Commento al Vangelo 1 aprile 2012
Entriamo nella settimana più importante dell’anno, per noi
discepoli.
Minuto dopo
minuto sincronizzeremo gli orologi della fede alle ultime ore di vita di
Gesù.
Al lavoro, a casa, in famiglia, tutto procederà come sempre. Ma, nel
frattempo andiamo col pensiero agli stati d’animo del Maestro, alle sue ultime,
tragiche scelte. Immergiamoci totalmente in questo clima carbonaro. Tutto
intorno a noi corre velocemente, come sempre, ma noi sappiamo cosa sta per
succedere al Signore.
Lo abbiamo seguito nel deserto, abbiamo cercato di
innalzare il nostro sguardo verso il Tabor, verso la bellezza di Dio, abbiamo
seguito, anche noi turbati, alla cacciata dei mercanti dal tempio. E al discorso
fatto a Nicodemo, alla necessità di rinascere dall’alto guardando
all’appeso.
La conosciamo bene la storia di quegli ultimi giorni, ma abbiam
o bisogno che incroci la nostra storia, che scardini le nostre presunte
certezze, che rianimi e ravvivi la nostra piccola fede.
Abbiamo bisogno
urgente di conversione, ancora e ancora.
Ora è il tempo di fermarsi.
Ora è
il momento di sedersi per ammirare lo spettacolo della morte di Dio.
Domenica della Palme
Inizia come una festa questa
domenica, con quei rami di ulivi e di palme strappati dagli alberi e agitati
davanti al Nazareno che entra in città cavalcando un asinello da soma, un
ciuchino. E la gente che canta e grida, inebriata, entusiasta, come se tutto
fosse vero e semplice.
Stendono i mantelli al passaggio, i bambini, come
tutti i bambini, fanno a gara a chi urla più forte.
Sorride, divertito, il
Signore.
Barlume di gloria da pezzenti.
Non entra cavalcando un puledro
bianco, nessun esercito a scortarlo, né bandiere a sventolare in alto. Non i
notabili e i sacerdoti lo aspettano alle porte della città, ma povera gente che
interrompe il lavoro del campi. Osanna, Dio inatteso. Osanna,
speranza nelle tenebre. Osanna, consolazione dei perduti e dei
perdenti. Osanna.
Nelle nostre chiese si ripete quel gesto. Bambini
divertiti portano i loro piccoli rami d’ulivo a benedire.
La Passione
Poi la liturgia si fa seria.
Anticipando
il grande venerdì, già legge il racconto della passione.
Tocca a Marco,
quest’anno, il primo vangelo ad essere scritto. Dietro di lui si staglia l’ombra
di Pietro.
È un racconto asciutto, sconcertante. Gesù non reagisce, non
parla, non dice nulla.
Sa che sarebbe inutile, sa che non serve.
L’uomo
ha deciso di farlo fuori, cosa cambierebbe?
Non è un Gesù rassegnato ma
consegnato. Umano, umanissimo.
Marco è l’unico che descrive il grido
straziante del morente e la citazione del salmo 22 con quella percezione stupita
dell’abbandono come se Dio, per un attimo, si dimostrasse incredulo.
Non
muore per finta, il Signore, non ha vantaggi, non scherza. Va fino in fondo,
osa, si consegna, è osteso, appeso.
Ecco, Dio ha dato tutto.
Eccoci
Vi ritrovate in questo racconto? Ci siete? Dove?
Forse quest’anno vi sentite un po’ come gli apostoli paurosi e sconcertati,
o come Pilato, ossessionato dal potere, o vi ritrovate nella trama intrigante e
sconclusionata di Giuda, o nella sofferenza cruenta del Cireneo che porta la
Croce, o nel desiderio di salvezza del ladro o, Dio non voglia, vi ritrovate
nell'indifferenza di quei pii ebrei che, entrando in città, affrettando il passo
per l’imminente temporale, gettarono uno sguardo di disprezzo verso gli ennesimi
condannati a morte, feccia della società, che venivano esemplarmente
puniti.
Tra questi condannati, Dio moriva.
Ma fra tutti i personaggi, due
ci sono particolarmente cari, due che solo Marco descrive.
Il giovane in fuga
Il primo è quel ragazzo presente
all’arresto, forse svegliato dal trambusto, sceso per curiosare vestito solo di
un lenzuolo e che, preso dal trambusto, fugge inorridito, nudo. Chi è quel
ragazzo? Piccola enigma fra i tanti, molti hanno cercato di identificarlo, forse
è lo stesso giovane Marco.
Ma, certamente, Marco, e con lui Pietro, sta
dicendo che quel giovane assomiglia al neofita che si avvicina a Cristo. Fino a
quando non ha accettato la durezza della croce, lo scandalo della passione, lo
sconcerto del fallimento, non può dirsi discepolo.
È facile seguire Gesù
nella gloria. Meno evidente farlo nella croce.
Fugge, il ragazzo, ma sarà di
nuovo presente alla resurrezione.
È una nudità necessaria, la sua. Come
quella del discepolo.
Pietro, che l’ha drammaticamente vissuta sulla sua
pelle, lo sa.
Lo straniero
Chi è Gesù? La domanda accompagna tutto il
vangelo. Qui, alla fine, troviamo la risposta.
Risposta che viene data,
clamorosamente, da un non credente, un ufficiale romano che si fa voce di tutti
i cercatori di Dio. Veramente costui è il figlio di Dio, afferma,
vedendolo morire in quel modo.
Senza maledire, senza disperazione, senza
fuggire.
Anche noi, meditando la passione, guardando verso l’appeso, possiamo
arrivare alla stessa, sconcertante conclusione…
Buon cammino fratelli e sorelle. Lasciamoci trascinare dalla narrazione,
riviviamo in noi gli odori, i suoni, le luci e i colori di quei tre giorni in
cui Dio morì donando se stesso.