Omelia 1 marzo 2012 (Ludwig Monti)
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1° marzo 2012, giovedì della I settimana di Quaresima
Mt 5,20-26
Mettiti presto d’accordo con
il tuo avversario mentre sei in cammino con lui
Stiamo
compiendo i primi passi del nostro cammino quaresimale, nel quale ci impegniamo
affinché «alla nostra osservanza
esteriore corrisponda un sincero
rinnovamento dello spirito» (colletta giov. post ceneri). Non c’è dunque nulla
di meglio che ascoltare il discorso della montagna, in cui Gesù ci chiede di
purificare il nostro cuore, fonte di pensieri, parole, azioni e omissioni.
Gesù
afferma: «Se la vostra giustizia non abbonderà più di quella
degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno». È una sovrabbondanza
qualitativa, una radicalizzazione dei precetti della Torah esigente e liberante:
esigente perché richiede di lottare per acquisire la purezza dell’intenzione;
liberante perché semplifica i tanti precetti riconducendoli al loro centro, il
comandamento di un amore intelligente verso il prossimo. Gesù traduce questa
istanza generale in alcuni esempi concreti. Oggi ci presenta la sua
interpretazione profonda e accrescitiva del: «Non uccidere». Per una volta
vorrei meditare solo sulla parte finale del suo insegnamento, spesso
trascurata: «Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre
sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il
giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non
uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».
Gesù
collega strettamente queste parole alla necessità del perdono da
accordare ai fratelli: «Lascia il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a
riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono». Sappiamo
bene che quello del perdono fraterno è un tema molto caro a Gesù, il quale
ritorna su di esso più volte, con un’insistenza parallela solo alla nostra
incapacità di comprendere e mettere in pratica le sue parole. Qui Gesù
estremizza i termini della questione, ricorrendo a toni forti. Ma ciò che è più
significativo è il fatto che Gesù si serva della metafora giudiziaria per
alludere al giudizio finale. Questo tratto escatologico è ancor più evidente
nel passo parallelo di Luca, dove la richiesta di accordarsi segue l’invito a
interpretare i segni dei tempi e a giudicare ciò che è giusto (cf. Lc 12,56-57):
i tempi messianici sono vicini, e per questo non bisogna ritardare neppure di
un istante la decisione di convertirsi (cf. Lc 13,1-5). Dunque, le prospettive
dei due evangelisti si completano: il modo di prepararsi al giudizio di Dio consiste
nel perdonare i fratelli nel quotidiano, nell’operare concretamente per la
riconciliazione e la pace tra di noi.
Comprendiamo
in tal senso l’intenzione profonda di Gesù. Egli non presenta Dio come un
giudice inflessibile né, tanto meno, come un creditore talmente esigente da
volersi vedere restituito fino all’ultimo spicciolo. Il punto è un altro: noi
siamo e saremo sempre debitori nei confronti di Dio, bisognosi del suo perdono
come dell’aria che respiriamo, ma questa verità, lungi dallo scoraggiarci, dovrebbe
essere da noi interpretata nella prospettiva fornitaci da Gesù. Egli ci chiede
di perdonare, di metterci d’accordo con gli avversari mentre siamo in cammino: senza tale comportamento ci è
letteralmente impossibile comprendere e gustare il perdono donatoci da Dio. Il
Vangelo non insiste sui nostri peccati per deprimerci, ma ci chiede di
riconoscerli e di saper chiedere o donare il perdono quando questi sono causa
di sofferenza: è così che possiamo conoscere il perdono fedele di Dio!
Ciò che dovrebbe attirare la nostra attenzione non
è dunque il tono minaccioso delle parole di Gesù, ma la sua capacità di
presentare il giudizio finale mediante una realtà quotidiana come quella della
lite tra noi uomini, che conosciamo – ahimè – molto bene. È un modo per dirci
che la modalità del giudizio è la medesima che riguarda le nostre relazioni di
ogni giorno: il giudizio comincia già qui e ora. Per questo dovremmo
comprendere che «niente rovina la nostra vita così come indugiare e rimandare
il compimento del bene; ciò spesso ci fa perdere tutto» (Giovanni Crisostomo). E dobbiamo comprenderlo mentre siamo in cammino.
Prima che sia troppo tardi.