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4° domenica di Avvento (Paola Radif - Il Cittadino)

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Is 7, 10-14

A pochi giorni dal Natale la liturgia vuole farci toccare con mano quale sia stata la gioia di coloro che tra il popolo d’Israele hanno creduto a un’inaudita profezia: ecco, la speranza di millenni trovava significato nelle fragili fattezze di un bambino.
L’impensabile e l’impossibile, viene annunciato dal profeta Isaia, prenderanno forma visibile e concreta.
Come una spada che taglia un groviglio inestricabile così l’evento dell’incarnazione si colloca tra Antico e Nuovo Testamento, tra la fede in un Dio onnipotente ma irraggiungibile e quella in un Dio che per farsi vicino all’uomo diventa uomo egli stesso.
Tutto questo, per realizzarsi, ha bisogno di un contesto, nel quale Dio agisce ma chiede l’accettazione della creatura. Il progetto è grandioso, abbraccia il mondo, unisce cielo e terra. Se una giovane donna accoglierà la proposta, la creazione riacquisterà il suo splendore originario e la salvezza sarà a disposizione di chiunque lo voglia.
Una vergine, anzi “la vergine”, dice Isaia, concepirà e partorirà un figlio: parole difficili, linguaggio mai udito. Ma proprio questo è il segno che il Signore darà per far tacere gli increduli e donare nuova energia alla fede del suo popolo.
Il nome di quel Bambino, “Emmanuele”, indica che non si tratta di un bambino come gli altri. È un Dio con noi perché porta in sé la promessa di stare accanto all’uomo per non lasciarlo più.
Paola Radif

Fonte: Il Cittadino
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