Marinella Perroni "La pratica della soglia: Michela Murgia teologa"
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Dire chi sia un teologo non è facile. Ancor meno lo è nel caso in cui non si tratti di un chierico, ma di un laico o addirittura di una laica che, almeno in Italia, raramente possono esercitare l’insegnamento teologico. Solo dopo il Concilio Vaticano II, infatti, anche la chiesa cattolica – e perfino nel nostro Paese – ha aperto le porte delle sue Facoltà teologiche, che restano comunque rigorosamente ecclesiastiche, a uomini e donne non candidati al sacerdozio. Inteso non più come requisito richiesto per l’ordinazione sacerdotale, e riservato di conseguenza esclusivamente a maschi, lo studio teologico ha cominciato ad acquisire una configurazione maggiormente accademica, come accesso a un sapere che, nonostante ancora faccia fatica a trovare una sua collocazione accanto e in relazione agli altri saperi, comincia però finalmente a perdere l’aura clericale che lo aveva caratterizzato fino ad allora. Una volta iniziato, il processo di declericalizzazione della teologia è andato avanti, sia pure a piccoli passi e non senza difficoltà. Dopo il Concilio il numero di laici che hanno chiesto l’accesso al cursus maior, che può comportare anche otto-dieci anni di studi per arrivare al dottorato, è stato crescente. Anche di donne. Per venire poi incontro all’esigenza sempre più diffusa nel laicato di maturare una seria consapevolezza di fede e di qualificare la propria appartenenza alla vita della chiesa, le diverse Diocesi italiane si sono dotate di Istituti di Scienze Religiose che progressivamente hanno acquisito un profilo più accademico perché collegati a una Facoltà teologica. In alcuni casi, come spesso attestato da chi ci insegna, questi Istituti si sono rivelati come veri e propri centri di promozione di cultura teologica grazie alla presenza di un laicato fortemente motivato, interessato alle problematiche teologiche e capace di riflessione critica. È questa la cornice nella quale dobbiamo collocare Murgia-teologa.
In realtà, in lei la passione per la teologia nasce molto prima dell’iscrizione all’Istituto di Scienze Religiose della Diocesi di Oristano, perché fin da bambina e ininterrottamente lungo tutta la sua vita è stata una credente a cui la fede ha dato da pensare: «…è impossibile, mi dicevo, che Dio mi abbia dato il cervello per non usarlo. Se la fede non risponde alle domande che mi tormentano, come posso farne il timone della mia vita?» (God Save the Queer. Catechismo femminista, Milano, Feltrinelli, 19). Anche per questo a vent’anni segue di buon grado il suggerimento di un sacerdote, che aveva intuito il suo interesse per la teologia e, in particolare, per la teologia femminista, e si iscrive all’Istituto di Oristano.
Nell’Azione Cattolica
Poco dopo, altre aspettative la spingono ad attraversare il mare, a fare il salto dalla Sardegna al continente: iscritta all’Azione Cattolica, ne diviene dirigente e questo la porta a un tempo di permanenza a Roma. Si rinsalda in lei l’istanza di fondo che l’aveva spinta a iniziare gli studi teologici e che l’accompagnerà in tutte le successive tappe della sua biografia sia esistenziale che intellettuale: liberare la fede ricevuta dalle tante mistificazioni che l’hanno rivestita di superstizione e dotarla di quella dimensione critica che, radicata nella conoscenza della grande tradizione del pensiero teologico, rende la fede forza di liberazione per tutti. Lo attesta il suo testamento intellettuale, Ricordatemi come vi pare (Milano, Mondadori, 2024), in cui continuo è il riferimento alla dimensione teologica della sua fede, del suo pensiero, del suo impegno politico, ma anche, d’altra parte, alla dimensione esistenziale della sua teologia. Da questo punto di vista, l’appartenenza all’Azione Cattolica è stata determinante: «Vocazione per me l’AC lo è stata davvero: allo sguardo libero, anticarismatico, refrattario a ogni confusione tra la luna e il dito che la indica, anche quando il dito era l’associazione stessa» (Ricordatemi, 113-114).
