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Foglietto 18 marzo 2012 (Famiglie Visitazione)

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Giovanni 3,14-21
1) Come Mosè innalzò il serpente nel deserto: Gesù rivela a Nicodemo la sua missione servendosi dell’episodio di Nm 21,4-9: gli israeliti si sono ribellati per la durezza del viaggio nel deserto, i serpenti li mordono e li uccidono, si salvano volgendo lo sguardo ad un serpente di bronzo issato da Mosè sopra un’asta.


2) Così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo: il termine innalzato è usato spesso nel NT per indicare la glorificazione di Gesù dopo la risurrezione. In Gv sta a indicare l’essere innalzato sulla croce, come in Gv 12,32-33: «E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire. La croce e la gloria in Gv non sono due eventi separati, l’elevazione sulla croce manifesta anche l’elevazione nella gloria.
3) Perché chiunque crede in lui non vada perduto: alzare lo sguardo dalla situazione di morte come quella dei serpenti di Nm. 21 e indirizzarlo verso il crocifisso riconosciuto come figlio di Dio nella gloria è per Gesù il paradigma della fede.
4) Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito: la parola mondo ha qui un significato generale, si parla di tutta l’umanità. Ma non si può dimenticare che la parola indica anche il luogo della opposizione a Dio, come dice più sotto il v 19: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce. Questo esalta l’importanza di questa affermazione di Gesù: dietro alla sua missione, c’è l’amore incondizionato del Padre per questo mondo, un mondo tutt’altro che ideale.
5) Non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo: il mondo sembra agli antipodi della santità di Dio, Dio lo condannerà? No, Dio ha deciso di mandare il suo figlio per salvarlo, lui è disceso dai cieli per riscattare l’umanità.
6) Chi crede in lui non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato: il verbo è al presente, credere in lui significa sfuggire al giudizio e alla inevitabile condanna, avere la vita già ora. Il messia, secondo alcuni, doveva eliminare i malvagi. Gesù nega questa eventualità: lui non è venuto per quel genere di giudizio. Gesù non giudica chi non crede, il giudizio è operato da chi vuole in tutti i modi auto-escludersi.
7) E il giudizio è questo, la luce è venuta nel mondo: Gesù non contrappone le opere malvagie [lett.: maligne] e chi non vuole che vengano alla luce, alle opere buone, bensì all’atteggiamento di chi viene verso la luce. Non si parla qui di morale, d’altra parte secondo Gv c’è una sola opera, la fede (cfr. Gv 6,28-29: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Qui si parla dell’atteggiamento interiore che c’è prima della fede: la paura maligna dell’uomo rispetto al male che c’è in lui e che gli fa scegliere orgogliosamente le tenebre dell’autosufficienza oppure l’accettazione della verità, il riconoscere il proprio peccato e l’affidarsi alla misericordia del Signore.

2Cronache 36,14-16.19-23
1) In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà: l’idolatria di Israele consisteva nell’adesione ai culti dei popoli vicini con la costruzione di altari e pali presso gli alberi verdi, sui colli elevati, sui monti e in aperta campagna (cfr. Ger 17,2). A questo avevano contribuito i matrimoni contratti con donne straniere: hanno preso in moglie le loro figlie, per sé e per i loro figli: così hanno mescolato la stirpe santa con le popolazioni locali (cfr. Esd 9,2).
2)e contaminarono il tempio: nel tempio erano stati introdotti simboli idolatrici (ogni sorta di rettili e di animali obbrobriosi) davanti ai quali gli anziani di Israele offrivano incenso. All'ingresso dell'aula del tempio, fra il vestibolo e l'altare, altri Israeliti si prostravano e adoravano il sole. All’ingresso della porta del tempio le donne piangevano Tammuz, dea della fertilità (cfr. Ez 8,5ss).
3) Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri: sono i profeti che furono maltrattati, bastonati e uccisi.
4) Quindi incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme : il tempio fu incendiato perché doveva essere purificato ma i suoi arredi sacri non andarono distrutti. Furono prima portati a Babilonia da Nabucodonosor e poi riportati a Gerusalemme su ordine di Ciro: Ciro fece prelevare gli utensili del tempio del Signore, che Nabucodònosor aveva asportato da Gerusalemme … e li consegnò a Sesbassàr, principe di Giuda» (Esd 1,7s).
5) Il re [dei Caldei] deportò a Babilonia gli scampati alla spada: l’esilio di Israele è un misterioso gesto di amore e comunione di Dio verso il suo popolo che deve essere preparato e purificato in vista delle nozze: Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d'Egitto. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella fedeltà (Os 2,16.17a.21a.22a). Anche se l’esilio è voluto da Dio, Egli punirà il re di Babilonia per avere alzato la mano sul popolo di Dio: quando saranno compiuti i settanta anni, punirò per i loro delitti il re di Babilonia e quel popolo (Is 25,12).
6) Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati: nel giorno di sabato Dio si è “riposato” (cfr. Gen 2,1-3). Così anche terra provata dai riti idolatrici dovrà riposare e ritornare del Signore.
7) Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra: vedere Is 45,1.
8) Il Signore, Dio dei cieli… mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda: chiaramente la preoccupazione di Dio è la ricostruzione del tempio.
9) Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga: la Città Santa, Gerusalemme, secondo la tradizione ebraica si trova nel punto più alto della terra, quello più vicino al Cielo. Per questo un ebreo non dice: «Vado a Gerusalemme» ma dice: «Salgo a Gerusalemme». I salmi che venivano cantati nell’ultimo tratto del pellegrinaggio, ormai in vista di Gerusalemme, anche nella nostra Bibbia CEI sono detti canti delle salite.

