Nascere e… diventare umani nella vita di coppia
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Domenica 2 dicembre 2018 
Istituto alle Stimate – Verona 
Nascere e … diventare umani nella vita di coppia 
« Imparò l’obbedienza dalle cose che sperimentò» (Eb 5,8) 
Riflessione di
Don Gianattilio Bonifacio
Il testo biblico citato nel titolo mette in luce un tratto fondamentale della vita umana che Gesù stesso, pur essendo Figlio di Dio, sperimentò: l’arte di apprendere  dall’ascolto  per  diventare  sempre  più  autentici. Il Natale  è  la festa  dell’inizio della vita, che si dispiega in un cammino di crescita umana e spirituale, che nel nostro oggi si concretizza in larga parte nella vita di coppia. 
La  lettera  agli  Ebrei  ci  consegna  un’affermazione  di  grande  incisività,  ma estremamente  sintetica.  Per  darle  concretezza  ci  lasceremo  guidare  –  nel  ritiro dell’Avvento  –  dal racconto che narra dell’incontro tra Gesù e una madre straniera, la cui figlia è posseduta dal demonio (Mt 15, 21-28). Vedremo come Gesù stesso, grazie alla coraggiosa insistenza della madre, ne accoglie la richiesta e così facendo “impara” con maggior profondità la portata della sua missione. 
Matteo 15,21-28 
21 Partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone.  22 Ed ecco, una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio».  23 Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!».  24 Egli rispose:  «Non  sono  stato  mandato  se  non  alle  pecore  perdute  della  casa d’Israele».  25 Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!».  26 Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini».  27 «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».  28 Allora Gesù le replicò: «Donna, grande  è  la  tua  fede! Avvenga  per te  come  desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita. 
La cananea e gli altri pagani 
Dopo il duro scontro a proposito della purità con «alcuni farisei e alcuni scribi, venuti da Gerusalemme» (15,1), Gesù si ritira in territorio straniero per allontanarsi dalla situazione di tensione che si era venuta a creare. Quindi, diversamente da Marco 7,24, la cornice matteana è più prosaica nel concatenare i due racconti cosicché l’incontro con la donna straniera assume un certo carattere di eccezionalità. Questo però non sminuisce l’importanza dell’episodio perché, ricollegandosi ad altri passaggi del vangelo, ne fa una tappa verso lo sviluppo universalistico della  missione  ecclesiale  post-pasquale,  senza  che  venga  stravolto  l’orientamento pre-pasquale di Gesù.   
L’identificazione della regione di «Tiro e Sidone» come meta di Gesù conferisce al racconto una colorazione biblica visto che le due città sono la coppia di località forestiere  più  citate  nella  Scrittura: una  sorta  di  rappresentanti  del mondo non giudaico. 
La segnalazione geografica ha rilevanza sullo sviluppo del racconto in quanto rafforza il carattere allogeno della donna, che proviene esattamente da quella regione (v. 22). Il termine con cui viene designata – cananea – non è di natura semplicemente  etnico-geografica,  perché  alle  orecchie  di  gente  anche  minimamente versata  nelle  Scritture  (come  lo  erano i  destinatari di Matteo) evocava  l’epopea della conquista della terra, la cui bellezza era all’esatto opposto della sconcezza pagana degli abitanti, tra i quali campeggiavano proprio i cananei. Su questa identificazione di impronta religiosa e culturale, tendenzialmente negativa, si innesta anche la concretezza della situazione della donna, che si presenta contaminata dal demonio, isolata in un ambiente pubblico e senza l’assistenza della rete familiare.
Ancora  una  volta  il  genere  viene  a  rafforzare  una  situazione  di  marginalità  già molto grave. Non le resta che affidarsi ad un esorcista straniero e con questo infrangere le barriere «etnocentriche, endogamiche e particolariste» che la separano da lui. 
L’esemplarità di una fiducia incrollabile 
Matteo crea un forte contrasto tra la donna e i suoi interlocutori, perché alle richieste dell’una corrispondono i rifiuti degli altri
(i) 22b: Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio. ↮ 23a: Ma egli non le rivolse neppure una parola.
(ii) 23b: Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Dimettila, perché grida dietro a noi!». ↮ 24: Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
(iii) 25: Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». ↮ 26: Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini».
Lo schema si ripropone per tre volte, finché l’ultima replica della donna, che riprende e riformula le parole di Gesù, non crea le condizioni perché la sequenza si interrompa e il racconto raggiunga così la conclusione con il riconoscimento della fede della madre e la realizzazione del suo desiderio nei confronti della figlia.
Senza scendere nei singoli dettagli, va soprattutto evidenziato che Matteo costruisce il personaggio della donna ricorrendo a due registri: la fermezza nel domandare e il tenore della preghiera. Li vediamo con ordine.
