiunge molto a quanto abbiamo scoperto finora. L’essere umano è “completo” e la vita diventa possibile solo dopo la creazione della donna (Gn 2,18-24). È importante tener conto del contesto letterario ed esistenziale dei primi capitoli della Genesi. Si tratta dell’inizio della vita, e gli inizi hanno un significato fondamentale, nel senso proprio della parola. L’inizio, tuttavia, non esclude ulteriori sviluppi.
2. La famiglia patriarcale degli antenati d’Israele
“Renderò la tua discendenza come la polvere della terra: se uno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti” (Gn 13,16; cf. 12,2; 15,5; 17,4-6.16.20; 22,17...). La promessa di una numerosa discendenza espressa nell’oracolo divino di Gn 13,14-17 fa parte di un altro contesto che permette di capire meglio la funzione della famiglia nei racconti patriarcali.
Nel libro della Genesi, gli antenati d’Israele “erano in piccolo numero, pochi e stranieri in quel luogo” (Sal 105,12). Una discendenza, e una numerosa discendenza, era pertanto una necessità vitale. Ciò permette di spiegare alcuni tratti delle famiglie patriarcali. Ad esempio, la poligamia non sembra essere un problema. Sara è la moglie di Abramo, però non è l’unica sebbene occupi un rango superiore a tutte le altre. Ismaele è figlio legittimo di Abramo e Agar, secondo Gn 16,1-16. In seguito, Abramo prenderà una terza moglie, Keturà (Gn 25,1-4) e forse altre concubine (Gn 25,5-6).
Isacco, invece, avrà una sola moglie, Rebecca, al contrario di Giacobbe che genera dodici figli e una figlia con due mogli, Lia e Rachele, e le loro due serve, Zilpa e Bila (Gn 29,24.28-29). Tutto sembra perfettamente lecito secondo le usanze del mondo patriarcale. I testi non contengono alcun giudizio nega- tivo in merito. Notiamo, tuttavia, che il problema della sterilità è frequente (Gn 11,30; 16,1; 17,17; 18,11; 25,21; 29,31; 30,1.9). Una causa della sterilità è probabilmente la consanguineità perché gli antenati d’Israele si sposano all’interno della stessa famiglia, e gli sposi sono spesso cugini di primo grado.
Più tardi, Elkanà, il padre di Samuele, avrà anch’egli due mogli, Anna e Peninnà. In questo caso, impariamo che una di esse, Anna, è sterile (1Sam 1,1-2). In tutti questi casi, il contesto è simile: la necessità assoluta di avere una discendenza e l’ostacolo è rappresentato dalla sterilità. Il contesto è, quindi, assolutamente essenziale per interpretare nel modo giusto i tratti particolari della famiglia patriarcale.
3. Il matrimonio in epoca monarchica
Un altro caso, quello della poligamia dei re d’Israele, in particolare Davide e Salomone, può essere spiegato grazie al contesto culturale del tempo. Davide ebbe più mogli (1Sam 25,43-44; 2Sam 3,2-5; 5,13-16; 11,27) e il numero delle mogli di Salomone è leggendario: mille (1Re 11,1-3). In questo caso entrano in gioco diversi elementi, in particolare la politica estera. Non meraviglia di sapere che la prima moglie di Salomone è una figlia del faraone d’Egitto (1Re 3,1; 9,24). Le altre mogli di Salomone sono straniere (1Re 11,1-3) e il fatto è condannato dalla Bibbia. Tuttavia, ogni matrimonio significa un’alleanza con un'altra nazione secondo le usanze del tempo. Per Davide, si trattava, in particolare, di unire le diverse parti del suo regno. Il suo matrimonio con Mical, figlia di Saul, dava certamente a Davide un certo diritto a essere uno dei potenziali successori di Saul (1Sam 18,20-27). Infine, in un mondo ove la mortalità infantile era molto elevato, era anche necessario assicurarsi di avere più candidati alla successione sul trono.
4. Il matrimonio monogamico
Non mancano, ovviamente, casi di matrimoni e di famiglie più “classiche”, almeno dal nostro punto di vista. La storia di Rut e Booz ne fornisce un bell’esempio, così come il caso di Sara e Tobia, in un racconto tardivo che fa parte dei libri deuterocanonici. Nel libro di Tobia, troviamo un accenno esplicito al matrimonio monogamico così com’è presentato in Gn 2,18: “Tu hai creato Adamo e hai creato Eva sua moglie, perché gli fosse di aiuto e di sostegno. Da loro due nacque tutto il genere umano. Tu hai detto: «Non è cosa buona che l’uomo resti solo; facciamogli un aiuto simile a lui»” (Tobia 8,6).
