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Paolo Rodari "Quindici anni senza Adriana Zarri"

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19 novembre 2025 

Il ricordo Eremita e maestra spirituale, la sua radicale libertà resta come un monito, lei che aveva già anticipato, con la sua vita, ciò che la Chiesa solo oggi comincia timidamente ad accogliere​.

Probabilmente anche lei, se avesse attraversato l’epoca di papa Francesco, avrebbe visto riconosciuta la sua voce. Quella voce che, nel silenzio dell’eremo, non smetteva di gridare contro una Chiesa troppo spesso innamorata del potere e arroccata dietro i propri dogmi. Con Bergoglio, forse, le sarebbe stato concesso ciò che le gerarchie le avevano negato, la legittimità di una via solitaria e povera, di un incontro personale e intimo con il mistero, illuminato da una «teologia del probabile» che preferisce confessare il non sapere piuttosto che ostentare certezze. In questo tempo nuovo – fragile, incompiuto, ma pur sempre germinale – il cristianesimo si è fatto meno clericale e meno politico, più femminile, più ecologico, più vicino agli ultimi. Ma Adriana Zarri, eremita e maestra spirituale, se n’è andata il 18 novembre 2010, senza poter assistere a questa rivoluzione appena sbocciata. La sua radicale libertà resta dunque come un monito, lei che aveva già anticipato, con la sua vita, ciò che la Chiesa solo oggi comincia timidamente ad accogliere.

CHE LA SUA STRADA fosse non solo legittima ma autenticamente cristiana, oggi lo riconoscono in molti. Non è un caso che proprio ora, dopo i dodici anni di Bergoglio a Roma e l’arrivo di Prevost – diverso dal Papa argentino ma altrettanto aperto sui temi sociali – le sue opere conoscano una nuova fioritura. Castelvecchi si prepara a ripubblicare diversi suoi scritti, tra cui il romanzo a cui Zarri teneva particolarmente, Quaestio 98, un testo in cui affronta senza timori la sessualità, ribaltando la gerarchia che pone la verginità sopra il matrimonio e spiegando come l’unione dei corpi sia già anticipazione del Regno di Dio. Mentre, per Edizioni Gabrielli è tornata in libreria Teologia del probabile, riedita da Francesco Occhetto con postfazione di Giannino Piana.

COME RAÏSSA MARITAIN, Simone Weil ed Etty Hillesum – la ragazza che dopo la conversione non riusciva a inginocchiarsi – anche Zarri rifiutava l’idea di una Chiesa monolite irriformabile a cui sottomettersi, scegliendo di abbracciarne un’altra. «Mentre la dottrina definita è la zona del certo – scrisse in Teologia del probabile – la teologia è solo l’ambito del probabile; di un probabile che a volte confina con la fede, ma che non ha la sua assoluta sicurezza». Parole che, insieme a molte altre – anche quelle affidate alle pagine de il manifesto – compongono un catalogo vasto e prezioso, che l’Università Sapienza ha da poco deciso di acquisire grazie al lavoro di Gaetano Lettieri.

Gli scritti di Zarri, elaborati nel cuore della temperie conciliare, non furono soltanto un gesto di coraggio intellettuale, ma un atto di rottura. Zarri scelse di collocarsi in una zona liminale, un territorio che rifiutava la pretesa di concretezza assoluta delle verità teologiche e che, al contrario, ammetteva l’incertezza come condizione costitutiva della fede.

NON ERA UN CEDIMENTO, bensì un ribaltamento. La verità non come possesso, ma come ricerca; non come dogma immobile, ma come cammino aperto. La sua posizione si inseriva nel dibattito sulla conoscenza che attraversava la Chiesa e la cultura occidentale nel Novecento. Mentre molti teologi cercavano di difendere la solidità delle formule tradizionali, Zarri rivendicava la necessità di riconoscere i limiti del sapere umano e di accettare che la teologia non potesse mai coincidere con la certezza matematica. Il suo era un invito a pensare Dio non come oggetto di definizioni, ma come mistero che si lascia intravedere solo parzialmente, e sempre attraverso la fragilità delle parole. Come il teologo Carlo Molari ha più volte ripetuto, di Dio non possiamo dire nulla, e nemmeno avere la certezza della sua esistenza.

QUESTA PROSPETTIVA aveva implicazioni enormi. Significava, innanzitutto, liberare la fede dall’ossessione della dimostrazione e restituirle la sua natura esistenziale e vissuta. Significava anche aprire la teologia al dialogo con la filosofia, con la scienza, con la letteratura, tutti ambiti che, come Zarri sottolineava, si muovono anch’essi nella dimensione del probabile. Per Zarri, la conoscenza non era mai totale, ogni sapere porta con sé un margine di dubbio, e proprio in quel margine si annida la possibilità della fede.

Il suo pensiero anticipò molti dei temi che oggi tornano centrali, la crisi delle certezze, la necessità di un pensiero dialogico, l’urgenza di una teologia capace di convivere con l’incertezza. Non sorprende, quindi, che le sue opere conoscano una nuova fioritura proprio ora, in un tempo in cui la Chiesa, pur tra mille contraddizioni, sembra più disposta a riconoscere che la verità non è un possesso ma un cammino.



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