• La fermezza. Il protratto gridare, con cui la pagana entra in scena (gridava: v. 22), si dilata in una triplice reiterazione, che non perde slancio davanti al succedersi dei rifiuti. Alla prima formulazione della preghiera (v. 22b) corrisponde un rifiuto dolorosamente duro da parte di Gesù, che non la ritiene degna della minima considerazione (v. 23a). Il secondo passaggio (v. 23b) vede l’improvvisa apparizione dei discepoli; fatti essi stessi oggetto delle grida d’aiuto della madre, pongono  una  richiesta  a  Gesù,  la  cui  valutazione  dipende  dalla  traduzione dell’espressione che usano, e che la CEI traduce con esaudiscila (v. 23b). Grammaticalmente si può intendere come un’intercessione, cioè «dimettila» (dopo averla esaudita) o anche «libera lei» (cioè la figlia), oppure come un’ulteriore rifiuto, cioè «allontanala, cacciala via». Nel primo caso la replica di Gesù (v. 24) sarebbe una sorta  di  rimprovero  rivolto  ai  discepoli,  perché  lo  costringerebbero  ad  andare contro il mandato ricevuto; nel secondo, invece, una conferma – rispetto alla pagana – della chiusura manifestata dai discepoli, conferendo al loro atteggiamento la formalità di una sentenza che si rifà alla volontà di Dio, così come per ora la intende Gesù. Da un punto di vista narrativo questa soluzione sembra la migliore, perché  accentua  per  accumulo  la  resistenza  esemplare  della  donna,  che  non  si perde d’animo e rinnova la preghiera per la terza volta (v. 25). La supplica affronta un percorso in salita perché l’opposizione passa dal pur sprezzante silenzio, ad una sentenza generale ben più cogente, fino alla sua dura applicazione ad personam che la identifica con i cagnolini. La tenacia della madre fa il paio con la fermezza della fede nei confronti del riottoso benefattore: lei non smette nemmeno un attimo di considerarlo capace di aiutarla nella disperata situazione della figlia, che è molto tormentata da un demonio (v. 22).
• Il tenore della preghiera. Delle parole che la pagana rivolge a Gesù sorprende l’affinità  con  il  linguaggio  dei  salmi  e  la  connotazione  fortemente  cristologica  e messianica. Anzitutto le invocazioni Pietà di me, Signore (v. 22b) e Signore, aiutami! (v. 25b), ricorrono spesso nei salmi e conferiscono un sapore inaspettatamente biblico alla preghiera di questa pagana. Gli appellativi con sui si rivolge a Gesù, cioè Signore (vv. 22 e 25) e figlio di Davide (v. 22) sono ancor più notevoli; il primo infatti riconduce al tipico linguaggio dei discepoli in preghiera, che si rivolgono al Gesù post-pasquale con il titolo divino di Signore (per i nemici o gli estranei è solo rabbi/maestro).  Con il secondo  identifica  il  taumaturgo con il messia  di  Israele, che si è manifestato guarendo molti del suo popolo e dal quale lei stessa, pur pagana, attende la salvezza per la figlia. Infine, il prostrarsi davanti a lui (v. 25) – in un  gesto  dal  sapore  liturgico,  visto  l’abbinamento  con  il  linguaggio  dei  salmi  – rende  plasticamente  la  devozione  e  la  fede  della  donna  nei  confronti dell’interlocutore, nonostante il suo reiterato rifiuto.
Matteo, nel costruire così il personaggio di questa donna, vuole chiaramente rivolgersi ai suoi destinati: la fiducia incrollabile e il riconoscimento della sovrana autorità di Gesù in quanto Signore e Messia fanno di lei un singolare esempio di preghiera e di fede. Tutto considerato effettivamente anticipa ed incarna la sentenza  di  Gesù:  «i  pubblicani  e  le  prostitute  vi  passano  avanti  nel  regno  di  Dio» (21,31).
La fede che apre i confini, anche quelli di Gesù 
L’effetto del racconto, pur alimentato dalla statura spirituale della pagana, va colto  in  tutta  la  sua  portata  riconoscendone  la  convergenza  con  la  costruzione complessiva dei pagani nel vangelo 1 .
In particolare, le quattro donne presenti nella genealogia, che apre il Vangelo di Matteo, conferiscono all’intero racconto una prospettiva di apertura allo straniero, adducendo a supporto la precedente storia del popolo. Inoltre l’altro pagano ufficialmente esaudito da Gesù, il centurione  di 8,5-13, ha una fede così  grande  da mettere in ombra quella dei «figli del regno». Quindi la restrizione missionaria di 10,5-6 – che esclude pagani e samaritani a solo vantaggio delle «pecore perdute della casa d’Israele» ed è ripresa nel nostro episodio (15,24) e applicata al caso concreto (15,26) – va considerata (e quindi temperata) assieme alla costruzione globale del vangelo e all’esito a cui approda nel mandato finale di 28,16-20.
