Riflessioni sulle letture 25 marzo 2012 (Manicardi)
domenica 25 marzo 2012
Anno B
Ger 31,31-34; Sal 50; Eb 5,7-9; Gv 12,20-33
Ger 31,31-34; Sal 50; Eb 5,7-9; Gv 12,20-33
Le letture della quinta domenica di Quaresima vertono sull’annuncio della nuova alleanza che si fonderà su un atto di perdono dei peccati da parte di Dio (I lettura). Questa alleanza è stabilita nel Figlio Gesù Cristo costituito sommo sacerdote grazie a un’investitura nella carne, ottenuta mediante l’obbedienza fino alla morte di croce (II lettura). Innalzato da terra, infatti, Cristo inizierà il raduno universale: ma l’attrazione che egli esercita non è solo alla gloria, ma anche all’assunzione della croce fino al dono di sé (vangelo).
Il passo evangelico ci pone di fronte al paradosso della rivelazione cristiana. Alla domanda di alcuni greci che chiedono: “Vogliamo vedere Gesù”, Gesù risponde nascondendosi. O meglio, vedendo nella ricerca di quei pagani il segno che ormai la sua ora è giunta. Di fronte ai pagani che vogliono incontrarlo, Gesù annuncia la sua morte. E anche questi greci non “vedranno” Gesù se non con sguardo di fede illuminato dallo Spirito santo a partire dall’evento pasquale; anch’essi godranno della beatitudine di chi crede senza avere visto (cf. Gv 20,29). Il cristiano è, costitutivamente, senza visione: l’esperienza e l’incontro con il Signore avvengono solo nella fede. I cristiani “amano Gesù Cristo pur senza averlo visto e, senza vederlo, credono in lui” (1Pt 1,8). Se la fede è “fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” (Eb 11,1), lo sguardo della fede sa vedere in Gesù il Figlio di Dio, nel crocifisso l’innalzato, nella croce la gloria.
Questo sguardo di fede è vicino allo sguardo simbolico con cui Gesù vede la realtà e la assume per parlare in modo parabolico della sua morte e resurrezione. Nel chicco di grano caduto a terra e che deve morire per dare frutto, Gesù vede la necessità della sua passione e morte e l’inestricabile rapporto tra croce e gloria. Il portare molto frutto del chicco di grano caduto a terra (12,24) evoca l’attrazione universale esercitata da colui che è innalzato da terra (12,32). Ecco lo sguardo di fede: vedere (e credere) l’invisibile nel visibile e attraverso di esso. E in un visibile che sembra agli antipodi dell’invisibile: vedere la gloria nella croce infamante.
Le parole di Gesù indicano anche che egli si dispone non a subire, ma a fare della morte un atto, a viverla in quello stesso amore in cui ha vissuto. Gesù narra così che chi ha una ragione per vivere ha anche una ragione per morire. L’amore che ha animato la sua vita diviene ora l’amore che vivifica la sua morte. Ma mentre intravede la sua morte, Gesù scorge anche la via dolorosa (e gloriosa) che il credente dovrà percorrere per seguirlo. “Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io là sarà anche il mio servo” (Gv 12,26). Il “vedere Gesù” viene riportato nell’alveo della quotidiana prassi di sequela perseverante: non evoca visioni mistiche, né un approccio gnostico, né esperienze intense ma momentanee. Seguire Gesù è seguirlo ogni giorno nella via dell’amore e della donazione di sé. E grande gioia abita il credente quando nel suo opaco quotidiano perseverare sulle (confessate per fede) tracce di Gesù, egli sperimenta di soffrire a causa di Gesù. Allora egli può sapere, nella fede, di aver veramente qualcosa in comune con il suo Signore. Allora egli capisce come l’infamia e la sofferenza possano essere gloria.
