IV domenica di Avvento domenica 19 dicembre 2010 (Luciano Manicardi)
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L’annuncio della venuta del Signore, che domina l’Avvento, diviene, nella quarta domenica, annuncio dell’incarnazione, della sua venuta nella carne:  evento annunciato nella profezia isaiana della nascita di un bambino,  un discendente regale (I lettura), manifestato dall’annuncio angelico a  Giuseppe della nascita di un figlio da Maria per opera dello Spirito  santo (vangelo), proclamato dalla confessione di fede che contiene  l’annuncio del Figlio nato dalla stirpe di David secondo la carne e  costituito Figlio di Dio secondo lo Spirito mediante la resurrezione (II  lettura). Questo annuncio chiede fede e obbedienza: se Acaz, con  la sua disobbedienza, mostra la sua incredulità (I lettura), Giuseppe  crede all’angelo e gli obbedisce (vangelo); ciò che Dio ha compiuto in  Gesù Cristo e che l’Apostolo annuncia agli uomini è volto a ottenere  “l’obbedienza della fede” da parte delle genti, ovvero, la fede che si  esprime come obbedienza e l’obbedienza che è fondata sulla fede (II  lettura). Vi è un intrinseco rapporto tra fede e obbedienza: la fede  consiste nell’obbedire e l’obbedienza consiste nel credere.
Il testo matteano, quello della cosiddetta “annunciazione a Giuseppe”, pone in rilievo la figura di Giuseppe quale uomo di fede e di silenzio.  Il silenzio di Giuseppe è segno di forza, di lavoro interiore, di  dominio di sé e delle situazioni, di fede. Ed è un silenzio che trova  luce nel buio in cui Giuseppe è sprofondato. La gravidanza di Maria  mette in crisi la storia che egli stava progettando con lei, eppure il  testo biblico suggerisce che non vi è situazione umana, per quanto  lacerante o dolorosa o contraddicente, che non possa essere vissuta con  umanità e con santità. Se la reazione normale sarebbe stata quella di  ripudiare la donna, “Giuseppe, che era giusto, decise di licenziarla in  segreto” (Mt 1,19). Invece di ripudiare Maria, abbandonandola al  generale disprezzo e compromettendola pubblicamente, Giuseppe sceglie  un’altra soluzione, sceglie una via giusta e umana, giusta perché umana. La giustizia di Giuseppe è nel suo essere umano. “Il giusto dev’essere umano” (Oportet iustum esse et humanum:  Sap 12,19). Solo questa giustizia, infatti, onora l’immagine di Dio che  è nell’uomo, nel creditore come nel debitore, nel santo come nel  peccatore. La giustizia umana di Giuseppe guarda alla persona di Maria e  non la sacrifica a un’interpretazione letterale delle leggi in cui  della persona si vede solo il peccato, la mancanza, l’errore.
Vi è qui una parola forte che mette in guardia i cristiani dal rischio di inumanità  che i rapporti intra-ecclesiali possono sempre conoscere: quando il  volto di una persona è cancellato dal suo ruolo, quando i singoli sono  sacrificati alle leggi ecclesiastiche, quando le relazioni sono  spersonalizzate e funzionali, quando la persona diviene mezzo e non  fine. La chiesa “esperta di umanità” (Paolo VI) non può che essere  umana, non può che dar prova di questa esperienza con una concreta e  quotidiana pratica di umanità. L’annuncio dell’incarnazione diviene  anche, per la chiesa, esortazione a essere umana.
Proprio su questa umanità si innesta la fede che va oltre la giustizia  umana e realizza il volere di Dio portando Giuseppe a prendere con sé  Maria come sua sposa. Così, lo scandalo diviene rivelazione:  l’evento di contraddizione diviene occasione di obbedienza a Dio e di  realizzazione della sua opera di salvezza. Non solo Giuseppe non  rifiuta, non ripudia, non condanna, ma accoglie, prende con sé,  com-prende.
Questo cammino interiore che conduce Giuseppe all’obbedienza della fede avviene tramite la sua riflessione, il suo pensare (Mt 1,20) e tramite l’accoglienza della Parola del Signore,  condensata nella citazione scritturistica di Is 7,14 (Mt 1,22). Il  sogno, in effetti, nel mondo biblico è mezzo di rivelazione in quanto  veicolo di una Parola di Dio. L’elemento decisivo nel sogno non è la  visione, ma la parola: “In sogno io parlo a lui”, dice Dio di Mosè (Nm  12,6). All’epoca di Gesù, il sogno era chiamato “piccola profezia”: al  cuore della notte e del sonno simbolo della morte, il sogno sorge come  una piccola luce che può rischiarare la vita. 
LUCIANO MANICARDI 
Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno A
© 2010 Vita e Pensiero
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 Fonte: MonasterodiBose
 
 