Efesini 2, 4-10
1) Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: Paolo rassicura gli Efesini circa l’iniziativa di amore di Dio nella loro vita; infatti: Egli dimostra il suo amore per noi perché, mentre eravamo peccatori, Cristo è morto per noi (Rm 5,8). La misericordia è la fedeltà di amore di Dio verso il suo popolo; è quindi anche l’amore per il peccatore: Salomone stese le mani verso il cielo e disse: Signore, Dio di Israele, non c'è un Dio come te, né lassù nei cieli né quaggiù sulla terra! Tu mantieni l'alleanza e la misericordia con i tuoi servi che camminano davanti a te con tutto il cuore (1Re 8,23).
2) Per grazia, infatti, siete stati salvati… e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio, né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene: Dio non ha aspettato la conversione degli uomini, ma li ha prevenuti con il suo amore misericordioso, li ha salvati per grazia, cioè per puro suo dono: il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore (Rm 6,23). La grazia di Dio si riconosce nell’accettare, quieti, la nostra debolezza: di me stesso invece non mi vanterò fuorché delle mie debolezze. Certo, se volessi vantarmi, non sarei insensato, perché direi solo la verità; ma evito di farlo, perché nessuno mi giudichi di più di quello che vede o sente da me. Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l'allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte (2Cor 12,5ss).
3) Con lui ci ha anche risuscitati: siamo diventati partecipi della sua stessa vita. Siamo infatti opera sua e dobbiamo camminare nelle sue opere buone.

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

Tra le molte indicazioni e domande che scaturiscono dai testi biblici di questa domenica, c’è una questione che mi sembra di assoluto rilievo, ed è quella che pone ogni esistenza davanti al giudizio. Un giudizio che per il credente è il giudizio di Dio, e per il non credente è in ogni modo il “giudizio” che stabilisce il riferimento di ogni vita ad un orizzonte di valori, di speranze, di positività, in contrapposizione a negatività e situazioni che si giudicano come errate, a livello della coscienza collettiva o a quello della coscienza individuale. Che cosa dice su questo la nostra tradizione ebraico-cristiana? Vorrei sottolineare soprattutto due elementi di grande rilievo che mi pare di scorgere nelle Scritture che oggi vengono proposte. La prima, presente in tutti i tre testi, è l’affermazione che il “punto di partenza” del giudizio divino è la condizione negativa, ferita, sbagliata, in cui si trova il singolo uomo e tutta l’umanità. Da qui, nel testo delle Cronache, il giudizio divino di condanna che porta all’esilio: esilio dalla Terra, dal Tempio, esilio di tristezza ampiamente commentato dal Salmo responsoriale 136(137). Non è un giudizio definitivo, ma è un passaggio di redenzione per la salvezza. Dio infatti non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. La “fede” è il grande dono divino, che nel testo evangelico è la persona stessa di Gesù, e la sua opera di salvezza per tutta l’umanità. E qui un’affermazione di importanza suprema: non c’è una condanna per chi non crede! Piuttosto, chi non crede “è già stato condannato perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”. Dunque, è già in una condizione di condanna. E la condanna è questa nostra vita, con tutte le sue vicende anche splendide, ma con la sua inevitabile “condanna a morte”, e con tutto quello che tale condanna getta di negativo su tutta la nostra breve-lunga vita. D’altra parte, Efesini afferma con forza che la fede “non viene da voi, ma è dono di Dio”. Potrà Dio non cercare e trovare una via per giungere a tutti? Certo, so che io potrei rifiutare il dono! Ma di nessun altro posso pensarlo con certezza.
L’altro elemento di grande rilievo, a conferma di quel “ritorno alla Terra” annunciato dalle Cronache, è l’affermazione chiara e netta di Paolo, secondo il quale “da morti che eravamo per le colpe, Dio ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati”. La potenza di quest’opera di salvezza è l’innalzamento sulla Croce del Figlio dell’uomo. Ma il termine di paragone di tale innalzamento è il serpente innalzato nel deserto: c’erano serpenti velenosi che uccidevano, ma il serpente innalzato salvava dalla morte. Il serpente! Gesù e il serpente. Scrivendo ai suoi fratelli di Corinto, e l’abbiamo già ascoltato il mercoledì delle Ceneri, Paolo che dice che Gesù, “che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui potessimo diventare giustizia di Dio”. Lo ha fatto “serpente”! Per amore nostro si è rivestito di tutta la nostra abiezione. Tutta. Mi viene in mente la citazione che l’Evangelista Giovanni propone davanti a Gesù crocifisso e trafitto: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”. La salvezza è preparata per i suoi uccisori. È mio compito e mio desiderio annunciare il Cristo, e questi, crocifisso. Facciamolo insieme e l’uno per l’altro.

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