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“Ama... perché anche tu sei stato straniero”

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Libro del Deuteronomio

A più riprese, nella Bibbia, viene indirizzato al popolo di Israele questo comando: “Ama lo straniero perché anche tu sei stato straniero”. Parole che suonano come un invito a sentirsi stranieri, e ad agire mettendosi nei panni dell’altro.


Interessante è soprattutto la motivazione del comando: “Ama ... perché anche tu sei stato straniero” (Dt 10,19). Si potrebbe interpretare così: “Tu puoi amare lo straniero, ne sei capace, perché anche tu sei stato straniero, e sai di cosa uno straniero ha bisogno per vivere e stare bene”. Il fatto di aver vissuto da stranieri sembra quasi il presupposto che abilita ad amare chi ora si trova nella medesima condizione. Una situazione, ieri vissuta e oggi ricordata, di precarietà e di bisogno diventa opportunità e, insieme, capacità di agire in favore del bene di altri. Diventa un punto di forza. In che senso?
Ogni comando dato da Dio (amare lo straniero, proteggere l’orfano e la vedova, eccetera) si inserisce nel contesto più ampio della visione ottimistica con cui il libro del Deuteronomio vede l’essere umano. Per il pensiero deuteronomistico, che Gesù farà proprio (nelle beatitudini, per esempio, Gesù comanda ai discepoli di essere misericordiosi, nella certezza che essi possonoessere misericordiosi), non c’è distanza incolmabile tra la parola data da Dio e la capacità da parte nostra di attuarla: “Questo comando che oggi ti dò non è troppo alto per te, e neppure troppo lontano da te ... Anzi, questa parola è molto vicina a te, è sulla tua bocca e nel tuo cuore, affinché tu possa metterla in pratica” (Dt 30,11.14). Il punto di forza è questo: una condizione (negativa) patita, che sia l’essere stati stranieri, ma anche essersi sentiti esclusi, discriminati, offesi, umiliati, diventa possibilità di prendere parte a quella che è per eccellenza l’azione creativa di Dio (“raccontata” poi con la massima trasparenza da Gesù): il ristabilimento di un bene, là dove albergano povertà e afflizione.
Per tutti è possibile cooperare al ribaltamento di una situazione da negativa a positiva, agire creativamente per il bene, indipendentemente da eventuali meriti o demeriti delle persone coinvolte, cui in questi testi biblici non si fa cenno. L’amore richiesto a Israele per l’immigrato si fonda solo sull’amore di Dio stesso per Israele. Obbedire a questa richiesta significa incamminarsi verso il compimento di quella promessa di felicità: “Se metterai in pratica tutti questi comandi, il Signore tuo Dio ti farà sovrabbondare di beni in ogni lavoro delle tue mani, nel frutto delle tue viscere, nel frutto del tuo bestiame e nel frutto del tuo suolo; perché il Signore gioirà di nuovo per te facendoti felice” (Dt 30,8-9).
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