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Luciano Manicardi “Il tempo della verità”

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23 Giugno 2025

Ci sono segni di speranza anche nell’età anziana. Ma è necessario guardarla come una fase della vita con opportunità proprie. Può essere tempo di racconto, di integrazione, di essenzializzazione, di lentezza, di recupero dei rapporti incrinati…

La situazione dell’anziano oggi è particolarmente complessa. Il notevole allungamento della vita nel ricco Occidente porta alcuni a distinguere tra giovani-anziani, anziani, grandi-anziani e centenari. L’anzianità nasce dall’incontro dialettico tra dato biologico e variabili culturali e oggi è possibile incontrare anziani attivi e in buone o discrete condizioni di salute, sicché un approccio che veda l’anzianità solo a partire dal «meno», dalla «riduzione» o dal «rallentamento» delle capacità cognitive e fisiche si rivela inadeguato. E più che mai, con l’avanzare dell’età, si accentuano le differenze tra gli individui. Il che rende problematico un discorso sull’anzianità in generale, in quanto quest’ultima si differenzia enormemente in ciascun individuo. 

Tuttavia, una considerazione si impone circa lo statuto sociale dell’anziano oggi: la contraddizione tra l’anzianità perseguita e diffusa e, al tempo stesso, discriminata. L’estendersi della popolazione anziana si accompagna alla cancellazione dei segni che visibilizzano nel corpo i segni dell’invecchiamento. In questa logica distorta, tanto più la vita diviene longeva tanto più deve nascondersi, fingersi giovanile, mascherarsi da giovinezza vergognandosi di ciò che è. Se Cicerone elencava quattro motivi che rendono triste la vecchiaia (allontanamento dall’attività lavorativa, indebolimento del corpo, negazione dei piaceri, prossimità alla morte), oggi se ne aggiunge un altro: l’era della tecnica e dell’informatica ha reso fuori luogo l’adagio che legava vecchiaia e sapienza e vedeva nell’anziano il depositario di un’esperienza che lo rendeva elemento fondamentale nel gruppo sociale. Oggi la sua esperienza è giudicata inutile: altro è il sapere necessario e spesso sono i giovani che insegnano ad adulti e anziani a usare marchingegni tecnologici. 

Il fenomeno dell’«anziani­smo» indica l’insieme degli stereotipi e dei pregiudizi proiettati sull’età anziana che diviene discriminazione dell’anziano stesso. Discriminazione visibile a livello strutturale in politiche pubbliche e norme del mondo lavorativo che penalizzano chi è più avanti nell’età. Ma poi diventa marginalizzazione sul piano relazionale e perfino, una volta introiettato lo «stigma», disistima di sé, senso di inutilità, colpevolizzazione (essere di peso) da parte dell’anziano stesso. Dalle differenze di classe si passa alle differenze di età e il conflitto sociale diviene conflitto di generazioni: segno della biologizzazione dei rapporti sociali. 

La differenza rispetto a forme di discriminazione che riguardano l’etnia (razzismo) e il genere (sessismo) è che chi discrimina un anziano è destinato a diventarlo a sua volta. E qui vediamo l’anzianità come pietra d’inciampo proprio nel suo essere visibilizzazione della fragilità e caducità umana. Si deve parlare della scomodità dell’anziano perché memoria della fragilità che concerne tutti e che, nella misura in cui è rimossa dall’immagine della vita riuscita oggi propagandata, vuole essere cancellata così come si cerca di cancellare le rughe dal volto anziano e di relegare gli anziani in ospizi che li rendano invisibili. 

Il bel volto anziano, provato, gravato di lutti ma con dolcezza e luminosità di sguardo di Alvin Straight (l’attore Richard Farnsworth) nel film Una storia vera, di David Lynch, presenta la possibile ricchezza e fecondità dell’anzianità: intraprende un viaggio di centinaia di chilometri per andare a trovare il fratello colpito da infarto e con cui non parla da dieci anni, con un tosaerba che traina un carretto. Ha problemi di vista, cammina con due bastoni, non ha la patente, ma la vita gli ha insegnato l’essenziale: «Alla mia età – dice –, ho imparato a separare il grano dalla crusca e a ignorare le sciocchezze». 

L’anzianità riguarda dunque chi la vive, chi vede e incontra la persona anziana, e l’immaginario collettivo. Per dare segni di speranza agli anziani non basta esortare figli e nipoti a essere vicini a genitori e nonni, ma occorre uno sforzo culturale per immaginare e creare funzioni per loro. E occorre accedere a una visione dell’anzianità come una fase della vita con le sue prerogative e opportunità proprie. Può essere tempo di anamnesi, di racconto, di integrazione, di essenzializzazione, di lentezza, di recupero dei rapporti incrinati. Un tempo di verità, in cui si vive per grazia e non per dovere (Karl Barth), un tempo di passaggio dall’esteriorità all’interiorità (Jung), in cui emerge che ciò che vale è ciò che si è, al di là di ciò che si fa. Nella vecchiaia semplicemente si è. Allora l’anziano può giungere a dire il suo grazie al passato e il suo sì al futuro, pregando il Salmo 71, e inoltrarsi nel crepuscolo della vita facendo sue le parole del Nunc dimittis.

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