Foglietto 6 maggio 2012 (Famiglie Visitazione)
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
1) Io sono la vite vera e il Padre mio è
l’agricoltore: nell’AT la vigna è immagine di Israele in rapporto con il
Dio dell’alleanza, con il contrasto tra la cura amorosa del padrone per la sua
vigna e la delusione per i frutti: egli
l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate… egli
aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi. (Is 5,2).
Nei sinottici, la parabola dei vignaioli omicidi (Mt 21,33-44 e par.) segue uno
schema simile: i contadini malvagi verranno sostituiti da altri che ne
ricaveranno i frutti aspettati. Qui Gesù si presenta come la vera vite;
l’aggettivo “vera” suggerisce una rivelazione definitiva di quanto predetto
nell’AT. Il Padre è l’agricoltore, visto nell’atto più critico della cura della
vite ai fini della futura produzione di uva, la potatura dei tralci.
2) Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo
taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto:
si aggiunge un terzo elemento (i tralci) ai due già annunciati (il
Padre-agricoltore, Gesù-vera vite). I tralci portano il frutto, non però come
loro capacità autonoma.
3) Voi siete già puri, a causa della parola
che vi ho annunciato: i discepoli sono stati già “potati” dalla parola di
Gesù. La purificazione generata dalla parola detta da Gesù è come tagliare via
dal cuore del discepolo quello che non serve, che non è essenziale.
4) Rimanete in me e io in voi: è facile
capire l’esortazione ai discepoli rimanete
in me. È meno chiaro il senso dell’io
in voi: in qualche modo Gesù adombra una fusione tra lui e il discepolo,
una sua volontà di comunicarsi profondamente a chi innesta la sua vita su
quella del Signore.
5) Come il tralcio non può portare frutto da
se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me:
viene introdotto in modo esplicito il parallelo tra l’immagine tralcio-vite e
discepolo-Gesù.
6) Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane
in me, e io in lui, porta molto frutto: il legame con la vite è la condizione
per portare frutto, ma la potatura dei tralci è essenziale per realizzare
questa collaborazione tra vite e tralci al fine di portare frutto, figura
dell’unità tra discepolo e Gesù di nuovo espressa con la forma rimane in me, e io in lui.
7) Perché senza di me non potete far nulla: è un’affermazione categorica che
richiama Gv 1,3: senza di lui [il
Verbo] nulla è stato fatto di ciò che
esiste. In vista della fecondità, di portare frutto come discepolo, il rimanere in Gesù è l’unica cosa
importante, prima di ogni attivismo e zelo religioso.
8) Chi non rimane in me viene gettato via come
il tralcio e secca: chi sceglie di non rimanere in lui, sperimenta la
sterilità, diventa un tralcio secco.
9) In questo è glorificato il Padre mio, che
portiate molto frutto: ritorna il riferimento al Padre agricoltore che
cerca frutti abbondanti, la realizzazione del suo universale disegno d’amore passa
attraverso la testimonianza di quell’amore da parte dei discepoli di Gesù.