Per lei, pensare teologicamente è stata e sarà sempre l’espressione di una fede ecclesiale. Militante, non però nel senso muscolare woytiliano che, nei decenni del postconcilio e soprattutto in Italia, ha puntato a rafforzare forme di cattolicesimo integralista e intransigente e ha invece tenuto ai margini se non addirittura allontanato istanze critiche in grado di garantire alla chiesa la laicità necessaria per essere, evangelicamente, «nel mondo senza essere del mondo».
Non a caso, gli anni in cui è stata dirigente dell’Azione Cattolica sono stati per lei tempo di crescita nella libertà, di formazione a una fede vissuta in modo responsabile e palestra di democrazia. Da allora, Murgia non cesserà mai di essere una credente che mira a tessere, con sé stessa e con chiunque altro, un dialogo sulla fede in grado di farne risaltare la sua forza di lievito. Per la vita individuale, ma anche per la vita del mondo. Per questo, nel suo libro più espressamente teologico, God Save the Queer, affermerà senza mezzi termini che «la persona credente non è un soggetto illogico che subisce l’esperienza di fede sul piano emozionale o istintivo, ma qualcunə che è in grado di spiegare le sue motivazioni spirituali e che anzi, deve ritenersi sempre prontə a farlo» (God, 19). E, in conclusione del suo testamento: «Non c’è un giorno della mia vita in cui non ricordi di essere stata credente» (Ricordatemi, 314).
Una fede fondata teologicamente significa allora andare ben oltre il catechismo perché richiede la volontà e la capacità di combinare criticamente il patrimonium fidei veicolato dalla grande tradizione biblico-teologica con la realtà di chi la professa e dell’epoca in cui egli vive nonché con la consapevolezza della complessità del rapporto tra fede e storia e tra chiesa e mondo e, quindi, della vicenda ecclesiale che di tale rapporto è espressione privilegiata. Per questo la teologia ha sempre avuto, anche quando era caratterizzata da forte carica di astrattezza, un versante politico. Se la teologia di Murgia è animata da una dichiarata intenzionalità politica, ciò non dipende da un suo capriccio, ma dal fatto che la teologia è sempre stata e non può che essere politica, negli infiniti modi e con le infinite sfumature che ciò può significare. Altrimenti la fede è devozione, la spiritualità è intimismo, la testimonianza è autoreferenzialità. Altrimenti è fuori dalla tradizione ecclesiale.
Nel progetto di Dio
Presentare dettagliatamente l’impianto del pensiero teologico di Murgia non è comunque facile, data la genialità della prospettiva, la ricchezza della stratificazione, la solidità dell’articolazione. A dimostrazione che non sempre è la professionalità a garantire un impianto, ma soprattutto perché l’andamento teologico del suo pensiero e della sua scrittura è altamente performativo, non è una cornice e neppure un valore aggiunto, ma impregna i suoi scritti, siano essi di narrativa o, ancor più, di saggistica. Per questo Murgia non solo può essere definita teologa senza paura di essere smentiti e in grado, per di più, di tenere saldamente in mano le redini di un pensiero teologico che non si impantana mai nelle pericolose derive di concettualizzazioni fini a sé stesse, astratte dalla realtà e che rifuggono da ogni forma di presa in carico della storia: «Sono cattolica e il mio incontro con Dio è un incontro nella storia, non fuori dalla storia. Tutto quello che ho fatto nella vita l’ho fatto nella convinzione di stare dentro il progetto di Dio» (Ricordatemi, 314).