Il racconto della cananea, anche per la sua collocazione centrale, gioca un ruolo importante in questo percorso perché la replica della donna (v. 27) riconfigura effettivamente la posizione di Gesù in quanto forza il cerchio etnicamente esclusivo dei confini della missione. Lei infatti – nel riconoscere l’autorevolezza del Messia – resta fiduciosa che nonostante la sua condizione di pagana possa trovare risposta nella generosità del Dio di Israele, senza che venga meno il primato/privilegio del popolo eletto: il mangiare degli uni (i padroni) realizza le condizioni per le briciole degli altri, identificati con il lessico familiare dei cagnolini domestici.
A questo punto si dispiega tutta l’efficacia della caratterizzazione con cui Matteo ha costruito la donna. La resistenza incrollabile e la profondità della preghiera l’hanno fortemente assimilata all’ideale della condizione discepolare e quindi la marginalità e il reiterato rifiuto prendono un’altra piega perché la assimilano alle «pecore perdute» della casa d’Israele per la quali Gesù è stato mandato da Dio.
La fede della donna cananea è grande perché ella mette in pratica quanto Gesù stesso  predica:  ella  reinterpreta  per  la  sua  situazione  l’insegnamento  scritturistico  riguardo l’elezione di Israele nei termini della sapienza della sua cultura.
Daniel Patte, «The Canaanite Woman and Jesus», 44 
Gesù stesso riconosce l’efficacia dell’interpretazione inclusiva della sua missione assegnandola alla «grande fede» della madre straniera (v. 28a). La volontà divina, allusa tramite il passivo sia Avvenga per te a sorpresa viene collegata alla volontà della donna (come tu desideri), segnalando la novità di una convergenza tra il modo di intende la missione da parte di Gesù e quello che risulta dalla supplica della straniera. Rimettendosi con totale fiducia alla competenza di Gesù come Signore e Messia d’Israele, fa in modo che lui stesso si rimetta a quella di Dio, riconoscendo la portata inclusiva della salvezza, che gli è stata affidata in missione. È
l’emergere di Dio Padre, a cui entrambi, a partire dalla loro situazione, fanno riferimento.
1   Ad es. l’obbediente saggezza dei Magi dall’oriente del cap. 2; l’affermazione di 3,9b – «Dio è capace di suscitare figli ad Abramo da queste pietre» che allarga l’orizzonte della fede di Israele anche ai non giudei; il sommario d’esordio di 4,12-16, dove si allude al compimento messianico ed escatologico dell’illuminazione da parte del Messia alle genti, così come in Is 8,22b-9,2 LXX . Anche la formula di compimento di 12,18-21 (che fa riferimento a Is 42) termina affermando la speranza delle genti (ethnē) nel suo nome (cf anche 24,14 e 26,13). Matteo inoltre usa il termine genti non solo come esempio di comportamento negativo (ad es. 5,47) e/o lontano dalla fede di Israele (6,7), ma anche come oggetto della cura testimoniale della comunità (18,17) e complessivamente di una particolare comprensione/inclusione da parte di Dio: 11,22 «nel giorno del giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi». 
Per la riflessione 
1)  Il  tema  di  fondo  del  ritiro  è  incentrato  sull’importanza  dell’ascolto dell’altro/a come mezzo fondamentale per arricchire la comprensione di sé stessi e del compito che abbiamo da assumere nella vita, sia a livello professionale, sia a livello di coppia e di genitori. Questo non significa rinunciare alle convinzioni maturate, alle proprie inclinazioni e alla propria esperienza spirituale, ma accettare il fatto che tutte queste non sono date una volta per tutte. Per restarvi fedeli al mutare delle condizioni della nostra vita occorre essere sensibili, disposti/e all’ascolto e coraggiosi/e rispetto ai cambiamenti che dobbiamo fare. Sappiamo disporci a tutto questo per continuare a crescere? Quale potrebbe essere il modo migliore perché la nostra vita di coppia non si irrigidisca in quello che ormai, anche nostro malgrado, riteniamo immodificabile?
2)  Il tratto più evidente che caratterizza la madre cananea è la sua capacità di resistere di fronte alla chiusura degli interlocutori. Il coraggio di chiedere e la  fermezza  di  reggere  di  fronte  alla  fatica  dell’altro/a  di  aprirsi  sono  un tratto decisivo per superare i blocchi relazionali. Talvolta aspettare per vedere se si  accorge… ha come risultato quello di lasciar indurire le questioni aperte rendendole più difficili da risolvere. La donna del vangelo si muove confidando che Gesù – che lei stessa chiama Figlio di Davide – abbia la capacità  di  saper  venire  incontro  al  suo  bisogno.  Abbiamo  la  stessa  fiducia nell’altra/o? La sappiamo alimentare dalla fiducia che riponiamo in Dio e nella sua bontà? Cosa ci serve per essere più coraggiosi/e e tenaci nel nostro esporci all’altro/a?
3)  Viviamo tempi tristi, carichi di rancore e di paura dell’altro. Il vangelo invece rivendica la necessità di essere accoglienti ed inclusivi per non escludere dalla nostra vita la generosità e l’amore di Dio Padre. Nella nostra famiglia riusciamo ad alimentare un clima di accoglienza e di rispetto? Siamo una casa capace di aprire le porte?
 
 