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La parola della domenica 25 Marzo 2012 (Casati)

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Ger 31,31-34
Eb 5,7-9
Gv 12, 20-33

"Vogliamo vedere Gesù": così alcuni Greci che erano saliti a Gerusalemme per la Pasqua. È commovente questo desiderio che tocca il cuore anche di chi viene da lontano. Da lontano veniva quel gruppo di Greci, e anche loro sfiorati dal desiderio.
Forse era un desiderio più puro di quello della folla che poco prima aveva accompagnato Gesù con rami di palma nella città santa. Me lo fa pensare l'entusiasmo con cui i discepoli si passano la notizia dei Greci: Filippo ad Andrea e poi Andrea e Filippo a Gesù. E, per inciso, mi è venuto spontaneo pensare che di questo dovrebbe gioire la chiesa, questa la notizia da passarci: il desiderio che ancora abita tanti uomini e tante donne del nostro tempo, non sempre frequentatori delle chiese, desiderio di vedere Gesù. Alcuni li vedremo venire nelle nostre chiese nei giorni della Settimana Santa. A portarli sarà il desiderio di vedere Gesù. Di questo dovremmo gioire, questa la notizia da passarci con emozione. Che cosa prova Gesù quando Andrea e Filippo gli riferiscono di quel gruppo di Greci? Era come se quella richiesta riproponesse alla sua mente e al suo cuore l'imminenza della sua ora, l'ora dell'innalzamento sulla Croce, l'ora autentica dello svelamento: là l'avrebbero finalmente visto, là l'attrazione, che ora aveva condotto alcuni greci, sarebbe diventata attrazione universale. Il segreto dell'attrazione era quello della sua morte di Croce, l'attrazione suprema del gesto smisurato dell'amore: "Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me". Il desiderio dei Greci diceva al suo cuore che l'ora era vicina. Per quest'ora lui era venuto. Un'ora dunque desiderata, ma nello stesso tempo, carica di turbamento: "Ora l'anima mia" -confessa Gesù - "è turbata". Come è consolante per me, ma penso anche per voi, questa confessione di Gesù, una confessione di turbamento. Come ci accompagna e ci dà forza nei momenti in cui davanti a tanti drammi della vita, e soprattutto davanti al dramma della morte, pure noi, come lui, sentiamo l'anima turbata. Ma, nello stesso tempo, come è grande Gesù, grande in questa decisione di non tornare indietro: "E che devo dire, Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora. Padre, glorifica il tuo nome". Nemmeno il Figlio dell'uomo, l'unigenito Figlio del Padre, nemmeno lui, dunque, fu salvato dalla morte. E, in questa luce, trova la sua vera interpretazione il brano della lettera agli Ebrei che oggi abbiamo ascoltato, là dove è scritto: "Nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà". In che senso "esaudito"? Non nel senso dell'essere risparmiato dalla morte. Nella morte è entrato come noi, come noi è caduto nella terra, ma Dio da quella terra, che sembrava il segno della vittoria del male e della morte, da quella terra l'ha risuscitato. E così Dio ha glorificato il suo nome. Perché la morte - la morte di nessuno - può essere una gloria di Dio. Il suo nome non è glorificato nella morte, bensì nella vita dei suoi figli. E noi oggi torniamo alle nostre case con il dono della piccola parabola di Gesù, la parabola del chicco di grano caduto in terra. Parabola dell'ora di Gesù che tra pochi giorni rivivremo: per tre giorni caduto nella terra, nell'invisibilità, nel silenzio, tolto -pensava qualcuno- per sempre. Ma il seme riposava nella terra: è rigermogliato, è risorto, non è morto, e noi ancora oggi vediamo l'albero dare frutti, molti frutti. La linfa giunge fino a noi. E ci fa vivi, riscattati dai nostri inaridimenti. La piccola parabola ci viene consegnata non solo come memoria, come racconto di Gesù, ma come invito: "Se uno mi vuol servire, mi segua". Al verbo vedere si accompagna il verbo seguire. "Vogliamo vedere Gesù": era il desiderio. Ora ti viene detto: hai visto, seguilo. Anche tu sii chicco di grano: fuggi l'esteriorità, l'innalzamento, il mito del successo, il rumore delle parole, la smania della visibilità. Sta nella terra di tutti, nell'apparente insignificanza dei gesti quotidiani, nella dedizione apparentemente inosservata, sta nella terra dell'apparente insuccesso, nella terra delle domande senza risposta. E ricorda, ricorda al tuo cuore la piccola parabola di Gesù: il seme - è una promessa - "produce molto frutto". Già da oggi, anche se gli occhi stanchi non vedono.
Fonte:sullasoglia
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