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Riflessioni sulle letture 1 aprile 2012 (Manicardi)

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domenica 1 aprile 2012
Anno B
Processione Mc 11,1-10



Il vangelo presenta il cammino di avvicinamento di Gesù a Gerusalemme, movimento che introduce Gesù negli eventi dell’ultima settimana della sua vita e dunque nella sua passione e morte. Gesù appare abitato da grande autorità: egli sa il senso del cammino che sta compiendo, sa dove lo sta portando, e lo accoglie con libertà e risolutezza (cf. Mc 10,32-34).
La sua autorevolezza, il suo prevedere gli eventi, la sua determinazione, nascono dalla sua conoscenza della volontà di Dio e dalla sua obbedienza alla parola della Scrittura. La sua è l’autorevolezza dell’obbediente. La volontà di Dio diviene volontà di Gesù.
Il gesto profetico che Gesù decide di compiere inviando due discepoli a cercare, sciogliere e condurgli un asino che gli servirà di cavalcatura, non è equiparabile alle requisizioni che i re potevano permettersi di fare (cf. 1Sam 8,16). Gesù si premura di dire ai due discepoli che non tratterrà per sé l’asino, ma lo restituirà subito (cf. Mc 11,3). Il testo sottolinea la povertà di Gesù, il suo essere un paradossale signore: signore che ha bisogno di un asino, se lo fa portare, ma promette di restituirlo subito. Gesù dispone gli eventi perché alla luce delle Scritture emerga la qualità messianica del cammino verso Gerusalemme: l’asino è la cavalcatura del Messia povero e mite di Zc 9,9; è l’asino “legato” di cui aveva parlato Giacobbe morente a suo figlio Giuda benedicendolo nella profezia messianica di Gen 49,10-11; il corteo che accompagnerà questo ingresso mostra tratti regali, come appare dai mantelli stesi sulla strada e dalle parole di ovazione (cf. 2Re 9,13). E tuttavia la concezione messianica che Gesù vive è molto distante da quella che viene intesa dalla folla, come appare dalle parole del salmo 118 utilizzate dai presenti per acclamare re Gesù (cf. Sal 118,25-26 in Mc 11,9-10) e da quelle, tratte dallo stesso salmo, che Gesù userà per rivelare il rigetto del Figlio da parte dei vignaioli, cioè il rigetto dell’inviato di Dio da parte dei capi d’Israele, insomma, per annunciare l’evento pasquale:

 La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri (Sal 118,22-23 in Mc 12,10-11).

La messianicità di Gesù si manifesterà negli eventi tragici e gloriosi della morte e della resurrezione. L’ingresso in Gerusalemme è un atto che mette in luce la difficile interpretazione della figura di Gesù. L’acclamazione: “Benedetto il regno del nostro padre David” proietta su Gesù la messianicità dinastica dei discendenti di David e connette a lui le attese politico-nazionalistiche connesse a tale immagine messianica tradizionale. Viene tolta a Gesù la sua novità disarmante e dirompente e gli viene attribuita la dimensione già nota del “regno del nostro padre David”. I presenti fanno rientrare Gesù nella loro attesa, nei loro desiderata, e così ne ammortizzano lo scandalo; quasi che bastasse dire: “Abbiamo David per padre” per essere beneficiari della salvezza! Gesù annuncia e vive “il Regno di Dio”, non “di David”, e tale regalità apparirà nell’evento pasquale.
Anche l’invocazione “Osanna”, che letteralmente significa “Signore, salva!”, diviene formula stereotipa che non invoca ma celebra, non supplica ma manifesta una certezza, non chiede ma presume. Mentre invochiamo salvezza già presumiamo salvezza. Mentre dichiariamo di attendere il Signore, ne addomestichiamo la figura perché ci confermi nelle nostre attese. E così il testo vaglia il possibile traviamento delle nostre ermeneutiche esistenziali, ecclesiali e storiche di Gesù e del suo cammino. Il cammino di Gesù non è solo sottoposto al rischio dell’incomprensione, ma anche della cattiva comprensione, dell’interpretazione interessata, che non scomoda, non mette in crisi, ma conferma.
“Un uomo impara in base alle vie che percorre”, dice un testo della tradizione ebraica. La chiesa, all’inizio della settimana santa è più che mai chiamata a interrogarsi sui sentieri che percorre e a imparare dal cammino di Gesù per giungere a camminare tra gli uomini come lui ha camminato.