Più precisamente ancora, Murgia è prima di tutto una biblista. In Ricordatemi come vi pare più volte torna sull’importanza fondamentale che ha avuto per lei lo studio dell’esegesi biblica. Dall’applicazione allo studio della Bibbia del metodo semiotico, Murgia ha infatti saputo cogliere l’essenza stessa dell’esegesi che le ha insegnato «la natura strategica della significazione, a più strati» (Ricordatemi, 75) ma, d’altra parte, è proprio dalla pratica esegetica che ha imparato anche a «osservare tutta la realtà in modo esegetico, cioè cercando le profondità stratificate che ci sono in ogni situazione» (Ricordatemi, 208). Ancora una volta il suo approccio persegue un continuo andamento di andata e ritorno tra la realtà e la sua interpretazione, anche teologica, e per questo, per lei l’esegesi biblica non ha rappresentato solo l’ambito privilegiato per lo studio del testo scritturistico, ma piuttosto l’acquisizione di un metodo di comprensione del reale, un modo di guardare il mondo che si è a sua volta tradotto in un metodo per narrarlo: «la mia esperienza di esegeta non è finita mai e mi ha consentito di guardare cercando le profondità, anche in situazioni apparentemente superficiali, per andare a scavare qualcosa di più di quello che si vedeva» (ib.). E si capisce bene quanto sia stata proprio la pratica dell’esegesi biblica a vaccinarla contro ogni tipo di fondamentalismo, sia scritturistico che dogmatico: «la Bibbia, la gabbia più strutturata e duratura di tutte, poteva essere smontata e rimontata in modo liberatorio» (Ricordatemi, 29).
La seconda particolarità dell’orizzonte teologico di Murgia sta nel tentativo di coniugare i contenuti della fede cattolica, da una parte, con la prospettiva femminista e, dall’altra, con quella queer.
Sulla teologia femminista di Michela Murgia si dovrebbe scrivere un trattato. Prima di tutto perché è di quelle poche femministe e teologhe che hanno capito che la teologia femminista non è un prodotto del movimento e del pensiero femminista ma che, al contrario, uno degli ingredienti originari del femminismo è stato proprio la teologia. Non femminile o al femminile, come in tanti pretenderebbero di addomesticarla, rendendo la teologia femminista una nuova versione dell’apologetica con cui da sempre la riflessione teologica ha preso in scacco le donne: Murgia ha capito che non sarà mai il paternalismo che ci salverà dal patriarcato e che una teologia è femminista solo quando elabora una o più teorie critiche che sostengono il superamento delle ingiustizie. Di tutte, di cui però a quelle nei confronti delle donne vanno riconosciuti carattere strutturale e funzione trainante.
Coniugando fede e femminismo
Nel momento in cui, alla fine del XIX secolo, la saldatura tra la messa in crisi del patriarcato e la battaglia per i diritti delle donne, in particolare per il diritto al voto, ha ingenerato la consapevolezza che lungo i secoli la Bibbia era stata posta a fondamento degli assetti sociali patriarcali, donne credenti, impegnate nella battaglia per il diritto di voto, hanno avviato un’interpretazione critica del testo biblico finalmente in grado di liberarlo da secolari letture androcentriche. Innanzi tutto all’interno del mondo protestante statunitense, ma con grande rapidità ovunque teologhe o anche donne credenti di tutte le chiese mettevano la Bibbia al centro della loro teologia. Oltre che dare il suo contributo all’interno dei Women’s Studies o dei Gender Studies, l’esegesi e la teologia critica femminista hanno sempre conservato il loro originario carattere militante, radicato nell’analisi del costrutto biblico-teologico che per secoli è servito da legittimazione per l’esclusione delle donne dalla vita delle istituzioni. Anche per Murgia il passo dall’esegesi biblica alla teologia critica femminista è stato molto breve e, dato il suo forte senso di appartenenza alla chiesa cattolica, anche la responsabilità di una critica esplicita dell’istituzione: «Come si può essere femministə persino attivistə quando si ha fede nel Dio il nome del quale si inginocchia un sistema religioso così patriarcale e inflessibile al cambiamento culturale? Come conciliare le proprie certezze spirituali con il dubbio di stare collaborando al mantenimento di un’istituzione maschilista plurimillenaria, che pratica la discriminazione nelle sue stesse strutture, prima ancora che nella sua dottrina?» (God, 3).