In alcuni Salmi, ritroviamo l’immagine classica di una famiglia felice: “La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa” (Sal 128,3; cf. Sal 127,3-5; 144,12; Gb 29,5). Nei libri sapienziali, si elogia spesso la fedeltà coniugale (Pro 5,1-23) e la sposa esemplare (Pro 31,10-31). È diventato famoso il detto di Pro 5,15: “Bevi l’acqua della tua cisterna e quella che zampilla dal tuo pozzo”, che parla della sposa legittima. Troviamo riflessioni dello stesso tipo nel libro del Siracide: “Di tre cose si compiace l’anima mia, ed esse sono gradite al Signore e agli uomini: concordia di fratelli, amicizia tra vicini, moglie e marito che vivono in piena armonia” (Si 25,1; cf. 26,1-4).
La fedeltà nel matrimonio è di grande valore nell’Antico Testamento perché serve a descrivere addirittura la relazione esclusiva fra Dio e il suo popolo (Os 2,2,4-25; Ger 2,1-3; cf. Is 49,14-16; 54,5-8; Ez 16,1-62). Possiamo scoprire, nel retroterra dei testi, una volontà di mantenere l’unità e l’unicità in diversi campi della vita. Per Israele, vi è un solo Dio, un solo popolo, un solo tempio. Le esigenze della vita in un popolo spesso minacciato dai suoi vicini, in particolare gli Assiri prima e i Babilonesi dopo, creano una situazione ove i legami sociali sono di prima importanza per la sopravvivenza. La stabilità della famiglia era uno di questi elementi fondamentali. Per questo motivo, si capisce meglio l’oracolo di Malachia contro matrimoni misti, il divorzio e il ripudio (Ml 2,10-16). L’oracolo inizia, e non per caso, con un riferimento all’unicità di Dio: “Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Forse non ci ha creati un unico Dio?” (Ml 2,10).
In conclusione, la famiglia monogamica sembra essere quella più naturale e più abituale nell’Antico Testamento. D’altronde occorre aggiungere che la famiglia biblica tipica consta di tre generazioni, ed è meglio parlare di “famiglia allargata” piuttosto che di famiglia nucleare. L’individuo poteva sopravvivere solo a stento senza il sostegno di una parentela numerosa e magari benestante.
Negli altri casi ove la monogamia non è la regola, vi sono circostanze che spiegano l’evoluzione dell’istituzione. Il contesto culturale è sempre di prima importanza per capire le istituzioni, anche quella che sembra più “naturale” e universale, come il matrimonio. Persino i valori più essenziali sono scoperti in dati contesti storici.
5. I due tipi di appartenenza al popolo eletto
Senza entrare nei particolari, osserviamo che il Pentateuco, che rappresenta qualche cosa come la “costituzione” del popolo d’Israele, definisce in due modi complementari l’identità di tale popolo. In primo luogo, il libro della Genesi insiste sui legami naturali, i legami di sangue, e quindi sull’appartenenza a una “famiglia ebraica”, vale a dire una famiglia che può dimostrare di discendere da Abramo, Isacco e Giacobbe, ad esclusione di Ismaele, Esaù, Ammon o Moab, ad esempio. In secondo luogo, a partire dal libro dell’Esodo e fino alla conclusione del libro del Deuteronomio, assistiamo a un altro tipo di relazione basata sull’alleanza con Dio. In questo caso, i legami non sono più “naturali”, sono frutto di una scelta libera e dipendono dall’osservanza fedele della legge. I legami famigliari sono certamente ancora essenziali, però non sufficienti per far parte del popolo d’Israele.
6. Il matrimonio nel Nuovo Testamento
A dire il vero, il Nuovo Testamento non dice molto sulla famiglia come tale. Il vangelo insiste sul valore del matrimonio e si tratta di un matrimonio monogamico. L’adulterio, e anche il ripudio di una moglie, sono condannati senza mezzi termini (Mt 5,27-30.31-32; 19,1-9; cf. Mc 10,11-12; Lc 16,18; 1Cor 7,10-11). Gesù di Nazaret rinvia alla creazione piuttosto che alla legge di Mosè, secondo un principio tipico delle argomentazioni rabbiniche e non solo: la legge più antica prevale sulla legge più recente: “all’inizio però non fu così” (Mt 19,8). Inoltre, quello che è iscritto nella creazione è iscritto “nella natura delle cose” (Mt 19,1-9).
