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Silvano Fausti, la Parola che trasforma il mondo

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E' caduto ieri, 24 giugno, il decimo anniversario della scomparsa del padre gesuita che fu per quindici anni confessore del cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano.

Silvano Fausti fu un instancabile servitore ma anche un ascoltatore della Parola: proprio come il suo maestro e mentore – di cui fu direttore spirituale per 15 anni e con cui condivideva la passione per le escursioni in montagna – il cardinale Carlo Maria Martini.

Si può condensare in questa breve e sapida istantanea il senso della vita e della missione (quella di portare l’annuncio del Vangelo a tutti soprattutto ai lontani) del gesuita e biblista la cui opera ha segnato un’epoca e continua a portare frutto.

Nel giorno in cui si fa memoria della nascita di san Giovanni Battista, ricorrono i 10 anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 24 giugno 2015, all’età di 75 anni per un male incurabile. Un personaggio apparentemente schivo e timido, dal carattere forte, per certi versi ruvido e riservato «tipico di chi – diceva spesso a quelli che gli si accostavano – ha le sue origini e radici in Val Trompia».

Silvano Fausti ha legato la sua fama di biblista e di teologo in modo particolare allo stile asciutto e “irregolare” delle sue lectio sulla Sacra Scrittura «soprattutto contro i poteri reali del mondo» in due luoghi simbolo di Milano come la centralissima chiesa dei gesuiti di San Fedele e l’amata comunità di Villapizzone, la cascina di periferia fondata da un gruppo di famiglie e da alcuni gesuiti, che egli descriveva spesso come «la mia patria interiore». Un luogo, ai margini della città, che padre Silvano considerava il pulpito privilegiato per l’annuncio del Vangelo. «Villapizzone ha rappresentato – racconta oggi Beppe Lavelli, suo confratello e compagno di comunità – una delle sue intuizioni più riuscite. Si tratta di una struttura “di frontiera” in cui oggi vivono, in uno stile all’insegna della condivisione, una quarantina di persone, distribuite in otto nuclei famigliari e una comunità di gesuiti».

Ma chi è stato Silvano Fausti? E che eredità lascia a dieci anni dalla morte? Nato il 2 gennaio 1940, Fausti entrò nella Compagnia di Gesù il 5 gennaio 1960 e fu ordinato sacerdote il 28 giugno 1968. Fondamentale nella scelta di farsi gesuita è stato l’esempio di suo zio Giovanni Fausti, religioso ignaziano fucilato il 22 febbraio 1946 sotto la dittatura comunista in Albania e poi proclamato beato da papa Francesco: «Se ho scelto di entrare nella Compagnia di Gesù – rivelò a chi scrive tanti anni fa – lo devo all’esempio e al martirio subito da mio zio Giovanni. E mi sono detto: “Voglio essere come lui”». E non è un caso che proprio padre Silvano abbia voluto accanto a sé, fino all’ultimo dei suoi giorni di vita nella cascina di Villapizzone, lo stesso Crocifisso custodito dall’illustre parente, Giovanni Fausti. Un oggetto che considerava una «reliquia del cuore».

Autore di numerosi saggi di natura esegetica ma anche divulgativa come Una comunità legge il Vangelo di Luca (Edizioni Dehoniane Bologna), Fausti proveniva da una formazione teologico-filosofica. Durante il tradizionale percorso formativo all’interno della Compagnia era arrivato a un dottorato sulla fenomenologia del linguaggio presso l’università di Münster, sotto la guida di Walter Kasper, in Germania. Cruciale in quegli anni fu l’incontro con Karl Rahner ma anche quello con Oscar Cullmann. «Lo studio della fenomenologia del linguaggio divenne una delle molle che spinsero poi il giovane Silvano a dedicare tutto il suo ministero allo studio diretto della Parola di Dio – rivela oggi padre Lavelli –. Per lui era chiaro che il centro della sua ricerca, tanto a livello teorico che pratico, doveva essere “se e come si possa parlare di Dio”. Silvano aveva sempre qualcosa di penetrante da dire, con una semplicità di linguaggio disarmante nella radicalità di quanto affermava». Un'altra tessera importante dell’apostolato di questo gesuita di razza e autentico ermeneuta della Parola è stata la profonda conoscenza degli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola. Molte delle sue meditazioni divennero da subito dei best seller, come per esempio Occasione o tentazione? (libro edito da Àncora nel 2005) dedicato al tema del discernimento spirituale secondo il metodo di un gesuita a lui molto caro: Achille Gagliardi (1538-1607).

E un altro capitolo essenziale della sua intensa esistenza è stato quello di tenere a Selva di Val Gardena, in una casa dei gesuiti “Villa Capriolo”, dei corsi di lettura biblica e di discernimento vocazionale per i giovani. «Come a Milano e in Alto Adige – racconta ancora Lavelli – ad accompagnarlo era sempre il suo confratello e compagno di tante scalate sulle vette dolomitiche Filippo Clerici (1935-2008), morto tragicamente in un incidente in montagna sul Grignone a 73 anni. Entrambi vivevano queste proposte pastorali sentendosi veramente degli “apostoli inviati” e il fatto di essere sempre in due a proporre le lectio era anche un primo messaggio che si voleva comunicare. Il servizio della Parola come la guida negli Esercizi Spirituali ha avuto per loro questa priorità: aiutare le persone a leggere, attraverso la Scrittura, le reali situazioni del mondo attuale e aiutarle nel contempo a leggere se stesse e portarle così all’incontro con Gesù».

Un’eredità, quella di padre Fausti, a giudizio di Beppe Lavelli, non solo costruita sul primato della Parola di Dio ma anche su un altro pilastro: quello di aver dato «importanza ai legami fraterni per l’annuncio del Vangelo». E sottolinea a questo proposito: «Tutto questo è stato testimoniato dalla sua scelta di vivere in una comunità fatta da gesuiti ma anche da laici in cui si condivideva la vita nelle sue dinamiche essenziali». Viaggiatore instancabile e predicatore di corsi di Esercizi Spirituali in tutto il mondo (dal clero di Roma con il cardinale Ruini alle missioni in Africa) Fausti ebbe soprattutto una grande consonanza spirituale con l’arcivescovo di Milano e, gesuita come lui, Carlo Maria Martini (1927-2012). «Entrambi – confida ancora Lavelli - erano persuasi che la Parola di Dio, prima di essere predicata, va ascoltata e ruminata interiormente. E avevano inoltre una comune convinzione, ben espressa da queste semplici e profonde parole di Silvano: “l’evangelizzazione si fa con l’annuncio dell’evangelo”».

La mente di padre Beppe corre agli ultimi istanti di vita del suo amico. «Il suo ultimo anno e mezzo di vita, trascorso con la malattia, aveva offerto a tutti noi, di Villapizzone e non solo, la possibilità di sperimentare la sua capacità di trasmettere affetto. Inoltre, mi ha molto colpito ed edificato il fatto che, poche ore prima di morire, dopo aver celebrato assieme l’Eucaristia, Silvano mi abbia detto: “In questi mesi ho assaggiato l’aperitivo ed è stato ottimo: che cosa non sarà il banchetto!”. Parole che rivelano la sua profonda fede nella vita eterna e il suo amore e la sua fiducia in Gesù, morto e risorto per noi».


Fonte: Avvenire



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