È poi quanto mai importante rilevare che per Murgia il tentativo di coniugare le istanze della fede e quelle del femminismo non si risolve essenzialmente in una proposizione di intenti, ma in un vero e proprio orizzonte teologico, cioè nella capacità di ripensare i contenuti fondamentali della dottrina cristiana, quelli a carattere dogmatico, con il coraggio critico della prospettiva femminista. Per lei il femminismo non comporta la rinuncia al bagaglio dottrinale cattolico né tanto meno l’opportunistico silenziamento di quanto di esso potrebbe risultare scomodo. Da questo punto di vista God Save the Queer è esemplare: Murgia non si limita a denunciare, ma si propone di andare al cuore delle questioni, e lo fa con quella capacità che, da sempre, caratterizza l’autentica riflessione teologica perché è in linea con la logica stessa della fede, cioè con la sua attinenza alla storia e la sua finalità missionaria, e smaschera l’ipocrisia di posizioni di convenienza.
Gesù, Messia queer
Infine, anche la Queerness è diventata per Murgia una categoria, oltre che sociologica anche teologica, perché le domande indotte dal superamento del binarismo come paradigma vincolante della definizione non soltanto della sessualità, ma di tutta la realtà, intesa per di più nella sua dimensione creaturale, chiamano in causa anche la fede. Per Murgia, in fondo, la teologia deve servire a «smontare i tentativi di limitare Dio a una sola forma e una sola definizione» in quanto lo riconosce come Totalmente altro (God, 12). Non nel senso convenzionalmente riconosciuto a questa definizione di altro rispetto all’umano, ma nel senso di perennemente altro anche da ogni categorizzazione binaria: «la queerness come pratica della soglia è adatta a ragionare di un Dio trino che nella Persona di Cristo ha detto ai suoi “Io sono la porta” (Gv 10,7-10)» (God, 12). Senza sminuire le difficoltà di avere a che fare con «la categoria umbratile del queer, che è inclassificabile, mobile, ontologicamente incertə, sfuggente e quindi pericolosamente fuori controllo» (God, 12), Murgia insiste sul fatto che la pratica della soglia rappresenta il cuore stesso della teologia quando mette a tema la dinamica trinitaria che ingenera la «consapevolezza di avere a che fare con un Dio che è tre volte amore in relazione non gerarchica» (God, 83); quando rende ragione del fatto che Gesù «è un Messia queer nel vero senso della parola, cioè eccentrico, insolito, nell’etimologia originaria tedesca anche un Messia “di traverso”, diagonale rispetto alle linee rette tracciate dalla società teocratica in cui vive» (God, 110s); quando rende palese che lo Spirito è la «persona della Trinità meno determinabile secondo i nostri parametri, più caotica, senz’altro la più queer nel senso etimologico del termine ... l’agire imprevedibile dello Spirito è annunciato da Gesù proprio con la categoria del disorientamento, del suo non poter essere circoscritto» (God, 89).
Ma anche a mettere in luce che «Se ci pensiamo bene, la Chiesa ha il copyright del lessico della famiglia queer. I termini di padre, madre, fratelli, sorelle, la Chiesa per prima li ha applicati alla comunità cristiana» (Ricordatemi, 247). Del tutto evidente: ha cominciato l’apostolo Paolo ad applicare ai componenti della comunità cristiana l’appellativo di fratelli, ma è ormai da secoli prassi delle diverse famiglie religiose.
È infine Murgia stessa ad aprire una discussione sulla sua teologia quando afferma: «Oggi c’è molta ricerca: la teologia non esiste, esistono le teologie, approcci culturali ed esegetici molto diversi» (Ricordatemi, 115). Ciò risuona come un invito a far uscire la teologia dai regimi intellettuali in cui troppo spesso viene confinata, ma anche a guardare a qualunque teologia con occhio critico. Da questo punto di vista, il processo di declericalizzazione della teologia è ormai irreversibile e la sua collocazione nel confronto tra i saperi e dentro il dibattito pubblico ne è un segnale decisivo.
Forse, di Murgia teologa si può dire quello che la Bibbia dice del profeta Amos, «che non era profeta né figlio di profeti» e che «il Signore prese di dietro al bestiame» ed a cui disse: «"Va', profetizza al mio popolo Israele"» (7,14-15). Come Amos, Murgia è espressione di una teologia non di mestiere né, tantomeno, di casta. Una teologia di cui Dio costituisce non solo l'oggetto ma, soprattutto, la forza motrice. Una teologia fuori dal palazzo.
Fonte: Treccani