Gender, Queer e teologia. Intervista a Lucia Vantini
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Lucia Vantini, docente di teologia fondamentale e di antropologia filosofica all'Istituto di scienze religiose e di Studio teologico San Zeno ed è stata Presidente del Coordinamento Teologhe Italiane. La sua attività si muove all’incrocio tra filosofia della religione, teologia contemporanea e neuroscienze, con un focus particolare sul pensiero femminista, la differenza sessuale e di genere.
Anzitutto le chiediamo di aiutarci ad orientarci in una terminologia per i più non nota o almeno non chiara. Si parla di teologia gender e teologia Queer? Ci può dire in modo se possibile semplice cosa si intende e che differenze principali ci sono tra queste due teologie?
In realtà le spiegazioni di queste categorie sono ormai ovunque e pienamente accessibili. Le persone che ancora non hanno le idee chiare probabilmente hanno delle resistenze o delle paure che impediscono loro di avvicinarsi a questi temi. In ogni caso, se repetita iuvant, ricordiamo che le teologie di genere nascono dal riconoscimento che la nostra corporeità è sessuata e che ciò influenza pensieri, parole e interpretazioni sociali e politiche in modo non sempre giusto. Anzi, spesso si tratta non solo di stereotipi ma di vere e proprie violenze simboliche e pratiche che tradiscono le vite concrete. La categoria di "genere" ci aiuta ad accorgercene e a decostruire tutto questo.
La teoria queer si connette alle prospettive di genere ma è più radicale, perché assume una categoria insultante facendola diventare una vera e propria epistemologia trasformativa: “queer”, infatti, era originariamente un insulto contro le minoranze sessuali. Riappropriandosi del termine, le teorie queer mirano a scardinare completamente le categorie identitarie fisse, creando spazi di libertà per chi non si conforma ai binari previsti. Se il gender distingue tra sesso biologico e ruoli sociali, il queer va oltre, mostrando che esiste sempre uno spazio terzo inassumibile dai binomi tradizionali e arriva fino a proporre un’identità instabile e fluida.
Lei pone come premessa per un discorso corretto la distinzione tra "gender" e "ideologia del gender", che è spesso usata in modo peggiorativo per denigrare e respingere a priori qualsiasi riflessione sulle questioni di genere. In positivo invece cosa può portare la riflessione sul concetto di "genere"?
"Ideologia" indica situazioni che tradiscono la complessità del reale, come ha spiegato papa Francesco: «la realtà è più importante dell'idea». Esiste un’ideologia gender? No, se ci riferiamo a coloro che usano questa categoria in chiave decostruttiva, come spiegato prima: si tratta di non dare per scontato che cosa sia “maschile” o “femminile”. Questo non è ideologia, è intelligenza.
Per esempio, sappiamo bene che tenere dentro di sé un’altra vita riguarda solo le donne, ma non possiamo da questo dedurre che la cura della vita sia solo femminile. Il dramma di questo sbaglio è sotto gli occhi di chiunque: un mondo violento ed egoista che non si assume mai la responsabilità del dolore inflitto ai popoli, alle vite considerate sacrificabili e alla natura. In positivo, la riflessione sul concetto di “genere” permette di vigilare contro linguaggi escludenti, di impedire determinismi biologici, di riconoscere che le parole non solo descrivono ma creano realtà, e di aprire spazi di inclusività e di giustizia per chi non si conforma agli stereotipi dominanti e per coloro che vivono nella debolezza del mancato riconoscimento.
Entrando un po' più nello specifico, quali sono i tratti salienti della teologia di genere e quali vantaggi può apportare al pensiero teologico nel suo insieme?
La teologia di genere presenta una funzione critico-decostruttiva che smantella stereotipi irrigiditi nel discorso religioso, un'attenzione alla performatività del linguaggio (le parole creano realtà), un'ermeneutica situata che riconosce la parzialità di ogni sguardo, e una valorizzazione dell'esperienza quotidiana come soggetto di riflessione. I vantaggi per la teologia sono significativi: un volto di Dio non patriarcale e una maschilità non sacralizzata, maggiore inclusività ecclesiologica, visione antropologica complessa e arricchita, e connessione tra riflessione teologica e urgenze di giustizia del presente. Questo approccio non relativizza la verità, ma la pluralizza riconoscendo che ogni discorso emerge da una posizione incarnata che chiede discernimento e condivisione.
Una delle obiezioni più radicali al concetto di gender e più incompatibile con l'attuale dottrina del magistero, è che darebbe adito ad una autodeterminazione della propria sessualità. In pratica il compito dell'umano non sarebbe quello di ri-conoscere ciò che si è (un dato precostituito) ma piuttosto di deciderlo (in modo creativo) da sé stessi. Lo dico in modo ancora più netto: da creature diverremmo creatori?
La critica muove da un fraintendimento. Non si tratta di plasmare il proprio corpo secondo una coscienza capricciosa o attraverso una volontà superba e arrogante. Basta entrare in contatto con storie concrete, per capire che si tratta di percorsi molto più complessi. In ogni caso, non si tratta di autodeterminazione assoluta ma di riconoscere che non abbiamo mai una relazione immediata con la corporeità: ci appelliamo sempre a ordini discorsivi per significare l'esperienza.
