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Umberto Galimberti “Per salvarci dobbiamo passare da una visione antropocentrica a una visione biocentrica, che metta al centro la vita.”

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Questa intervista a Umberto Galimberti è pubblicata sul numero 47 di Vanity Fair in edicola fino al 18 novembre 2025, un numero speciale in cui 10 grandi saggi riflettono sul passato, sulle sfide di oggi e sulle idee per il futuro.

Parla di Martin Heidegger e di adolescenza, di religione e di desiderio, ma quello che racconta davvero è sempre l’uomo, con i suoi istinti, la sua precarietà, i suoi pensieri più incoffessabili. Il filosofo Umberto Galimberti, classe 1942, ha la calma dei grandi maestri antichi e l’inquietudine di chi cerca di capire come va il mondo di oggi: «Purtroppo, non lo vedo messo benissimo. Il futuro sarà regolato da tre potenze: Cina, America e Russia, ma sicuramente non dall’Europa, che ora non ha più alcuna forza. Sempre che si riesca a salvare la Terra, cosa di cui non sono assolutamente convinto. Ci siamo arrogati il diritto di dominare sull’ambiente e su tutti gli altri animali e ci siamo sentiti autorizzati a farlo dalla tradizione giudaico-cristiana, che, nel primo capitolo del libro della Genesi, riporta le parole di Dio ad Adamo: “L’uomo dominerà sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sugli animali domestici, su quelli selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Così, invece di sentirci in colpa per questa supremazia distruttiva, ci siamo sentiti supportati nella prevaricazione. Per salvarci dobbiamo passare da una visione antropocentrica a una visione biocentrica, che metta al centro la vita. Dobbiamo avere in mente che la vita c’era ben prima che comparisse l’uomo sulla Terra e potrà benissimo proseguire senza di noi. Edward Osborne Wilson, un gigante della biologia, ha sottolineato come la specie umana sia l’unica a essere diventata una forza geofisica più distruttiva di tutte le distruzioni che il nostro Pianeta può produrre da sé». 

Scalando le dimensioni, se guarda al suo di futuro, quello personale, che cosa vede? «Non è che ne abbia più tanto e l’ho organizzato sottraendomi al mondo. Non vado nemmeno più a ritirare i premi: sono grato per questi riconoscimenti, ma quelle targhe mi sembrano tutte prove per la lapide». 

Come vive la sua età? «La vivo bene, finché il fisico regge... È opinione diffusa che i vecchi abbiamo raggiunto la pace dei sensi, non è vero: hanno perso la funzionalità sessuale, ma non la curiosità e il ricordo delle passioni. È, però, un’età in cui hai sempre una sensazione di déjà vu, hai già visto tanto. Non mi interessa granché viaggiare e ora, ancor più di prima, alle folle preferisco i rapporti duali. Sono più sincero di un tempo, ma mi sento meno libero: oggi siamo incatenati dal codice fiscale, dallo Spid, dalle password, dalle registrazioni sul web e dalle prenotazioni obbligatorie per prendere il treno. Se ora guardo dove sono arrivato mi sembra che sia successo tutto per caso, senza che io mi sia fissato degli obiettivi precisi». 

E se dovesse dare un consiglio a chi ha un’età diversa dalla sua, a un bambino di dieci anni per esempio? «Quello che si dovrebbe fare con i bambini è svegliare la loro testa, far sì che riescano a esaminare bene le proprie convinzioni, mettendoli anche in crisi così che vedano se sanno difendere i propri pensieri o se si appoggiano su pregiudizi labili, magari indotti dalle convinzioni di mamma e papà. Bisogna aiutarli a sviluppare uno spirito critico, così che siano capaci di cambiare idea se dovessero capire di essere su una strada sbagliata. E per questo potrebbe essere utile avvicinarli presto alla filosofia». 

E se pensa a lei quando era bambino? Aveva delle paure? «Mah, non è che allora ci fosse grande spazio per i problemi psicologici: quando io ero bambino avevo fame. Noi eravamo poveri: mia mamma era una maestra ed è rimasta vedova presto, con dieci figli da mantenere. Per cui, sì, la mia paura era la pancia vuota e ancor oggi non butto mai via una briciola. Non sopporto quando a tavola c’è qualcuno che avanza il cibo e forse anche per questo sono diventato un buon cuoco: faccio pochi piatti, ma perfetti». 

Tipo? Le sue ricette più riuscite? «Due su tutte: il roast beef al sale, che poi taglio sottile sottile quasi fosse prosciutto, e il branzino crudo marinato con prosecco e limone...». 

Dopo una domanda sulla pancia, una sul cervello: che cosa pensa dell’intelligenza artificiale? «Intanto chiamarla così mi crea un po’ di sospetto. Questa cosiddetta “intelligenza artificiale” non fa che portare a termine la progressiva esportazione di tutte le facoltà umane: abbiamo esportato la fatica delle gambe con il trasporto su ruote, le nostre braccia sostituendole con le gru e adesso chiudiamo il cerchio con il nostro cervello. Consiglierei di leggere L’uomo è antiquato di Günther Anders, un libro profetico pubblicato nel 1956, che riflette sulla subalternità dell’uomo al mondo delle macchine da lui stesso create. Il progresso della tecnologia è di gran lunga più rapido di quello umano e l’uomo è dunque condannato a essere progressivamente meno efficiente, “antiquato”, destinato forse a soccombere». 

Se qui non va benissimo, magari andrà meglio in un aldilà? «Non credo nell’aldilà, penso che finisca tutto qui, che dopo non succeda più niente. È per questo che quando la vita è favorevole si deve spendere la propria forza vivendo al massimo e quando arriva il dolore bisogna imparare a tollerarlo con dignità, senza metterlo in scena, senza drammatizzarlo o esibirlo in modo eccessivo, accettando la mortalità come parte dell’esistenza umana. Nella vita bisogna avere il senso della misura e della finitezza: come dicevano i greci, chi conosce il suo limite non teme il destino».

Fonte: Vanity Fair


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