Selene Zorzi "I figuranti del clericalismo"
Quando nel 2017 l’eurodeputato polacco Janusz Korwin-Mikke affermò che è giusto che le donne siano pagate meno perché sono più piccole, più deboli e intellettualmente inferiori, scatenò giustamente la reazione immediata della parlamentare spagnola Iratxe GarcíaPerez che affermò «Sono qui per difendere le donne europee da uomini come lei» e fu poi colpito da una punizione senza precedenti del Parlamento Europeo.
L’allora presidente Antonio Tajani chiese scusa a chiunque si fosse sentito ferito od offeso dallo sfogo del deputato affermando che un simile comportamento era intollerabile «specialmente quando si tratta di una persona che dovrebbe esercitare – con la dovuta dignità – le proprie funzioni in qualità di rappresentante dei popoli europei. Offendendo tutte le donne, l’eurodeputato esprime disprezzo per i nostri valori fondamentali». All’eurodeputato polacco fu quindi tolta l’indennità giornaliera per trenta giorni, fu sospeso dalle attività parlamentari per dieci giorni e non poté rappresentare il Parlamento europeo per un anno. Prendo questo esempio per dire che al giorno d’oggi possono esserci certamente persone ancorate a valori patriarcali, e che a livello teorico sostengono ancora la posizione di Aristotele e di San Tommaso sulle donne, secondo la quale le donne sarebbero inferiori, incapaci di decidere e di avere autorità; tuttavia a livello sociale non è più considerato accettabile che rappresentanti delle istituzioni palesino pubblicamente tali immaginari senza restare impuniti.
Il «pensiero» dell’influencer Epicoco
La Chiesa cattolica invece risulta l‘unico pezzo di mondo in cui certi sfoghi possono essere ancora non solo teorizzati ma esternati senza conseguenze e anzi avere addirittura impatto sulla costruzione dei ruoli di genere in seno alla comunità ecclesiale (di fatto la posizione di Aristotele, appena poco rettificata da S. Tommaso, soggiace ancora alla motivazione dell’esclusione delle donne dal sacerdozio), complice un’esegesi biblica mediocre e «banale» (come ha affermato recentemente Marinella Perroni in un suo articolo sul «male della banalità»). Penso al recente caso del prete Luigi Maria Epicoco che mi dicono essere un influencer clericale di alto gradimento e che si permette di affermare senza essere ripreso da autorità superiori che le donne sarebbero un grande «fondale» dal quale spiccano i personaggi (maschi ovviamente!) in prima linea. Non è necessario impegnarsi in esegesi approfondite ricordando che tutta la Bibbia risente di una impostazione culturale patriarcale e che senza farci i conti falliamo a captarne il messaggio. Perfino Papa Benedetto XVI che certo non brillava per progressismo esegetico si era allineato all’interpretazione di Gen 2,22, secondo la quale la creazione di Eva dalla costola significa la sua uguaglianza e parità, cioè il suo stare di fronte, davanti, dirimpettaia, allo stesso livello e non il suo essere «funzionale» come la parola aiuto ha suggerito per secoli. Sulla questione Gender il prete sembra essere rimasto a posizioni come quelle del Lexicon del 2006 che nemmeno il Magistero ha più il coraggio di portare avanti. Sul sex-gender system la conferenza episcopale tedesca si era espressa in modo più circostanziato e certi testi di Amoris Laetitia (56 e 286) hanno fatto piccoli passi in avanti rispetto a quella iniziale definizione inaccettabile di gender. La caricatura degli studi di genere che certi preti hanno assunto e denigrato non ha niente a che vedere con l’importante studio dei dispositivi di potere e di esclusione che vengono agiti negli stereotipi patriarcali e che sono in azione contro tutte le minoranze discriminate, donne in primis. L’Ideologia del Gender è una «invenzione polemica creata tramite una strategia di etichettamento che distorce quanto prodotto dagli studi di genere per poterlo delegittimare» (D. Migliorini) ma purtroppo contribuisce a lasciare feriti e morti sul campo, che sono i nostri ragazzi e ragazze femministi o omosessuali che perdono il dialogo con la chiesa, con i loro genitori e con la cultura cattolica la quale appare convinta che il Gender porterà questi figli all’inferno, accettando piuttosto che essi vivano drammatiche scissioni interiori pur di mantenere una «facciata rispettabile». Certo, si dirà, non è importante attaccarsi a certe interpretazioni pseudoteologiche come queste che tutto sommato sono effimere. La stessa Marinella Perroni mi ha convinta di come tali posizioni siano invece da osteggiare in modo deciso, reagendo in modo simile alla deputata García Perez davanti alle parole del deputato polacco.