Ritroviamo la stessa concezione del matrimonio nell’insegnamento di Paolo: “[...] ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. Il marito dia alla moglie ciò che le è dovuto; ugualmente anche la moglie al marito” (1Co 7,2-3). Non deve stupire l’insistenza sui valori essenziali del matrimonio nel contesto del Nuovo Testamento: le prime comunità cristiane formavano una piccola minoranza all’interno di un’altra minoranza, il popolo ebraico, all’interno dell’immenso Impero Romano. In un tale con- testo, era di prima importanza salvaguardare solidi legami sociali, in particolare per quanto riguarda il matrimonio. Non stupisce, perciò, che il matrimonio sia usato dalla lettera agli Efesini per descrivere la relazione fra Cristo e la Chiesa in un passo difficile e molto discusso (Ef 5,23-32 che cita nuovamente Gn 2,24).
7. La famiglia e il discepolato sono incompatibili?
La famiglia, nonostante quanto appena detto, non sembra affatto al centro delle preoccupazioni del Nuovo Testamento. Ricordiamo il testo citato al principio della nostra riflessione: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” (Mc 3,33; Mt 12,48). Anzi, sembra che l’adesione al vangelo sia una causa di disintegrazione per la famiglia: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa” (Mt 10,34-36; Lc 12,51-53; cf. Mi 7,6).
In questo caso, il contesto è, con ogni probabilità, la situazione dei primi cristiani quando si è compiuta la separazione con il popolo ebraico. Possiamo facilmente immaginare che cosa accadesse quando un membro della famiglia decideva di aderire al vangelo di Gesù Cristo mentre gli altri membri della famiglia rimanevano fedeli alle tradizioni d’Israele. Sappiamo quanto era importante l’unità e la solidarietà del popolo in circostanze difficili, ad esempio durante la ribellione contro l’Impero Romano. Ora, i cristiani non hanno partecipato alla ribellione, forse perché troppo pochi, forse per seguire l’esempio di Gesù di Nazaret, e il suo atteggiamento contrario a ogni forma di violenza e, forse, soprattutto, perché i cristiani aspettavano che Gesù Cristo tornasse per stabilire il regno dei cieli.
In un contesto di grandi tensioni, le appartenenze non erano più unicamente quelle della famiglia, anche della famiglia allargata. Erano basate su convinzioni profonde, e adesioni a una causa che doveva unire tutte le famiglie o i membri delle famiglie. Si doveva pertanto scegliere: o la sorte del popolo ebraico o l’adesione al vangelo di Gesù di Nazaret. E si doveva scegliere fra un’azione immediata, una ribellione armata, oppure sperare nel ritorno del Messia, Gesù Cristo, risorto dai morti. Per questo motivo, vi sono diversi testi del Nuovo Testamento che insistono sulla priorità dei legami che uniscono i discepoli con il loro maestro sui legami di famiglia (e.g. Mt 19,29).
Nel vangelo di Giovanni, assistiamo a una vera progressione in merito alla propria famiglia di Gesù di Nazaret. Dopo le nozze di Cana, Gesù scende a Cafarnao con sua madre, i suoi fratelli e i suoi discepoli, tutti insieme (Gv 2,12). Più tardi, tuttavia, Gesù di Nazaret prende le distanze dai suoi “fratelli”: non li accompagna nel pellegrinaggio a Gerusalemme e vi si reca da solo (Gv 7,2-10). In effetti, neanche i suoi “fratelli” credevano in lui (Gv 7,5). Infine, dopo la risurrezione, quando il Risorto appare a Maria Maddalena, la invia ad annunziare la buona notizia ai suoi “fratelli” che sono chiaramente i suoi discepoli (Gv 20,17-18): “[...] va’ dai miei fratelli e di’ loro: «Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto”.
8. Conclusione
In poche parole, l’istituzione della famiglia non è del tutto univoca nella Scrittura. Vi sono capisaldi e costanti, però vi sono anche variazioni che si spiegano a partire dai contesti diversi. A ogni situazione corrisponde una risposta diversa, anche se non totalmente diversa. I grandi principi non esistono in un cielo puro di idee astratte. Si praticano in contesti vitali che richiedono risposte concrete, tenendo conto delle circostanze.
In secondo luogo, la famiglia, nelle sue differenti forme, è certamente alla base di ogni società umana. Una società, tuttavia, non è solo un insieme di famiglie. Un altro elemento si rivela indispensabile, un elemento che deriva da scelte libere e che potremmo chiamare un “contratto sociale”. Nell’Antico Testamento, si tratta dell’alleanza e dell’osservanza di una legge comune. Nel Nuovo Testamento, si tratta dell’adesione al vangelo di Gesù di Nazaret.
Esodo n° 4 ottobre-dicembre 2024
Famiglia, famiglie
contributi di
Ambrosini, Beraldo, Bolpin, Bruno, Campedelli, Checchini, Chinosi, Dalla Zuanna, Grillo, Naso, Pace, Salvarani, Saraceno, Savogin, Ska, Vecchio