 Celebrazione eucaristica Anno B 
 Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47 

La figura del Servo del Signore, che nell’obbedienza alla parola di Dio e nella fiducia in lui trova la forza per sopportare violenze e sofferenze (I lettura), introduce alla contemplazione di Gesù nella sua passione e morte (vangelo), evento culminante del movimento di abbassamento e obbedienza del Figlio di Dio (II lettura): “Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,8).
Il racconto marciano della passione sottolinea quell’aspetto di paradosso e di ossimoro caro al secondo vangelo. La potenza di Dio si manifesta nella debolezza umana di Gesù; la morte infamante e orrenda di Gesù lo proclama Figlio di Dio (cf. Mc 15,39); quell’uomo vilipeso, quel corpo percosso, quel volto negato (cf. Mc 14,65) è diretta rivelazione del volto di Dio. Gesù appare profeta ridotto al mutismo (cf. Mc 14,65), veggente a cui è velata la faccia (cf. Mc 14,65), re deriso (cf. Mc 15,12-13), Messia impotente (cf. Mc 15,32), Salvatore perduto (cf. Mc 15,29-32). Le immagini religiose e sacrali con cui l’uomo ammanta il divino devono passare attraverso l’impietoso vaglio della passione e della morte di Gesù perché si possa incontrare il vero volto di Dio.
La passione ci introduce nell’ultima fase della vita di Gesù. Fase scandalosa che mette alla prova lo sguardo di fede dell’uomo e costituisce un angolo prospettico che sembra smentire tutto ciò che Gesù ha fatto ed è stato. Colui che ha attirato folle e creato una comunità itinerante di discepoli viene rigettato dalle folle e abbandonato dai discepoli. Colui che ha curato e guarito molti malati, ora si trova nell’impotenza di salvare chicchessia. Colui che ha annunciato il vangelo del Regno con potenza di parola, ora entra progressivamente nel silenzio. Colui che ha vissuto una vita di fedeltà al Dio unico, si vede condannato dalle legittime autorità religiose del popolo di Dio. Colui che ha sempre nutrito una relazione personalissima di confidenza con il Dio che chiamava “Abbà”, ora gli si rivolge con una domanda che grida l’enigma del sentirsi abbandonato da Lui. In questi eventi vi è qualcosa che sembra dichiarare falso tutta la vita precedente di Gesù, la sua fede, il suo amore, la sua speranza. E così un’intera vita spesa nella donazione di sé per gli uomini e nella fedeltà obbediente al Padre, nell’amare e nel benedire, si trova sepolta sotto il peso dell’infamia che Gesù vive e subisce nei suoi ultimi momenti. E anche il discepolo può terminare la sua vita sotto il peso infamante di una calunnia o di una caduta che ottenebrano la luce che ha sparso in tutta la sua vita: ma un uomo è sempre tutta la sua vita, non un solo momento, fosse pure quello estremo. La passione di Gesù purifica lo sguardo del credente liberandolo dalla tentazione di giudicare, dare sentenze, condannare.
Nella passione emerge poi la signoria di Gesù. Egli affronta gli eventi con la grande libertà che gli deriva dall’obbedienza alle Scritture (cf. Mc 14,18.27.62) e con la forza che gli viene dalla preghiera (cf. Mc 14,32-42): preghiera inesaudita ma che gli fa accettare il cammino tragico che lo attende come occasione di fede, speranza e amore nel suo Dio (“Non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”: Mc 14,36). Questo libero abbandono al volere del Padre è la forza profonda di Gesù. Forza che manca ai discepoli che non vegliano né pregano e sono perciò sorpresi dagli eventi e abbandonano la sequela (cf. Mc 14,50). La fine di Gesù è anche il momento del fallimento della sua comunità, dello scacco del gruppo di coloro che egli aveva scelto perché stessero con lui. Eppure, proprio allora sorgono altri discepoli, là dove nessuno se li sarebbe aspettati. La donna di Betania che profuma il corpo di Gesù “in vista della sepoltura” (cf. Mc 14,3-9), Simone di Cirene che porta la croce dietro a Gesù (Mc 15,21), il centurione che confessa “Figlio di Dio” il crocifisso (Mc 15,39), Giuseppe di Arimatea, che aspettava il Regno di Dio e riceve il corpo di Gesù (cf. Mc 15,43-46). Il chicco di grano caduto a terra trova inattesi e impensabili terreni buoni che lo accolgono e portano frutto.
LUCIANO MANICARDI
Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno B
© 2010 Vita e Pensiero

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