Il fondale e il banale
L’arroganza che emerge da questo immaginario è, infatti, davvero pericolosa: le donne che «aiuterebbero» l’uomo a realizzarsi, le donne che dallo sfondo permetterebbero l’emergenza del protagonista: cosa diventa tutto questo quando nell’ideale clericale, cioè nella trasposizione, i protagonisti ufficiali nella chiesa cattolica, quelli che rappresentano pubblicamente il popolo di Dio, si sentono sul palcoscenico del mondo cattolico, relegando le donne a loro fondale? Cosa accade quando questi soggetti si sentono legittimati per una mentalità clericale, per una cultura di genere retrograda, per mediocrità di un robusto approccio esegetico e per mancanza di reazioni che li sanzionino ad identificarsi con il «Protagonista» della storia della Salvezza? Accede il passaggio lineare all’abuso spirituale e sessuale (si veda il caso Rupnik). Per riprendere le parole della deputata spagnola: abbiamo bisogno di difendere le donne cattoliche da preti come questi. Non solo: il livello medio(cre) della catena di trasmissione di queste convinzioni diventa pericolosissimo proprio perché, come notava Alessandra Buccolieri «La questione è che questo parla, incrocia, ravviva il cuore di tanti nei nostri circuiti più semplici, più pastorali e gli scaffali delle nostre librerie mettono cibi così, invece di osare altro, anche più duro da masticare, decodificare». Questa banalità dunque non è banale: contribuisce a trasmettere e a giustificare l’ignoranza, l’ingiustizia, il sessismo e il narcisismo clericale. Ecco perché occorre reagire con fermezza e possibilmente in modo massivo. Siamo stufe di scrivere libri di teologia che restano sul fondale delle librerie di certa formazione seminariale, di dover sanare le ferite spirituali e fisiche che lasciano le parole e le opere di omileti che non sanno misurarsi con la complessità e le trasformazioni del mondo odierno. Certi «protagonisti» infatti potremmo perfino ritrovarceli alla Congregazione della Fede a giudicare magari l’operato di teologi e teologhe che tentano una più acuta elaborazione. Attendo invece che si levi una voce autorevole che denunci il fatto che chi continua ad esprimere una tale visione delle donne «esprime disprezzo per i nostri valori fondamentali», cioè per i valori del Vangelo. È davvero difficile comprendere che guardare alla Tradizione significa oggi ispirarci a quei Padri e Madri della Chiesa che hanno saputo elaborare in modo nuovo e trasmettere in modo fecondo il messaggio di liberazione del Vangelo nella loro cultura? In un mondo come il nostro, davvero il messaggio biblico sulle donne si riduce a nonne, madri e sorelle che diano appoggio ai protagonisti maschi? Se è così, allora è legittimo che donne e gli uomini femministi abbandonino la Chiesa cercando altrove risposte più consistenti alle loro vite assetate di senso, giustizia e speranza. Ma la confusione è grande tra i protagonisti sul palcoscenico clericale di oggi, i quali sembrano non avere più nulla di significativo da dire a chi vive nel turbine di sfide socio-culturali, economiche, ecologiche e tecnologiche epocali come quelle di oggi. Da questa considerazione delle donne non può che emergere una esortazione a questi soggetti: guardatevi le spalle!