Enzo Bianchi “Tutti i battezzati per una Chiesa diversa”
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novembre 2025
Tutti i battezzati per una Chiesa diversa
di ENZO BIANCHI
per gentile concessione dell'autore
Che sia plasmata dal Vangelo, come fermento e lievito di unità, di concordia, di speranza e pace.
I vescovi non hanno paura di un dissenso costruttivo perché sanno, dopo l’insegnamento di papa Francesco, che ogni cammino si apre tra difficoltà, differenze e conflitti che non sono da nascondere ma da
accogliere come occasioni per avanzare insieme verso una comunione più profonda.
Ed ecco, dunque, il nuovo documento, dal titolo: Lievito di pace e di speranza, tratto dall’omelia per l’inizio del ministero petrino (8 maggio 2025) di Leone XIV. Nelle parabole di Gesù il lievito è il Regno dei cieli, mentre in questa parabola siamo noi, come Chiesa missionaria. A parte la legittimità di questa applicazione parabolica, c’è un invito convincente e dinamico a costruire non un’altra Chiesa ma una Chiesa diversa con il concorso di tutti i battezzati. Questi devono, attraverso la conversione, lasciar posto a una Chiesa plasmata dal Vangelo perché sia «fermento e lievito di unità, di concordia, di speranza e di pace».
La qualità teologica del Documento, fin dalla presentazione di monsignor Castellucci, appare di alto livello!
E se questo onora i suoi estensori, desta però una perplessità: un testo del genere, indirizzato non solo ai sinodali ma a tutti i battezzati cattolici e anche non cattolici, non risulterà troppo ostico e impenetrabile?
Questo testo, inoltre, come altri della Chiesa cattolica, risente dell’ansia di essere cristiani nel mondo talmente solidali con gli altri da non essere più portatori della “differenza cristiana”. Se i cristiani non hanno come specifico la fede in Gesù Cristo non sono sale del mondo! Purtroppo, continua questa facile tendenza a conciliare Chiesa e mondo, che regna ed è stata dominante dal Concilio in poi. A questo proposito, non dimentichiamo la conclusione della Prima lettera di Giovanni: «Questo mondo è tutto sotto il dominio del maligno!» (1Gv 5,19). La solidarietà nella compagnia degli umani non va scambiata con un appiattimento tra Chiesa e mondanità, non deve forgiare dei cristiani preoccupati di piacere al mondo. C’è anche uno scontro tra cristiani, tra Chiesa e mondo che non va taciuto, ma va affrontato perché c’è e ci sarà lotta tra il bene e il male fino al ritorno glorioso del Signore. Per me questo ottimismo, dovuto a una cattiva interpretazione post conciliare della Gaudium et Spes, non giova alla vita del cristiano che è nel mondo ma non è del mondo, il mondo per cui Cristo non prega! (cf Gv 17,1).
Quanto al corpo del Documento (47 pagine in 75 paragrafi), non possiamo farne un commento dettagliato, ma solo presentare alcuni rilievi. Dopo un’Introduzione in cui in modo appena accennatosi elencano le difficoltà vissute dalla Chiesa in Italia (la diminuzione delle forze, la mancanza di vocazioni...), con una qualità teologica che va riconosciuta, si delineano le linee della conversione e del rinnovamento per le Chiese locali e le si invita ad abitare la società e il suo cambiamento.
L’esperienza dell’ascolto reciproco in occasione del cammino sinodale, l’attenzione alle relazioni e allo scambio fraterno, la convergenza tra le componenti istituzionali e carismatiche nella Chiesa hanno assicurato al cammino compiuto una fecondità palpabile e visibile. Si tratta ora di impegnarsi in un rinnovamento sinodale e missionario per quanto riguarda la mentalità e la prassi ecclesiale.
