Paolo Crepet, l'affondo sulle famiglie di oggi: «Rapporto tra generazioni disastroso, figli cresciuti col solo diritto all'eredità»
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Il 25 marzo sarà a Brindisi, al teatro Verdi, il 26 marzo a Gallipoli, al teatro Italia, e l’11 aprile a Bari, al Teatroteam: lo psichiatra, sociologo, educatore e saggista, Paolo Crepet, porterà sui palcoscenici della Puglia il suo "Mordere il cielo".
Cosa significa “Mordere il cielo”?
«Significa cercare di non abbassare gli occhi su uno schermo allontanandosi da tutto, ma preoccuparsi per la crisi che stiamo attraversando. Una crisi che non è fatta solo di armi e di morte, ma anche di qualcosa che sta accadendo nella nostra quotidianità. È questa la grande scommessa: capire che mondo vogliamo».
Cos’è per lei il cielo?
«Quello che hanno perduto molti. C’è una delle canzoni più straordinarie del dopoguerra che nel ritornello recita: “Nel blu, dipinto di blu”. Adesso, tornasse in vita Domenico Modugno direbbe: “Ma che state facendo?” Lui ha indicato la via maestra, la speranza. Lui che da ragazzo senza soldi, del Sud, in cerca di fortuna, è riuscito a trovarla proprio guardando il cielo. E cos’è, poi, che l’ha reso famoso nel mondo? Quella speranza, quelle nuvole, quell’azzurro, quel sole. Beh, oggi mi pare che tutto questo non sia di moda».
Questi per lei sono “tempi bui”, in cui “qualcosa è andato storto”, come ha detto anche uno dei fondatori dell’IA, Samuel Harris Altman?
«Loro stessi credo che se ne accorgano, al di là di qualcuno che guarda solo i trilioni che guadagna ogni minuto. I grandi della Terra, uomini e donne, hanno sempre fatto qualcosa per gli altri, non si interessavano solo alla propria gloria. Ma adesso le cose sono un po’ cambiate».
Guarda con perplessità e pessimismo all’innovazione tecnologica?
«L’innovazione tecnologica è sempre una cosa interessante, dalla ruota fino a oggi. Ma, come per ogni cosa, bisogna fare delle valutazioni, capire cosa ci guadagniamo e cosa ci perdiamo. Se crediamo che tutto avvenga per un futuro radioso, o siamo scemi o siamo ingenui. Non mi pare che sia un futuro radioso aver chiuso tutte le edicole, i cinematografi, le biblioteche comunali, certi locali in quanto luoghi in cui stare e non solo consumare, come i bar frequentati dai vecchi per giocare a carte ma anche raccontarsi la vita. Questo io non lo chiamo miglioramento. E non perché sia un pessimista, sono semplicemente una persona ben informata».
Auspica un ritorno ai vecchi valori?
«Non auspico un ritorno indietro nel tempo. Non sono un passatista,la sto chiamando da un iPhone, infatti. Ma penso che un piatto di orecchiette vada fatto e consumato possibilmente in compagnia. Se, poi, lo spedisce Amazon è un’altra cosa. Capisco che ci sia qualcuno che ne abbia degli interessi, però credo altrettanto che gli interessi di una sola persona - per quanto miliardaria - non sempre coincidano con quelli del suo popolo».
Quanto, secondo lei, la società odierna si pre-occupa del futuro?
«Oggi si sta diffondendo una cultura che è riassumibile in alcune frasi semplici: “Io ho tutto ciò che mi necessita. Io sono a posto”. I padri pensano di avere fatto il loro dovere perché lasceranno un appartamento ai figli. Pre-occupiamoci, invece, ogni tanto del nostro Paese che è un disastro. Una generazione che cresce con un solo diritto, quello all’eredità, è una generazione dalle radici marce, è come la Xylella».
Cosa pensa del rapporto tra genitori e figli?
«Il rapporto tra le generazioni è diventato da preoccupante a disastroso. Basta guardare cosa fanno le madri, i padri che trattano i bambini come se non fossero persone. È una cosa raccapricciante. I bambini e i ragazzini sembra che non sappiano più fare niente in quanto noi adulti gli togliamo qualsiasi responsabilità, anche di fronte al dolore, alla morte. E, infatti, le favole servono a questo, se non ci fosse poi qualche altro che vuole trasformarle in politicamente corretto».
Quindi lei è un fan delle favole tradizionali rispetto a quelle nuove, decostruite?
«Sì, le preferisco. Così come preferisco i Beatles ai Maneskin. Però è una questione di gusti».
In tutto questo buio, vede uno spiraglio di luce?
«Io non fabbrico la luce, quindi non so rispondere a questa domanda. Credo dipenda dal mondo che uno vuole. Se il mondo è stare su un divano in comfort zone, allora arrangiatevi. Il mio unico potere è quello di ricordare in che mondo viviamo».
In “Mordere il cielo”, dice di voler invecchiare da romantico. Crede sia possibile nonostante i “tempi bui”?
«Beh, sì. Una persona rimane gentile, anche se il mondo va così. Si può continuare a essere gentili nonostante i colloqui di guerra che sono in corso».
di Serena Simone
Fonte: Bari Corriere
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