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Rosanna Virgili "Luca: il Vangelo delle donne"

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Luca: il Vangelo delle donne
ROCCA N. 3/2019
Rosanna Virgili

Come è noto, quello di Luca, oltre ad essere chiamato il Vangelo della misericordia, dei poveri e della gioia, viene anche chiamato il Vangelo delle donne.
Il motivo è, innanzitutto, a causa dei primi capitoli, i cosiddetti «Vangeli dell’infanzia», dove Luca pone a protagoniste le donne.
L’unico altro Vangelo che conti testi sulla nascita e l’infanzia di Gesù, si concentra, infatti, su Giuseppe, padre umano, adottivo del Figlio di Dio, e sulle sue decisioni, suggerite dall’angelo che si affaccia sui suoi sogni. Nei capitoli matteani la madre non parla mai! Il nostro Luca, invece, apre il suo scenario con la presenza rumorosa di figure femminili. Un dato destinato ad essere faro ermeneutico della differenza cristiana, ma anche lucana, della salvezza che viene da Dio.

la fede oltre i generi

Ancor prima di valutare l’incidenza evangelica delle loro parole, è importante notare come alle donne venga conferita una piena dignità anche attraverso dei gesti. Il primo è il saluto che l’Angelo rivolge a una donna, Maria di Nazareth, gesto inusuale nel mondo di riferimento; il secondo è il «no» di Elisabetta al nome che parenti e vicini vorrebbero dare al figlio di Zaccaria: «si chiamerà Giovanni» impone con determinazione la madre. Queste due donne, prive di ruoli istituzionali, di strutture e di ministeri, tradizionalmente conferiti ai maschi – come il sacerdozio giudaico – diventano le interlocutrici e le «mediatrici» di Dio, solo in virtù della loro fede.
Maria ed Elisabetta conoscono la parola di Dio, perché la accolgono, la incarnano, se ne fanno gestanti e parlanti. Avviene una rivoluzione sull’assetto del culto del Tempio: la fede si afferma come l’unico «titolo» richiesto da Dio; tutte le discriminazioni stabilite – culturali, sociali, religiose, antropologiche – si azzerano; la fede abbatte ogni muro, va oltre ogni ruolo e ogni barriera, compresa quella tra i generi. La fede scavalca i paletti delle tradizioni; essa diventa l’unica, vera «differenza».

serva tra servi, alleata di Dio

È a una donna che, nel Magnificat, viene concesso non solo di parlare, ma di riversare uno scroscio di canto che contiene già tutto il vangelo. «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» (1,52) inneggia Maria, anticipando lo schizzo di gioia che esce dal cuore di Gesù: «…esultò di gioia (…) ti rendo lode, o Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti (…) e le hai rivelate ai piccoli» (10,21). «Ha guardato l’umiltà della sua serva» loda, stupita, la giovane madre, all’inizio del libro (1,48); «io sono tra voi come colui che serve» dice di sé, il Figlio, nell’ultimo discorso ai suoi discepoli (22,27). Il Magnificat è la profezia che rilegge il Primo Testamento articolandolo al Nuovo; la bocca ed il seno di una donna ne sono il sigillo e la porta, il compimento delle promesse fatte ad Abramo – «Suo servo» – nella pienezza della Sua misericordia. Maria sostituisce alla paternità di Abramo – esclusiva di un popolo «eletto» – la maternità di un popolo universale, fatto di tutti «coloro che Egli ama» (2,14).
Una nota a margine (ma non marginale!): chissà cosa direbbe – di fronte al Magnificat – l’autore del passo della Prima Corinti che invita le donne a «tacere nelle assemblee» (cf. 1 Cor 14,34). Non si capisce come quel tale possa essere quello stesso Paolo tradizionalmente vicinissimo a Luca.

un nome per tre donne

Ma nel Vangelo di Luca sono almeno tre le donne importanti di nome Maria. Alla madre del corpo di carne, seguirà la madre nel corpo risorto: Maria Maddalena.
Ella compare all’incrocio del viaggio di Gesù tra la Galilea e la Giudea, insieme ad altre due donne: Giovanna e Susanna. Esse non sono soltanto discepole, ma anche diacone (cf 8,2-3). Corrispondono in pieno alla «natura» di Gesù: quella di essere, oltre a un Dio servo – come la madre – un Dio diacono (cf 22,27). Nel loro compito diaconale è il volto del nuovo Messia al servizio dell’uomo. Dopo la Maddalena viene una terza Maria, quella di Betania, la cui citazione è anticipata dal nome di Marta (cf. 10,38.42). Le due sorelle sono un simbolico drappello discepolare: Marta è la diacona delle mense, mentre Maria è l’orecchio del discepolo che assorbe l’«ascolto della fede» per trasformarlo in parola di vangelo. Non per nulla questa coppia di donne chiude il capitolo decimo di Luca che si era aperto con i Settantadue: i discepoli che Gesù aveva inviato «due a due» (10,1) ed erano tornati pieni di gioia (cf 10,17). Marta e Maria compongono un quadro esemplare per tutti i discepoli di Gesù.

