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COMMENTO PATRISTICO XII Domenica T.O. (da Undicesima Ora)

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S. Leone Magno

Dal Discorso 69, 3

In Cristo si creda vera la Divinità e vera l’umanità. Lo stesso che è Verbo, è anche carne; e come è di una sola sostanza con il Padre, così è della stessa natura della madre. Non è duplicato quanto alla persona, né mescolato quanto all’essenza: per potestà non è soggetto a patimenti e per spontaneo abbassamento è mortale. Di ciascuna di queste proprietà egli fa uso tale che la fortezza possa rendere gloriosa la debolezza e questa non valga a oscurare la potenza.
Chi contiene in sé il mondo sopporta di essere catturato dai persecutori: viene legato dalle loro mani chi non è racchiuso nel loro cuore. Egli che è la stessa giustizia non fa opposizione agli ingiusti; egli che è la verità cede ai falsi testimoni al fine di compiere quel che conveniva alla condizione di servo, pur rimanendo nella natura di Dio, e di confermare la verità della nascita corporea con la crudeltà della passione corporea.
Però non fu una necessità della sua condizione, ma una esigenza della sua misericordia che l’Unigenito di Dio si sottomettesse a patire la passione: egli volle, prendendo occasione da un peccato, emettere sentenza di condanna contro il peccato, per distruggere così l’opera del diavolo mediante un’opera del diavolo stesso. II nemico del genere umano inflisse a tutti, negli stessi primordi, una ferita mortale, per cui tutti furono soggetti alla morte. La schiava posterità non poteva rimuovere da sé la legge inesorabile, fondata sul fatto di essere una discendenza sottomessa al potere del diavolo. Costui osservò che tra tante generazioni, a sé soggette per legge di morte, uno solo eccelleva, la cui virtù attirava la sua meraviglia più che tutti i santi di qualsiasi tempo, e credette che sarebbe stato incontrastato e perpetuo il suo diritto, finché nessun merito di santità avesse potuto vincere il pungolo della inesorabile morte.
Perciò egli incitò violentemente i suoi servi e quelli che aveva assoldati; ma fa violenza a proprio danno, perché credendo di poter concludere che gli era debitore qualora l’avesse potuto uccidere, non fece attenzione alla libertà e alla singolare innocenza di colui la cui natura, simile alla nostra, perseguitava. Veramente egli non sbagliava nel giudicarlo, ma si ingannava circa gli effetti del delitto.
Il primo Adamo e il secondo Adamo erano nella unità della carne, ma non delle opere. Mentre nel primo tutti muoiono, nel secondo tutti riceveranno vita. Uno per superbia e concupiscenza s’incamminò verso la miseria; l’altro attraverso la fortezza dell’umiltà preparò la via alla gloria. Per questo egli stesso dice: Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14, 6); via in quanto modello di santità nel vivere; verità, in quanto fondamento di speranza di cosa certa; vita, in quanto retribuzione di eterna felicità.

Dal l Sussidio biblico-patristico per la liturgia domenicale, a cura di don Santino Corsi, ed. Guaraldi
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