Foglietto 18 marzo 2012 (Famiglie Visitazione)
1) Come Mosè innalzò il serpente nel deserto:
Gesù rivela a Nicodemo la sua missione servendosi dell’episodio di Nm 21,4-9:
gli israeliti si sono ribellati per la durezza del viaggio nel deserto, i
serpenti li mordono e li uccidono, si salvano volgendo lo sguardo ad un
serpente di bronzo issato da Mosè sopra un’asta.
2) Così bisogna che sia innalzato il Figlio
dell’uomo: il termine innalzato è
usato spesso nel NT per indicare la glorificazione di Gesù dopo la risurrezione. In Gv sta a indicare l’essere innalzato sulla croce, come in Gv
12,32-33: «E io, quando sarò
innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.
La croce e la gloria in Gv non sono due eventi separati, l’elevazione sulla
croce manifesta anche l’elevazione nella gloria.
3) Perché chiunque crede in lui non vada
perduto: alzare lo sguardo dalla situazione di morte come quella dei serpenti
di Nm. 21 e indirizzarlo verso il crocifisso
riconosciuto come figlio di Dio nella gloria è per Gesù il paradigma della fede.
4) Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare
il Figlio unigenito: la parola mondo
ha qui un significato generale, si parla di tutta l’umanità. Ma non si può dimenticare che la parola indica anche il luogo
della opposizione a Dio, come dice più sotto il v 19: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre
che la luce. Questo esalta l’importanza di questa
affermazione di Gesù: dietro alla sua missione, c’è l’amore incondizionato del
Padre per questo mondo, un mondo tutt’altro che ideale.
5) Non ha mandato il Figlio nel mondo per
condannare il mondo: il mondo sembra agli antipodi della santità di Dio,
Dio lo condannerà? No, Dio ha deciso di mandare il suo figlio per salvarlo, lui
è disceso dai cieli per riscattare l’umanità.
6) Chi crede in lui non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato:
il verbo è al presente, credere in lui significa sfuggire al giudizio e alla
inevitabile condanna, avere la vita già ora.
Il messia, secondo alcuni, doveva eliminare i malvagi.
Gesù nega questa eventualità: lui non è venuto per quel genere di giudizio.
Gesù non giudica chi non crede, il giudizio è operato da chi vuole in tutti i
modi auto-escludersi.
7) E il giudizio è questo, la luce è venuta
nel mondo: Gesù non contrappone le opere malvagie [lett. : maligne] e chi non vuole che vengano
alla luce, alle opere buone, bensì all’atteggiamento di chi viene verso la luce. Non si parla qui di morale, d’altra
parte secondo Gv c’è una sola opera, la fede (cfr.
Gv 6,28-29: «Che cosa dobbiamo compiere
per fare le opere di Dio?». Gesù
rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Qui si parla dell’atteggiamento interiore che c’è prima della fede: la paura
maligna dell’uomo rispetto al male che c’è in lui e che gli fa scegliere
orgogliosamente le tenebre dell’autosufficienza oppure l’accettazione della
verità, il riconoscere il proprio peccato e l’affidarsi alla misericordia del
Signore.
2Cronache 36,14-16. 19-23
1) In quei
giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà: l’idolatria di Israele consisteva
nell’adesione ai culti dei popoli vicini con la costruzione di altari e pali
presso gli alberi verdi, sui colli elevati, sui monti e in aperta campagna (cfr.
Ger 17,2). A questo avevano contribuito i
matrimoni contratti con donne straniere:
hanno preso in moglie le loro figlie, per sé e per i loro figli: così hanno
mescolato la stirpe santa con le popolazioni locali (cfr.
Esd 9,2).
2) …e contaminarono il
tempio: nel
tempio erano stati introdotti simboli idolatrici (ogni sorta di rettili e di animali
obbrobriosi) davanti ai quali gli anziani di Israele offrivano incenso.
