Foglietto 4 marzo 2012 (Famiglie Visitazione)
1) Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e
Giovanni: la presenza dei tre discepoli richiama un episodio della passione,
quando Gesù al Getsemani prese con sé
Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia (Mc
14,33). In effetti, la trasfigurazione di Gesù è preceduta dal primo annunzio
della passione. Pietro, turbato dall’annuncio, ha provato a dissuadere Gesù da
quella prospettiva, ma il Maestro ha invitato tutti i discepoli a prendere la
croce e a seguirlo: perché chi vuole
salvare la propria vita, la perderà (Mc 8,35). Questo è il contesto del
racconto della trasfigurazione.
2) Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti,
bianchissime: la trasfigurazione è una liturgia, che mostra il volto vero
della realtà. Pietro aveva patito una delusione da Gesù a causa dell’annuncio
della passione. Ma la condizione di Gesù, che si è rivelato come il servo di
Jahwe, è avvolta di splendore divino. Il candore straordinario delle vesti (nessun lavandaio sulla terra potrebbe
renderle così bianche) manifesta per qualche istante Gesù in una
anticipazione della gloria della resurrezione.
3) E apparve loro Elia con Mosè e conversavano
con Gesù: il parallelo di Lc ci rivela che parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme (Lc
9,31). Quel Gesù, che si sta avviando verso la passione e la morte, conversa
con Mosè ed Elia e appare come il compimento della legge e dei profeti.
4) è
bello per noi essere qui: la richiesta di Pietro di prolungare quella
esperienza attraverso le tre capanne viene considerata dal testo come frutto
della confusione. Considerando anche quello che il Signore dirà scendendo dal
monte, l’uscita di Pietro appare come una proposta di fuga dalla realtà.
5) Venne una nube che li coprì con la sua
ombra: il testo richiama la teofania di Esodo 24: La gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo
coprì per sei giorni (Es. 24,16). Il fatto dell’ombra che copre tutti
quelli che si trovano sul monte sembra anche una risposta alla richiesta di
Pietro: la tenda è unica, la testimonianza di Mosè ed Elia è in perfetto
accordo con la missione di Gesù.
6) Dalla nube uscì una voce «Questi è il
Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!»: si ripete quello che successe durante
il Battesimo al Giordano, ma qui assume una luce nuova: il figlio dell’uomo che
ha annunciato la sua passione è il Figlio di Dio. Questa rivelazione aveva
provocato il rifiuto dei discepoli: per questo forse la voce dall’alto alla
rivelazione della natura di Gesù aggiunge quella esortazione: ascoltatelo!
7) E improvvisamente… non videro più nessuno,
se non Gesù solo, con loro: la “liturgia” è finita e i discepoli sono
consegnati alla loro vita, a seguire Gesù nella suo viaggio verso Gerusalemme.
Anche il comando di non parlare dell’esperienza appena fatta, va nella
direzione di interpretare la Trasfigurazione come una necessaria illuminazione
della realtà a cui stanno andando incontro.
Genesi 22,1-2.9a.10-13.15-18
1) Dio mise
alla prova Abramo e gli disse “ Abramo”: il comando di Dio di sacrificare il figlio Isacco non solo
mette alla prova l’amore paterno di Abramo, ma soprattutto mette in questione
la sua fede. In questo più propriamente consiste la prova di Abramo (Gen
15,1-6;17,1-8;18,9-15). Infatti, se Abramo disobbedisce a Dio e non sacrifica
il figlio perde Dio per aver amato suo figlio più di Dio, ma se sacrifica il
figlio perde lo stesso Dio in quanto la promessa, cui Abramo aveva creduto, si
deve realizzare attraverso Isacco (Eb 11,17). La prova radicale della fede cui
l’eletto viene sottoposto è un tema che percorre tutta la Scrittura, trovando
il suo apice nella passione del Signore Gesù, che introduce la prova di Abramo all’interno stesso di Dio. Infatti, secondo la prospettiva
cristiana, il sacrificio di Isacco è figura del sacrificio del Figlio Gesù,
offerto sulla croce per volontà del Padre, a salvezza del mondo (Gv 3,13-17).