Atti 9,26-31
1) Venuto a
Gerusalemme cercava di unirsi ai discepoli: Saulo dopo l’incontro con il Signore Gesù, che gli era apparso
sulla via di Damasco, e la predicazione del Vangelo in quella città, si era
sottratto al complotto dei Giudei che avrebbero voluto ucciderlo fuggendo da
Damasco per poi recarsi, secondo il racconto degli Atti, a Gerusalemme. La comunione
con la Chiesa di Gerusalemme e gli apostoli è ricercata da Paolo poiché
attraverso questa comunione è donata la comunione con il Signore risorto, che
ha incaricato gli apostoli di predicare il Vangelo a tutte le genti: Quello che abbiamo veduto ed udito, noi
lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la
nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo (1Gv
1,3). Andate… e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del
Padre, del figlio e dello Spirito Santo. (Mt 28,19). Questa comunione non è
semplicemente una caratteristica della chiesa fra altre, ma ne rappresenta il
volto più profondo. Tanto è vero che Paolo in seguito promuove una colletta
perché le chiese da lui fondate nei suoi viaggi apostolici aiutino i poveri
della Chiesa madre di Gerusalemme, verso cui le altre chiese sono debitrici
della fede (2Cor 8-9). Nella lettera ai Galati (1,17-19) viene dato un racconto
dell’incontro di Paolo con la Chiesa di Gerusalemme discordante da quello degli
Atti; nella lettera infatti Paolo afferma di non essere andato a Gerusalemme subito
dopo la sua conversione, ma tre anni dopo:
Quando Dio... si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo
annunciassi in mezzo alle genti, subito,senza chiedere consiglio a nessuno,
senza andare a Gerusalemme... mi recai in Arabia… In seguito, tre anni dopo,
salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa.... Mentre il racconto
degli Atti vuole mettere in evidenza l’importanza della comunione con la chiesa
di Gerusalemme e gli apostoli (così come si vede anche in altri passi degli
Atti: v. p. es. At 8,14-17), Paolo
invece nell’ Epistola sottolinea il dato assoluto del suo incontro con il Signore
e della vocazione ricevuta in questo incontro, anche al di là del suo rapporto
con Pietro. Entrambi questi elementi sono presenti nella vita di ogni cristiano
e sono in mutuo rapporto. È importante anche sottolineare che il termine con
cui il testo degli Atti indica l’unione coi discepoli, che Paolo persegue,
compare nel libro della Genesi, nella versione dei LXX, per esprimere l’unione
nuziale fra uomo e donna (Gen 2,24): Paolo dunque non si reca a Gerusalemme
solo per incontrare gli apostoli, ma ugualmente per incontrare i discepoli del
Signore e stabilire con essi quei rapporti di comunione e di amore che sono la
sostanza della vita in Cristo. Non è possibile infatti una sequela del Signore
che non sia insieme un cammino nell’amore reciproco e nella comunione: La
moltitudine di coloro che erano diventati credenti avevano un cuore solo ed
un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva,
ma fra loro tutto era in comune (At 4,32).
2) Parlava e
discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo: siamo
davanti ad un rovesciamento totale del ruolo di Saulo rispetto al racconto che
gli Atti fanno del martirio di Stefano. Lì Saulo compare come partecipe di quei
Giudei ellenisti che hanno una parte importantissima nell’uccisione di Stefano.
Probabilmente ne è uno dei capi (At 8,1-4). Qui invece egli diventa vittima di
coloro dei quali prima era guida; Paolo ha un destino simile a quello di
Stefano. Si realizza così la profezia di Gesù nei suoi confronti: Io gli
mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome (At 9,16).
3) La Chiesa era dunque in
pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria: si consolidava e camminava
nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva in
numero: il dono e la
consolazione dello Spirito sono all’origine di ogni dinamica della Chiesa. Questa
notizia sulla pace della Chiesa impressiona perché segue subito la descrizione
della persecuzione subita da Paolo. È come se questa persecuzione fosse la
fonte di questa pace di cui gode la Chiesa e del dono dello Spirito. Appare qui
una dinamica frequente negli scritti apostolici; dalla persecuzione sorge una
Chiesa più forte e feconda: in questo si prolunga nella storia della chiesa la
stessa dinamica della Pasqua di Gesù, che è all’origine
del dono dello Spirito alla Chiesa (Gv 16,7).
1Giovanni 3,18-24
1) Figlioli, non amiamo a parole né con la
lingua, ma con i fatti e nella verità: l’amore sia in sostanza senza ipocrisia.
Un amore sincero, che gioisce della verità, non cerca di avere ammirazione
dagli uomini, anzi è vissuto nel segreto: è paziente, è benevolo, non invidia,
non si vanta e non si gonfia. La tua elemosina resti segreta; e il Padre
tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà (Mt 6,4). Solo i piccoli, gli umili e i mansueti, riescono poi a vedere
la povertà dei piccoli e riescono ad andare oltre le parole e le buone
intenzioni. Tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi piccoli,
non l’avete fatta a me (Mt 25,45).
