Perchè non possiamo non conoscere la Bibbia Enzo Bianchi La Stampa, 13 giugno 2010
| 
 | 
 | 
 | 
 | 
 | 
 | 
Con la fine dell’anno scolastico riprendono vigore discussioni vecchie e  nuove: criteri e severità degli scrutini finali, modalità e contenuti  degli esami di maturità, tagli alle risorse, ristrutturazione dei  programmi, scelte degli indirizzi, calendari delle lezioni e motivazioni  degli insegnanti... Ma mi pare passato abbastanza inosservato un evento  che invece costituisce una novità a lungo attesa da molte parti e che  potrebbe avere significative conseguenze anche sulla qualità formativa  globale della scuola: la firma di un protocollo d’intesa tra il  Ministero dell’Istruzione e l’associazione laica e aconfessionale Biblia  per una maggior presenza della Bibbia nella scuola, con la conseguente  creazione di un comitato paritetico che ne curi l’attuazione e diffonda  proposte, strumenti e materiali adeguati. Nelle intenzioni dei promotori  e nel dettato dell’intesa non è minimamente questione di inserire una  nuova materia di studio, tanto meno di interferire con l’insegnamento  religioso confessionale, bensì di creare uno spazio per la conoscenza  della Bibbia all’interno delle diverse materie o nei vari percorsi  interdisciplinari. In altre parole, si tratta un progetto – del quale  avevamo già parlato su queste pagine tre anni or sono, quando venne  lanciato l’appello ora accolto – per rendere “presente” la grande  assente nella formazione culturale degli studenti italiani, progetto che  aveva preso le mosse più di vent’anni fa e che da allora non ha smesso  di cercare le vie migliori per tradursi in realtà operativa. 
Tentativo davvero lodevole perché non possiamo dimenticare che il  “grande codice dell’arte”, come l’aveva definito William Blake, divenuto  “grande codice” della cultura occidentale nel famoso saggio omonimo di  Northrop Frye, è stato finora trascurato nella scuola italiana. E questa  lacuna continuava a privare gli studenti del nostro paese – giunti  ormai a essere “la prima generazione incredula” – di una chiave di  lettura e comprensione di tante espressioni artistiche e culturali  presenti non solo in Italia ma nel mondo occidentale e mediterraneo. In  una stagione in cui si fa tanto parlare di identità e di radici, in cui  la preoccupazione prevalente sembra quella di distinguersi dagli “altri”  per alimentare diffidenza se non ostilità per il “diverso”, la  possibilità di rendere “leggibile” questo codice nel luogo in cui si  formano i cittadini di domani appare impresa difficile sì, ma  improcrastinabile. Quale identità si potrai mai custodire se se ne  ignorano i principi che l’hanno determinata? E da quali radici si può  essere alimentati se l’humus in cui dovrebbero affondare è divenuto  sterile per un prolungato oblio dei valori vitali? 
Con ragione si afferma da più parti che senza conoscenza letteraria  della Bibbia resta preclusa la comprensione di numerose “presenze” nella  vita quotidiana del nostro come di altri paesi di antica cristianità:  come interpretare edifici, sculture, pitture e immagini che popolano  città e campagne, come capire espressioni e proverbi del linguaggio  popolare o colto, come muoversi tra calendari, celebrazioni e festività  se si rimane privi dell’alfabeto che li ha generati? E come immaginare  l’integrazione e la convivenza di quanti provengono da mondi religiosi e  culturali diversi se chi dovrebbe accoglierli non è in grado di  spiegare loro i testi e i meccanismi che nel corso dei secoli hanno  originato usi e costumi? Queste sono domande tutt’altro che inutili  nell’attuale contesto sociale e culturale italiano: quali episodi, quali  volti, quali immagini bibliche hanno plasmato l’orizzonte simbolico e  culturale di generazioni di uomini e di donne nate e cresciute in una  società che non poteva non dirsi cristiana? E quali di questi racconti,  di queste vicende, di questi personaggi storici o leggendari parlano  ancora oggi un linguaggio universale, come lo parlano, per esempio, le  figure immortali del teatro classico o la raffinata sapienza orientale?  
Del resto, l’intero racconto biblico può essere letto come una grande  narrazione di famiglia, in cui nessuno si sente estraneo: momenti di  gioia e di dolore, guerre e violenze, speranze e affetti, terre  abbandonate e terre promesse, esilii e ritorni vengono raccontati con  tutti i timbri del linguaggio umano. Allora la cronaca cede il passo  alla poesia, la preghiera si interseca con l’insegnamento, la favola si  alterna con la profezia: così è la Bibbia perché così è la vita  dell’uomo e il bambino o l’adolescente chi vi si accosta per la prima  volta può imparare a conoscere il senso della realtà che lo circonda,  mentre l’adulto potrà riscoprire il filo rosso che ha tenuto insieme  tante esistenze. In questo senso l’intesa recentemente siglata mira a  “offrire chiavi di lettura e interpretazione interdisciplinare della  Bibbia” in riferimento ai numerosi ambiti che costituiscono la cultura  di un popolo e una civiltà: da quello più propriamente storico a quelli  “artistico, filosofico, etico, giuridico e letterario”. 
Ambizione eccessiva? Ma accostarsi in modo laico e pluridisciplinare  alla Bibbia può davvero costituire l’indispensabile approfondimento  delle radici culturali e storiche che alimentano il sistema di valori in  cui ciascuno crede e fornire, d’altro lato, una maggiore consapevolezza  della comune lotta anti-idolatrica che ogni persona di “buona volontà” è  chiamata a sostenere in nome della propria e dell’altrui libertà. Ogni  giorno infatti, tutti noi, credenti e non credenti, siamo chiamati a un  combattimento non per sopraffare i nostri simili ma per affrancarci da  vecchie e nuove schiavitù e ribadire la grandezza, la libertà e la  dignità di ogni essere umano. Perché se esiste una frontiera tra fede e  non fede, tra libera adesione a una realtà altra e più grande di sé e  asservimento al proprio egoismo e alla mentalità dominante, questa non  segue confini di stati o di epoche, non separa confessioni religiose o  correnti di pensiero, ma passa nel cuore di ogni persona, a prescindere  dalla fede che professa o meno: è lì, non altrove, che il seme di senso  contenuto nel “grande codice” può germogliare e produrre i frutti più  diversi, a beneficio dell’intera collettività.   
Enzo Bianchi  
Fonte: MonasterodiBose
 