2) Prendi
tuo figlio, il tuo unigenito [in ebraico: il tuo unico, in greco: l’amato] che ami
Isacco... e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò: Dio
incalza Abramo (che ha come figlio anche Ismaele), chiedendogli di offrire come
olocausto proprio Isacco, cioè proprio il figlio destinatario della promessa,
l’unigenito, l’amato. L’olocausto è un sacrificio da consumarsi interamente sul
fuoco; per la totalità che lo contraddistingue bene esprime la radicalità
dell’offerta richiesta ad Abramo. Il termine, che il testo greco dei LXX usa a
proposito d’Isacco chiamandolo “l’amato”, viene usato nel Vangelo dal
Padre celeste per indicare il Figlio Gesù. Così avviene anche nel vangelo della
trasfigurazione di questa Domenica (Mc 9,7).
3) Così
arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato, qui Abramo costruì l’altare,
collocò la legna: purtroppo a questo punto il lezionario si discosta dal
testo biblico (v 4-8) riassumendolo, per cui si perdono elementi importanti
della narrazione, principalmente per quanto riguarda Isacco, che nel racconto
biblico viene caricato del peso della legna dell’olocausto e viene legato. Per
questo nella tradizione ebraica il sacrificio d’Abramo viene chiamato“legamento
d’Isacco”, ad indicare l’atteggiamento del figlio, che si consegna alla volontà
del padre con mitezza, pur sapendo quanto l’attende. Inoltre nel testo biblico
si dice che Abramo alza gli occhi e da lontano vede il luogo del
sacrificio. Il vedere, che ricorre anche in altri versetti di questo
episodio,costituisce un ulteriore collegamento con il vangelo di questa
Domenica, in cui i tre discepoli vedono il Signore trasfigurarsi. Il luogo del
sacrificio (che secondo la tradizione coincide col luogo in cui verrà edificato
il tempio di Gerusalemme) non può che essere indicato da Dio, perché il culto
d’Israele è un atto di obbedienza alla Parola di Dio.
4) L’angelo
disse: non stendere la mano contro il ragazzo... Ora so [lett: conosco]
che temi Dio e non mi hai rifiutato il tuo figlio: “ora”, proprio ora, Dio
conosce il cuore di Abramo perché il “conoscere” nella Scrittura, soprattutto
se riferito alla conoscenza dei cuori, non si esaurisce in un atto
intellettuale di comprensione, ma è, massimamente in Dio, una conoscenza
esperienziale in quanto è un’unione nell’amore (1Cor 13,2), che esige
l’incontro con l’altro nella concretezza della storia. Il timore di Abramo nei
confronti di Dio (Gen 12,4; 16,12), in questa prova si trasfigura per diventare
più radicalmente pura fede nel suo amore gratuito (Rm 4,16) e speranza, contro
ogni speranza (Rm 4,18), in colui che può anche risuscitare i morti e dunque
anche il figlio Isacco (Eb 11,8-10; Eb 11,17-19).
Romani 8,31b-34
1) Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? I
Giudei convertiti della chiesa di Roma ricevono da Paolo queste parole per
essere tranquillizzati circa il rapporto tra la Grazia di Gesù e la Legge di
Mosè: ora, dunque,non c'è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo
Gesù. Perché la legge dello Spirito, che da vita in Cristo Gesù, ti ha liberato
dalla legge del peccato e della morte. Infatti ciò che era impossibile alla
Legge, resa impotente a causa della carne, Dio lo ha reso possibile: mandando
il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato
(Rm 8,1ss). Il peccato e la sua pena sono quindi stati redenti da sangue
del Cristo in croce e la morte che è l'effetto del peccato è stata vinta dalla
Pasqua del Signore.
2) Egli che non ha risparmiato il proprio
Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa
insieme a lui? Il peccato dell'uomo non è più grande del perdono di Dio: chi
ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la
persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto: per
causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da
macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che
ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né
principati né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né
alcun'altra creatura, potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo
Gesù nostro Signore (Rm 8,35ss).
3) Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha
scelto? Dio è colui che giustifica. Chi Condannerà? Se non è Dio che accusa
e che condanna allora non lo può proprio fare nessuno: gli scribi e farisei
gli condussero una donna sorpresa in adulterio... Gesù si alzò e le disse:
donna dove sono? Nessuno ti ha condannata? Ed ella rispose: nessuno Signore. E
Gesù disse: neanche io ti condanno, va' e d'ora in poi non peccare più (Gv 8,1ss).
SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE
L’incontro tra il sacrificio di Isacco – che è in realtà
il sacrificio di Abramo! – e la trasfigurazione di Gesù orienta in modo forte
questa domenica verso quello che la scorsa domenica poteva essere stato
lasciato scoperto. Gesù, che è Dio, ci aveva mostrato in se stesso, nei
quaranta giorni del deserto, tentato da Satana, con gli animali selvatici e la
diaconìa degli angeli, il nuovo volto profondo dell’esistenza umana visitata
dalla carne di Dio e fatta nuova. Restava forse aperto un quesito, e
provocatoria una domanda: e la morte? Che ne è della morte, delle sue “ragioni”
(se ci sono!) e del suo posto nella vita nuova donata all’umanità nella persona
di Gesù? E la risposta netta, anche se da chiarire, è già nella vicenda del
monte Moria: la morte è offerta della vita. Perché così certamente è avvenuto
per Abramo e per suo figlio. La tradizione ebraico-cristiana non nutre dubbio su
questo. Il braccio fermato dall’angelo non attenua il sacrificio che i due
hanno già radicalmente celebrato nel loro cuore e nella loro volontà. Tuttavia
quel “braccio fermato” è rimando al momento della sua pienezza che è la Pasqua
di Gesù.
In mezzo sta il monte della Trasfigurazione e la voce del
Padre su questo Figlio, per i suoi primi ascoltatori. Il commento più diffuso
di questo prodigio lo pone come affermazione che la morte è ora, a motivo di Gesù,
“via” per la risurrezione. Noi possiamo chiederci se non si può fare un passo
di più. La centralità stessa del “crocifisso” nella nostra tradizione di fede,
e persino la grande tradizione iconografica che amava in antico raffigurare il
Signore sulla croce con gli occhi aperti, impongono un’attenzione più intensa
sul mistero stesso di questa sua morte e quindi sulla morte. Proviamo allora ad
affermare che il “sacrificio” cristiano si pone in antitesi radicale nei confronti
di ogni altro “sacrificio religioso”. Il braccio fermato di Abramo non attende
solo una pienezza, ma addirittura un “capovolgimento” che porta sino alla
rivelazione assolutamente straordinaria che non è l’uomo a fare sacrifici a
Dio, ma è Dio, che nel Padre e nel Figlio, nella potenza dello Spirito, offre
Se stesso in sacrificio per l’uomo. Al punto che la morte diventa, in Gesù,
suprema rivelazione dell’Amore. Oggi si ascolta con trepidante gioia la parola
dell’Apostolo che scrive ai Romani: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?
Egli, che non ha risparmiato il proprio figlio, ma lo ha consegnato per tutti
noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?”.
Dato quel “divino” sacrificio, non ci possono più essere
sacrifici. Possiamo solo, eternamente, celebrare, che è “entrare nel per sempre
presente sacrificio d’amore” di Dio per l’umanità, possiamo solo celebrare
l’unico sacrificio per sempre. Cose di cui, secondo Gesù non si può parlare se
non “dopo” la sua croce. Questa è ormai per sempre la grande avventura di Gesù:
la salvezza dell’umanità! Il suo accostarsi da samaritano, e quindi da straniero
e da eretico rispetto alle “religioni” ai loro “sacrifici” e ai loro tribunali,
ad ogni uomo e donna caduto e destinato alla morte sulla via che precipita da
Gerusalemme, per prendersi cura di lui. E per affidarlo a noi, come noi siamo
affidati tutti gli uni agli altri, per custodirci nella grande terapia della
speranza e dell’amore, fidandoci di Lui. Con fede. E questa è allora per noi,
per ciascuno di noi, la nostra morte. La morte “nuova”. La morte che è appunto
“dare la vita”. Morte dilatata ad ogni tempo della vita, per renderla sempre feconda.
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