La vera questione è distinguere tra ciò che è dato e ciò che è destinale: essere biologicamente maschi o femmine non dovrebbe portare a deduzioni automatiche sul futuro psicologico ed etico di una persona. La creaturalità è destinata alla fioritura del sé, secondo modi e processi abitati dal mistero divino a cui noi cooperiamo: siamo custodi responsabili del nostro essere, non esecutori passivi di un programma predefinito e scritto chissà dove. Ciò non vuol dire che tutte le possibilità sono aperte, ma che il divenire è previsto nella creaturalità stessa, abitata dallo Spirito fin da subito.
Passiamo alla teologia queer. Come riporta nei suoi testi, la prospettiva queer apporta una "preziosa forza decostruttiva degli stereotipi espliciti ed impliciti dell'ordine simbolico cristiano". Cosa c'è di prezioso in questo percorso?
Il prezioso contributo della prospettiva queer sta nell'apertura di uno spazio terzo e indecidibile che impedisce di ridurre tutto a logiche binarie rigide. Svela la violenza dei sistemi normativi mostrando come certe categorie possano "ferire a morte" le esistenze. Apre varchi di libertà sottraendosi dalle definizioni rigide, interroga l'universalità delle norme rivelando come il "naturale" sia spesso costruzione storica.
Nel contesto cristiano significa interrogare rappresentazioni stereotipate di santità, modelli rigidi di genere, esclusioni operate in nome della "natura". Non mira a distruggere ma a liberare la vita dalle formule stereotipate, permettendo a ogni differenza di essere riconosciuta nella sua dignità.
Nel concetto di queer la persona intesa come un dinamismo, come un'identità che non è fissa, che la persona è essenzialmente peregrina. Secondo lei questa immagine dell'umano è fedele a quella che ci viene dalla scrittura?
Certamente. Questa visione è fedele alla Scrittura che ci dipinge come viandanti, sospesi tra l’origine e il compimento ci sono i nostri passi e le orme della storia. L'immagine dell'umano fatto "a immagine e somiglianza" di Dio dice proprio questo: siamo immagine di Dio, ma la somiglianza si costruisce nel tempo della libertà, che ci è donato. Noi siamo divenire.
La Scrittura presenta costantemente l'umano in cammino: Abramo verso una destinazione sconosciuta, il popolo nel deserto, Gesù senza "dove posare il capo", i discepoli chiamati a seguire strade sempre nuove. Lo Spirito aiuta a far memoria creativa, riconoscere eredità e farle fiorire. Questa visione dinamica non nega la consistenza dell'identità ma la sottrae alla fissità: l'identità cristiana è relazionale più che sostanziale, si costruisce nell'incontro.
Una comprensione più piena, più completa dell'umano abilita ad una comprensione più piena del divino. Le prospettive gender e queer hanno un impatto sul modo di pensare Dio e in particolare il Dio dei cristiani?
Sì, l'impatto è significativo. Nel nostro ordine simbolico si è sedimentata un'immagine patriarcale di Dio che rinforza ingiustizie tra i generi. Il problema non è che Dio sia Padre, ma l'uso sessista delle metafore maschili che esclude il mondo femminile.
Le prospettive di genere contribuiscono a dinamizzare l'immagine di Dio - pensarlo come Verbo attivo piuttosto che sostantivo statico, sviluppare teologie relazionali, integrare dimensioni corporee e cosmiche. Non si tratta di femminilizzare Dio ma di liberarlo dalle gabbie patriarcali per riscoprirne la ricchezza inesauribile che abbraccia e trascende ogni differenza. Dio come mistero che eccede ogni definizione e accoglie ogni vita nella sua pienezza.
Il turbamento nasce perché toccare l'interpretazione della differenza sessuale significa andare a toccare qualcosa di cruciale, simbolicamente inaggirabile. Il timore è segno di intelligenza, la paura invece chiude e diventa violenta verso vite che si presentano diverse da come le avevamo previste.
Le resistenze hanno radici multiple: minaccia ai sistemi di potere consolidati, paura dell'ignoto quando le certezze vengono messe in discussione, resistenze inconsce legate all'ordine simbolico dominante. Spesso si reagisce a caricature piuttosto che ai contenuti reali. Noi non siamo Dio e non sappiamo cosa certe vite siano nello sguardo amorevole e creativo divino. La sfida è distinguere tra timore intelligente e paura paralizzante.
La chiesa ha sempre avuto enormi problemi con il tema del desiderio; la teologia queer può portare ad una stagione di pacificazione su questo conflitto?
Non credo che la teologia queer da sola risolverà il problema del desiderio nella Chiesa. Ci servono sinergie multiple perché il problema è sistemico. La Chiesa ha sempre avuto difficoltà con il desiderio, riducendolo alla sfera sessuale e opponendolo alla spiritualità. Si è creata una scissione tra spirituale e corporeo, pubblico e privato.
Il paradosso è che la Chiesa vive dei desideri del popolo ma poi li sequestra, non li restituisce arricchiti alla vita. La teologia queer può contribuire mostrando che le identità sono dinamiche, la diversità è ricchezza, l'esclusione impoverisce tutti. Serve una trasformazione verso un'etica della vulnerabilità, una spiritualità incarnata, una pastorale dell'accompagnamento che riconosca: la vita è più importante delle nostre definizioni.
L'intervista a Lucia Vantini è realizzata da Paolo Vavassori in collaborazione con Giorgio Gervasoni.