2) In questo conosceremo che siamo dalla verità
e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore: la verità è innanzitutto
riconoscere di essere dei peccatori. La verità significa essere in Cristo: Chi
rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete
fare nulla (Gv 15,5), quindi ogni momento della vita del cristiano porta
frutto se è in Cristo. Chi non muore nell’amore rimane solo; chi invece dona la
sua vita, porta molto frutto.
3) Dio è più grande del nostro cuore e conosce
ogni cosa: nessun uomo può nascondersi davanti a
Dio; a Lui dobbiamo rendere conto perché tutte le cose sono nude e scoperte davanti
ai suoi occhi. Io sono colui che scruta gli affetti e i pensieri degli
uomini e darò a ciascuno di voi secondo le sue opere (Ap 2,23).
4) E qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da
lui: il Signore esaudisce il desiderio degli umili ed è vicino
a tutti quelli che lo invocano; ascolta il loro grido e li salva. Confessate
perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per
essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza (Gc
5,16).
SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE
La grande sfida nasce dall’immagine della vite e dei
tralci, dove con forza intransigente si afferma che siamo vivi perché riceviamo
la vita da Lui. La nostra vita è la nostra comunione d’amore con Lui. Tutta
l’immagine è dominata dal verbo “rimanere”, un verbo che al di là delle
apparenze esprime ed esige una straordinaria determinazione, e che dice come
noi viviamo, appunto perché “rimaniamo in lui”. La vita è dunque non una realtà
posseduta, ma ricevuta! E da qui parte un tema molto delicato per la vicenda
culturale nella quale siamo immersi. Per questo è necessario porre una considerazione
molto impegnativa. La tradizione culturale e spirituale della fede
ebraico-cristiana concepisce ogni relazione come non-immediata. Ogni relazione
è mediata! Ogni relazione è… a tre! Il pensiero più ovvio sarebbe quello per
cui io e te oggi ci vogliamo bene… domani non più… e quindi la nostra relazione
è finita. Ma i tralci della vite sono in relazione tra loro sempre attraverso
la relazione di ciascuno con la vite!
Le discussioni e le polemiche di questi ultimi anni
nascono dalla rivendicazione di una libertà individuale secondo la quale la
relazione finisce quando uno dei due pensa di non starci più. Allora il “contratto”
finisce. Ma la comunione, secondo la sapienza ebraico-cristiana, non è un
contratto, ma un patto! Il patto è una relazione che nasce dalla convergenza
dell’uno e dell’altro verso uno statuto di comunione che ci guida e ci
condiziona. Questo può sembrare insopportabile e fortemente lesivo della
libertà individuale. Ma in realtà esso nasce dal mistero e dal dono della Pace!
Contro l’istinto per cui la diversità è principio della divisione e del
conflitto, la verità fondamentale e fontale è la Pace. Paolo dice che Gesù è la
Pace! È la nostra pace. Gesù è l’abbattimento del muro di separazione, perché
Dio è “comunione”. Ogni individualismo è principio di conflitto.
È illusorio pensare che ognuno sia libero di pensare e di
fare quello che vuole. In realtà la Pace è il frutto di un patto di comunione.
La vite è l’unione-comunione dei tralci. La comunione è la condizione della fecondità
dei tralci. Secondo il testo degli Atti che oggi ascoltiamo, Paolo è temuto e
tenuto lontano perché ritenuto nemico, ma Barnaba afferma che siccome ha visto
il Signore è veramente fratello. L’immagine della vite e dei tralci abbatte la
categoria dell’inimicizia che è stata ed è ancora molto sovente categoria di
interpretazione per la stessa comunità credente. Ma il vero Nemico è il
diavolo, cioè la divisione, l’accusa dell’altro. La pace non è pacifismo, ma
conversione all’amore. Contro una verità che separa, i discepoli di Gesù sono
convocati per una verità verso la quale ognuno è chiamato a convertirsi, senza
pretendere di possederla.
www.famigliedellavisitazione.it