Il primo invito è l’accensione della relazione tra profezia e cultura, tema ricorrente nella Chiesa italiana che finora, purtroppo, non ha mai dato frutti. Soprattutto la cultura laica si è mostrata indifferente alla produzione di cultura cristiana, che non riesce a farsi capire né a presentarsi come un discorso capace di coinvolgere l’uomo e la donna di oggi. Occorrerebbe più attenzione nell’applicare il tema della profezia alle scelte pastorali. La profezia è un dono dello Spirito santo, non è un ministero istituito dalla Chiesa!
Forse anche per questa debolezza, le conclusioni che i vescovi danno al confronto vissuto sono solo concentrate sulle azioni possibili da parte dei cristiani nel mondo: la pace, il disarmo, l’attenzione alle politiche del riarmo, l’istituzione di un osservatorio sulla pace e la non violenza. Queste azioni dovrebbero, secondo il Documento, comprendere quelle indicate dalla Cei, insieme a molte altre assicurate dalle Chiese locali.
Segue poi la sezione “farsi prossimi” che invita le Chiese locali alla povertà nella gestione dei beni, a promuovere occasioni di incontro per sensibilizzare all’importanza di un lavoro dignitoso, a promuovere una cultura della giustizia. Quanto alla cura delle relazioni le raccomandazioni sono piuttosto generiche e ripetono ciò che è già attuato dalle Chiese locali, soprattutto riguardo all’accoglienza e all’accompagnamento di persone sofferenti o vittime di discriminazione.
Certamente la parte più rilevante è dedicata alla comunità che celebra. Per la prima volta dopo il Documento Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, del 2000, si ridà attenzione alla liturgia. E subito si
fanno affermazioni molto importanti, decisive: «La distanza tra vita umana e liturgia rende urgente ripensare segni, linguaggi e stili». Va ripensato un cammino di riforma, di cui la liturgia ha bisogno dopo più di cinquant’anni da quelle postconciliari.
In realtà, non è così facile realizzare un tale intento oggi, perché vengono a mancare (sono rari!) liturgisti competenti che con biblisti e pastori dovrebbero convergere in un laboratorio per riformare “il materiale eucologico”.
Questa parte è la più urgente da attuare, anche se il rimando alle Chiese locali con l’incarico di impegnarsi nel rinnovamento liturgico mi pare utopistico, mancando ora in molte diocesi le dovute competenze. Un laboratorio nazionale è urgentissimo per la verifica delle raccolte dei canti, per una nuova traduzione delle collette, per uno studio del linguaggio liturgico, per lo stile e l’ars celebrandi. In ogni caso, in questa parte sembra esserci una volontà di rinnovamento e si danno indicazioni serie per possibili realizzazioni.
Riguardo alla parte seconda, anche dopo una ripetuta lettura, non ci riesce di sottolineare passaggi o affermazioni veramente nuove e importanti.
Vengono illustrate in una buona qualità teologica come dovrebbe avvenire l’iniziazione cristiana e come dovrebbe essere assicurata una formazione permanente continua e condivisa per tutti i battezzati. È una buona riaffermazione di quanto il magistero episcopale italiano ha cercato di indicare negli ultimi decenni. L’unica novità è la menzione della sinodalità come tema essenziale alla formazione dei discepoli radunati nella Chiesa.
La quarta parte, sulla corresponsabilità nella missione e nella guida delle comunità, delinea efficacemente la situazione attuale per quel che riguarda il discernimento ecclesiale, l’animazione pastorale della comunità, l’esigenza della promozione delle donne e lo studio circa la possibilità del diaconato femminile, la ministerialità di laiche e laici nelle comunità. Ma invano si cercherebbe in questa parte audacia e profezia.
La speranza è che l’Assemblea sinodale di questi giorni sappia trarre ispirazione da questo Documento per proposte che siano veramente risposte all’attesa degli uomini e delle donne di oggi. Ma tutti devono essere avvertiti: se il cammino sinodale non giunge a delineare una Chiesa diversa, non sarà solo un fallimento del Sinodo, ma si approfondirà quella distanza tra cristiano e Chiesa che fa già vivere alcuni senza Chiesa.





