Sabino Chialà "L'urgenza di una riflessione sull’uso della coscienza"
Tutti i tempi sono difficili, cioè esigenti, per
chi voglia abitarli, appunto, “coscientemente”.
Così è anche il nostro tempo. Tuttavia è indubbio che quanto stiamo vivendo a livello planetario implica una complessità che impone una vigilanza particolare, e dunque un attento e assiduo
uso della coscienza, a più livelli e in più ambiti.
Si affacciano al nostro mondo domande nuove
e cruciali, che chiedono riflessione e scelte concrete. Emergono anche fragilità e miserie umane che spiazzano, addolorano e a volte gettano
nella disperazione per il male che arrecano e per
l’impotenza umana che mettono in luce. Come
rispondere? Come affrontare tali sfide? Abbiamo
bisogno di criteri, ma soprattutto abbiamo bisogno di ritrovare in noi un criterio, capace anche
di rendere possibile un dialogo tra credenti e
non credenti. Mi sembra questa la grande sfida
lanciata dall’enciclica di papa Francesco Fratelli
tutti: elaborare, o meglio riscoprire, una base
comune da cui partire e in cui incontrarsi, nell’irriducibile diversità umana, a tutti comprensibile
e rispettosa del proprium di ciascuno. Una sorta
di terreno comune e di linguaggio comune.
L’uomo contemporaneo, mai come oggi, avverte di non avere risposte sufficienti o sufficientemente lucide su tante situazioni che la vita
induce a sperimentare. Ogni verità proposta con certezza adamantina mostra di essere solo una
maschera dietro la quale si celano mondi e percorsi artificiali e spesso anche deliberatamente
menzogneri. Su tante questioni abbiamo bisogno di interrogarci e di trovare la nostra strada,
certo facendo tesoro dell’esperienza e del lascito
delle generazioni precedenti, e per noi cristiani
soprattutto delle Scritture e della grande tradizione della chiesa, ma rileggendo tutto questo
all’interno di una realtà nuova, che non è possibile incasellare in schemi antiquati.
Non mi riferisco alle grandi domande della vita, che angustiano da sempre la mente e il cuore
di quanti desiderano vivere in modo consapevole: “Perché il male, la sofferenza e la morte?
Quale il destino dell’umanità?”. Penso invece
alle tante questioni, soprattutto etiche, che sono
il risvolto storico delle prime e che s’impongono
come domande aperte e ineludibili: il valore della vita e il rispetto che le è dovuto, dinanzi a una
medicina che ha bisogno di ridefinire periodicamente i propri limiti; il compito della trasmissione alle nuove generazioni, perché il passato sia
realmente al servizio del presente e del futuro; l’integrazione tra popoli, culture e religioni, per
una coesistenza pacifica e feconda. Tutto questo
chiede riflessione, pensiero, discernimento, di
cui la coscienza è presupposto fondamentale.
Ecco perché, insieme a quello del discernimento, la coscienza costituisce l’altro grande tema
del magistero di papa Francesco. Ricordo le sue
parole pronunciate durante l’Angelus del 30 giugno 2013:
Dobbiamo imparare ad ascoltare di più la nostra coscienza. Ma attenzione! Questo non significa seguire il proprio io, fare quello che
mi interessa, che mi conviene, che mi piace...
Non è questo! La coscienza è lo spazio interiore
dell’ascolto della verità, del bene, dell’ascolto
di Dio; è il luogo interiore della mia relazione
con Lui, che parla al mio cuore e mi aiuta a
discernere, a comprendere la strada che devo
percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele.
Pensiamo all’insistenza del papa nei suoi discorsi a praticare l’esame di coscienza e ultimamente, parlando degli abusi su minori, a quante
volte chiama in causa la coscienza come luogo
violato, insieme al corpo, in quelli che – molto
più frequenti delle violenze fisiche – sono appunto “abusi di coscienza” o “abusi spirituali”,
come qualcuno li ha definiti.
La coscienza dunque, oltre che strumento di
discernimento di sé e delle situazioni e luogo di
relazione, è anche sacrario violato, con gli effetti
deleteri che vediamo ormai venire alla luce del
sole e che ci lasciano attoniti e profondamente
addolorati. Per questo motivo, oggi più che mai,
abbiamo bisogno di questa riflessione, come esseri umani e come credenti. Ne hanno bisogno
le nostre comunità ecclesiali e le nostre società,
per fare delle scelte “secondo coscienza”. Per evitare di agire a partire da valutazioni superficiali
e di comodo, o in balia di paure ingiustificate, o peggio ancora aizzati da leader senza scrupoli, che fanno leva sui nostri istinti peggiori e che
strumentalizzano le incertezze e le ansie dell’uomo contemporaneo, anziché aiutarlo a razionalizzarle, a passarle al vaglio, appunto, della sua
coscienza.
In un momento di crisi e di disorientamento, l’esercizio della coscienza è quanto mai indispensabile. Forse è l’ultimo baluardo a difesa dell’umanità nostra e di chi ci vive accanto.
Forse è l’ultima forma di resistenza cui siamo
chiamati: un’autentica obiezione di coscienza
su tante tematiche che si agitano intorno a noi
e che rischiano di travolgerci in un marasma di
abbrutimento collettivo.
tratto da "Pensare e Dire" Edizioni Qiqajon
Pensare e dire… coscienza e parresia: due dimensioni essenziali dell’essere e del relazionarsi.
Con un taglio esperienziale e pratico si indicano qui percorsi che aiutino a rivisitare il proprio vissuto: i pensieri che lasciamo abitare in noi e le parole che transitano per le nostre labbra.
AUTORE
Sabino Chialà (Locorotondo 1968) è monaco e priore di Bose dal 2022 a oggi. Studioso di ebraico e siriaco, si è dedicato in particolare allo studio della figura e dell’opera di Isacco di Ninive, di cui ha recentemente pubblicato la prima traduzione italiana completa della prima collezione dei suoi scritti.