Il desiderio del credente – “vedere Gesù” – deve conoscere il rischio della fede. Se il desiderio è sempre teso alla vita, il desiderio cristiano (vedere il volto del Signore) deve passare attraverso il vaglio del rischio della vita. La logica del chicco di grano vale anche per il credente (Gv 12,25). Ma questa logica è liberante: libera dalla tirannia del proprio “io”, della riuscita a ogni costo, dell’affermazione di sé a scapito degli altri, del vedere sempre e solo se stessi. Anzi, questo desiderio non deve evadere dalla storia e dalla compagnia degli uomini, ma discernere il volto di Cristo nel volto dei fratelli. Recita un detto non scritto di Gesù riportato da Clemente di Alessandria: “Hai visto tuo fratello? Hai visto Dio”.
Il passo evangelico ci pone di fronte al paradosso della rivelazione cristiana. Alla domanda di alcuni greci che chiedono: “Vogliamo vedere Gesù”, Gesù risponde nascondendosi. O meglio, vedendo nella ricerca di quei pagani il segno che ormai la sua ora è giunta. Di fronte ai pagani che vogliono incontrarlo, Gesù annuncia la sua morte. E anche questi greci non “vedranno” Gesù se non con sguardo di fede illuminato dallo Spirito santo a partire dall’evento pasquale; anch’essi godranno della beatitudine di chi crede senza avere visto (cf. Gv 20,29). Il cristiano è, costitutivamente, senza visione: l’esperienza e l’incontro con il Signore avvengono solo nella fede. I cristiani “amano Gesù Cristo pur senza averlo visto e, senza vederlo, credono in lui” (1Pt 1,8). Se la fede è “fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” (Eb 11,1), lo sguardo della fede sa vedere in Gesù il Figlio di Dio, nel crocifisso l’innalzato, nella croce la gloria.
Questo sguardo di fede è vicino allo sguardo simbolico con cui Gesù vede la realtà e la assume per parlare in modo parabolico della sua morte e resurrezione. Nel chicco di grano caduto a terra e che deve morire per dare frutto, Gesù vede la necessità della sua passione e morte e l’inestricabile rapporto tra croce e gloria. Il portare molto frutto del chicco di grano caduto a terra (12,24) evoca l’attrazione universale esercitata da colui che è innalzato da terra (12,32). Ecco lo sguardo di fede: vedere (e credere) l’invisibile nel visibile e attraverso di esso. E in un visibile che sembra agli antipodi dell’invisibile: vedere la gloria nella croce infamante.
Le parole di Gesù indicano anche che egli si dispone non a subire, ma a fare della morte un atto, a viverla in quello stesso amore in cui ha vissuto. Gesù narra così che chi ha una ragione per vivere ha anche una ragione per morire. L’amore che ha animato la sua vita diviene ora l’amore che vivifica la sua morte. Ma mentre intravede la sua morte, Gesù scorge anche la via dolorosa (e gloriosa) che il credente dovrà percorrere per seguirlo. “Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io là sarà anche il mio servo” (Gv 12,26). Il “vedere Gesù” viene riportato nell’alveo della quotidiana prassi di sequela perseverante: non evoca visioni mistiche, né un approccio gnostico, né esperienze intense ma momentanee. Seguire Gesù è seguirlo ogni giorno nella via dell’amore e della donazione di sé. E grande gioia abita il credente quando nel suo opaco quotidiano perseverare sulle (confessate per fede) tracce di Gesù, egli sperimenta di soffrire a causa di Gesù. Allora egli può sapere, nella fede, di aver veramente qualcosa in comune con il suo Signore. Allora egli capisce come l’infamia e la sofferenza possano essere gloria.
Il desiderio del credente – “vedere Gesù” – deve conoscere il rischio della fede. Se il desiderio è sempre teso alla vita, il desiderio cristiano (vedere il volto del Signore) deve passare attraverso il vaglio del rischio della vita. La logica del chicco di grano vale anche per il credente (Gv 12,25). Ma questa logica è liberante: libera dalla tirannia del proprio “io”, della riuscita a ogni costo, dell’affermazione di sé a scapito degli altri, del vedere sempre e solo se stessi. Anzi, questo desiderio non deve evadere dalla storia e dalla compagnia degli uomini, ma discernere il volto di Cristo nel volto dei fratelli. Recita un detto non scritto di Gesù riportato da Clemente di Alessandria: “Hai visto tuo fratello? Hai visto Dio”.
LUCIANO MANICARDI
Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno B
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Fonte: monasterodibose