All'ingresso dell'aula del tempio, fra il vestibolo e l'altare, altri Israeliti
si prostravano e adoravano il sole.
All’ingresso della porta del tempio le donne piangevano Tammuz, dea della
fertilità (cfr. Ez 8,5ss).
3) Il Signore, Dio dei loro
padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri: sono i profeti che furono
maltrattati, bastonati e uccisi.
4) Quindi incendiarono il
tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme :
il tempio fu incendiato perché doveva essere purificato ma i suoi arredi
sacri non andarono distrutti. Furono prima
portati a Babilonia da Nabucodonosor e poi riportati a Gerusalemme su ordine di
Ciro: Ciro fece prelevare gli utensili
del tempio del Signore, che Nabucodònosor aveva asportato da Gerusalemme … e li
consegnò a Sesbassàr, principe di Giuda» (Esd 1,7s).
5) Il re [dei Caldei] deportò a Babilonia gli scampati alla spada: l’esilio di Israele
è un misterioso gesto di amore e comunione di Dio verso il suo popolo che deve
essere preparato e purificato in vista delle nozze: Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò
nel deserto e parlerò al suo cuore. Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come
quando uscì dal paese d'Egitto. Ti farò
mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella fedeltà (Os 2,16. 17a. 21a. 22a).
Anche se l’esilio è voluto da Dio, Egli punirà il re di Babilonia per avere alzato
la mano sul popolo di Dio: quando saranno compiuti i settanta anni, punirò per i loro delitti il re
di Babilonia e quel popolo (Is 25,12).
6) Finché la terra non abbia
scontato i suoi sabati: nel
giorno di sabato Dio si è “riposato” (cfr. Gen
2,1-3). Così anche terra provata dai riti
idolatrici dovrà riposare e ritornare del Signore.
7) Così dice Ciro, re di
Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra:
vedere Is 45,1.
8) Il Signore, Dio dei cieli…
mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda: chiaramente la preoccupazione di
Dio è la ricostruzione del tempio.
9) Chiunque di voi
appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga: la Città Santa, Gerusalemme, secondo la tradizione ebraica si
trova nel punto più alto della terra, quello più vicino al Cielo.
Per questo un ebreo non dice: «Vado a Gerusalemme» ma dice: «Salgo a
Gerusalemme». I salmi che venivano cantati
nell’ultimo tratto del pellegrinaggio, ormai in vista di Gerusalemme, anche
nella nostra Bibbia CEI sono detti canti
delle salite.
Efesini 2, 4-10
1) Dio, ricco di misericordia, per il grande
amore con cui ci ha amati, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto
rivivere con Cristo: Paolo rassicura gli Efesini circa l’iniziativa
di amore di Dio nella loro vita; infatti: Egli dimostra il suo amore per noi
perché, mentre eravamo peccatori, Cristo è morto per noi (Rm 5,8).
La misericordia è la fedeltà di amore di Dio verso il suo popolo; è quindi
anche l’amore per il peccatore: Salomone stese le mani verso il cielo e
disse: Signore, Dio di Israele, non c'è un Dio come
te, né lassù nei cieli né quaggiù sulla terra! Tu mantieni l'alleanza e la
misericordia con i tuoi servi che camminano davanti a te con tutto il cuore (1Re 8,23).
2) Per grazia, infatti, siete stati salvati… e
ciò non viene da voi, ma è dono di Dio, né viene dalle opere, perché nessuno
possa vantarsene: Dio non ha aspettato la conversione degli uomini, ma li
ha prevenuti con il suo amore misericordioso, li ha salvati per grazia, cioè per
puro suo dono: il salario del peccato è la morte;
ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore (Rm 6,23). La grazia di Dio si riconosce nell’accettare, quieti, la
nostra debolezza: di me stesso invece non mi vanterò fuorché delle mie debolezze.
Certo, se volessi vantarmi, non sarei insensato, perché direi solo la verità;
ma evito di farlo, perché nessuno mi giudichi di più di quello che vede o sente
da me. Perché non montassi in superbia per la grandezza delle
rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana
incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia.