una Trinità al femminile

Le ultime donne citate da Luca sono ancora un gruppo di tre, con una funzione di testimonianza, per documentare e attestare la resurrezione del Signore. Esse sono: Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo (cf 24,10). Due sono già note, mentre la terza si sostituisce a Susanna.
Le Tre donne al sepolcro hanno seguito Gesù, al pari degli apostoli, e sono state da lui toccate e guarite (da Maria di Magdala uscirono sette demoni, cf 8,2); hanno perseverato nella fedeltà e nella sequela – a differenza degli apostoli! – finché oggi sono qui, davanti alla tomba vuota, a ricordare le parole di Gesù, ad annunziare ciò che avevano visto ed ascoltato al sepolcro vuoto, e a raccontare tutte queste cose agli Undici e a tutti gli altri (cf 24,8-9). Il loro incontro con Gesù descrive il perfetto evento cristiano. E se il vangelo è l’annuncio della fede nel Signore risorto, allora questa Trinità di donne ne costituisce la prima Parola incarnata, l’iniziale liturgia. I verbi che descrivono la loro missione (ricordare, annunziare, raccontare) esemplificano l’opera dell’evangelista: egli fa tesoro della memoria che viene trasmessa dai testimoni oculari (cf 1, 2) che è stata già annunziata con parole da quelli cui è stata trasmessa (cf 1, 2) per poi essere raccontata in maniera ordinata nel Vangelo (cf 1, 3). Le Tre donne sono l’icona di tutti i passaggi della trasmissione e della tradizione evangelica fino allo stesso Luca.

lacrime e gioia

Vogliamo portarci, infine, da un’altra donna, quella più anziana di tutte e che si trova nella «trinità» femminile dei racconti dell’infanzia, dopo Elisabetta e Maria: Anna (2,36). Il suo matrimonio, breve e lontano, si è trasformato in una lunghissima attesa, fatta di digiuni e preghiere, verso un ritorno agognato nel futuro, consumato sotto il segno della profezia. Non appena vede Gesù sa riconoscere in lui il compimento e la redenzione di Gerusalemme e inizia a lodare Dio per «il bambino» (cf 2,37-38). La figura di Anna è metafora di Gerusalemme, la città di Dio, rimasta vedova e tante volte indicata, proprio, sotto le spoglie delle vedove di Luca (cf 7,11-17; 21,2-4). Gerusalemme che piange il suo figlio unico morto, come la vedova di Nain, e di cui Gesù ferma le lacrime; Gerusalemme su cui Gesù stesso piange, vedendola ottusa all’arrivo del suo Messia (cf 19,41); Gerusalemme che deve tornare ancora a piangere con gli occhi delle madri che vedranno i loro figli di nuovo massacrati, sulla via del Calvario (cf 23,28).
Ogni donna del vangelo di Luca, porta in sé Gerusalemme, la Sposa di Dio e Madre dei suoi figli. L’amata verso cui ogni rigo di tutte le Scritture è proteso. La moglie infedele che si vende e si svende ad amanti deludenti e voraci. La vedova che consegna alla morte i suoi «unici» figli (quale figlio non è unico per sua madre?). Verso di lei è il cammino di Gesù, verso di lei le sue lacrime, verso di lei il fior fiore del Maestro di una parola d’amore fino alla fine, verso di lei il rammarico di non poterla abbracciare come fa la rondine con i suoi rondinini.
«Rallegrati, Maria», dice l’angelo alla ragazza di Nazaret (cf 1,28), sull’eco delle parole del profeta Zaccaria: «Rallegrati grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, viene a te il tuo re» (Zc 9,9).
Lei, la turris davidica, lei la domus aurea, lei la foederis arca, lei la ianua coeli, lei il refugium peccatorum. In lei Gerusalemme incarna la Chiesa.

Rosanna Virgili
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