A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l'allontanasse da
me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia
potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».
Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la
potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi,
nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando
sono debole, è allora che sono forte (2Cor
12,5ss).
3) Con lui ci ha anche risuscitati: siamo
diventati partecipi della sua stessa vita.
Siamo infatti opera sua e dobbiamo camminare nelle sue opere buone.
SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE
Tra le molte indicazioni e domande che scaturiscono dai
testi biblici di questa domenica, c’è una questione che mi sembra di assoluto
rilievo, ed è quella che pone ogni esistenza davanti al giudizio.
Un giudizio che per il credente è il giudizio di Dio, e per il non credente è
in ogni modo il “giudizio” che stabilisce il riferimento di ogni vita ad un orizzonte
di valori, di speranze, di positività, in contrapposizione a negatività e
situazioni che si giudicano come errate, a livello della coscienza collettiva o
a quello della coscienza individuale. Che cosa
dice su questo la nostra tradizione ebraico-cristiana? Vorrei sottolineare
soprattutto due elementi di grande rilievo che mi pare di scorgere nelle
Scritture che oggi vengono proposte. La prima,
presente in tutti i tre testi, è l’affermazione che il “punto di partenza” del
giudizio divino è la condizione negativa, ferita, sbagliata, in cui si trova il
singolo uomo e tutta l’umanità. Da qui, nel
testo delle Cronache, il giudizio divino di condanna che porta all’esilio:
esilio dalla Terra, dal Tempio, esilio di tristezza ampiamente commentato dal
Salmo responsoriale 136(137). Non è un
giudizio definitivo, ma è un passaggio di redenzione per la salvezza.
Dio infatti non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma
perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”.
La “fede” è il grande dono divino, che nel testo evangelico è la persona stessa
di Gesù, e la sua opera di salvezza per tutta l’umanità.
E qui un’affermazione di importanza suprema: non c’è una condanna per chi non
crede! Piuttosto, chi non crede “è già stato condannato perché non ha creduto
nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”.
Dunque, è già in una condizione di condanna. E
la condanna è questa nostra vita, con tutte le sue vicende anche splendide, ma
con la sua inevitabile “condanna a morte”, e con tutto quello che tale condanna
getta di negativo su tutta la nostra breve-lunga vita.
D’altra parte, Efesini afferma con forza che la fede “non viene da voi, ma è
dono di Dio”. Potrà Dio non cercare e trovare
una via per giungere a tutti? Certo, so che io potrei rifiutare il dono! Ma di
nessun altro posso pensarlo con certezza.
L’altro elemento di grande rilievo, a conferma di quel “ritorno
alla Terra” annunciato dalle Cronache, è l’affermazione chiara e netta di
Paolo, secondo il quale “da morti che eravamo per le colpe, Dio ci ha fatto rivivere
con Cristo: per grazia siete salvati”. La
potenza di quest’opera di salvezza è l’innalzamento sulla Croce del Figlio
dell’uomo. Ma il termine di paragone di tale
innalzamento è il serpente innalzato nel deserto: c’erano serpenti velenosi che
uccidevano, ma il serpente innalzato salvava dalla morte.
Il serpente! Gesù e il serpente. Scrivendo ai
suoi fratelli di Corinto, e l’abbiamo già ascoltato il mercoledì delle Ceneri,
Paolo che dice che Gesù, “che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato
in nostro favore, perché in lui potessimo diventare giustizia di Dio”.
Lo ha fatto “serpente”! Per amore nostro si è rivestito di tutta la nostra
abiezione. Tutta.
Mi viene in mente la citazione che l’Evangelista Giovanni propone davanti a
Gesù crocifisso e trafitto: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”.
La salvezza è preparata per i suoi uccisori. È
mio compito e mio desiderio annunciare il Cristo, e questi, crocifisso.
Facciamolo insieme e l’uno per l’altro.