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Tornare al Vangelo. Conversazione con Ludwig Monti

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Tornare al Vangelo. 
Conversazione con Ludwig Monti 
di Stefano Zecchi

Rocca N° 18 
del 15 settembre 2024  

Entrare in libreria e trovare esposto un libro su Dietrich Bonhoeffer mi riempie di gioia. Un saggio edito da Feltrinelli che trasmette attenzione, interesse, desiderio… anche perché l’autore è LudwigMonti, biblista, già monaco della Comunità di Bose. Questo libro mi ha spinto a incontrare l’autore nella sua abitazione a Milano. Ludwig mi accoglie con fraternità e amicizia.
Buon giorno Ludwig, come mai questo tuo nome, Ludwig? 
A causa della passione dei miei genitori per il grande compositore Ludwig van Beethoven. 

Come abbiamo accennato, è uscito in questi giorni in libreria un tuo saggio su Bonhoeffer. Come mai questo tuo interesse per quest’uomo? Cosa ti ha colpito di questo pastore evangelico? 
Fin da quando lo conobbi oltre trent’anni fa, nella prima edizione italiana delle sue lettere dal carcere (Resistenza e resa, 1969), rimasi affascinato da due caratteristiche di Bonhoeffer: la sua capacità di ripensare il cristianesimo in modo essenziale e adatto ai nostri tempi e la sua profonda umanità. Il suo essere radicato in Gesù Cristo e nel Vangelo lo ha portato a essere profetico, cioè a leggere l’oggi di Dio con intuizioni feconde ancora 80 anni dopo la sua morte. Il tutto può essere riassunto in una domanda che lui stesso si poneva e poneva al suo amico Eberhard Bethge: «Chi è Cristo, cos’è il cristianesimo per noi oggi?». Così, quando Massimo Recalcati, direttore della Collana, mi ha chiesto di scrivere un testo sul Bonhoeffer e sulla sua eredità, non ho esitato un attimo… 

Com’è nata la tua scelta di diventare monaco di Bose e poi di uscirne? 
Non amo molto parlare del mio privato. Fin da molto giovane ho percepito la possibilità di vivere una vita evangelica radicale nella Comunità monastica di Bose e ho vissuto lì per oltre vent’anni con gioia e piena convinzione. Poi, in seguito a eventi successi nel 2019-2020 – di cui anche le cronache hanno parlato –, ho semplicemente ritenuto opportuno prendere le distanze, perché non ritenevo più che la mia parabola esistenziale potesse continuare in quel luogo. Non ritenevo più che la mia felicità e fecondità fosse possibile in quel luogo e che lì potessi esprimermi in pienezza, per la piega che le cose stavano prendendo. Così, senza rancori ci siamo lasciati, come dovrebbe avvenire in una separazione tra persone adulte. 

Come vedi il futuro del monachesimo? … e il futuro della Chiesa? 
Due domande ampie e da affrontare separatamente… Mi richiamo ancora a Bonhoeffer. Come ben sai, nella tradizione luterana il monachesimo non era ben visto. Lui però negli anni ’30 del secolo scorso sosteneva che l’esperienza monastica può essere una possibilità di ritornare all’essenziale della vita secondo il Vangelo, per ripartire con piccole comunità ed essere lievito e sale per il mondo. Credo che in parte sia vero: delle piccole oasi possono servire come polmoni per dare fiato e respiro alla Chiesa e al mondo intero, per uomini e donne sempre più stanchi e affannati, in cerca di senso. Per quanto riguarda il futuro della Chiesa, il discorso sarebbe più complesso. Mi limito a sottolineare l’importanza di seguire il magistero di papa Francesco e le sue indicazioni. In particolare, due mi paiono gli elementi sui quali focalizzarsi: anzitutto il suo testo del 2013 Evangelii Gaudium, ricco di intuizioni evangeliche, un testo veramente magistrale; inoltre, il Sinodo che stiamo vivendo e di cui sarà celebrata un’altra sessione il prossimo ottobre. Se vi partecipiamo con convinzione, sarà un evento in grado di aprire delle piste nuove per il futuro della Chiesa e delle Chiese, in mezzo agli uomini e alle donne di oggi. 

Spesso ci ritroviamo ad assistere a dei cattolici senza Vangelo, che si dichiarano cattolici ma nella vita quotidiana usano un comportamento contrario all’insegnamento di Gesù. Non credi che sia necessario, oggi più di ieri, tornare alle origini, tornare alla persona di Gesù, all’annuncio del Vangelo? 
Certamente, ne sono profondamente convinto. Credo che sia importante tornare al Vangelo, perché rende ancora interessante e futuribile il cristianesimo. Altrimenti la «religione» cristiana si perde dentro a tante cose secondarie, può diventare una religione civile, una religione che finisce per dare un po’ di spiritualità alla società, ma perde quello che è il suo compito essenziale: tornare sempre di nuovo alla vita e alle parole di Gesù Cristo, che fondano anche il futuro del cristianesimo. Potremmo citare l’inizio del Vangelo secondo Marco, quello più antico: «Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio». Credo che la Chiesa, che tutte le Chiese siano chiamate a tornare, ieri, oggi e sempre, all’inizio del Vangelo per essere fedeli al compito che il Signore Gesù ha lasciato loro. 

Tu sei un biblista, cosa ti ha affascinato da giovane della Bibbia? Non credi che, oggi come ieri, la Bibbia sia messa ai margini non solo della società, ma anche nella Chiesa? Il libro più venduto e contemporaneamente il libro meno letto. Non pensi che sia utile inserire nelle scuole, al pari dell’Iliade, dell’Odissea, della Divina Commedia, la lettura, lo studio in maniera laica della Bibbia? 
Anche su questo sono perfettamente d’accordo. Fra le altre cose, insegno religione in un Liceo di Milano, il Severi-Correnti, e propongo ai miei studenti e studentesse proprio il tuo stesso ragionamento: l’importanza di conoscere laicamente la Bibbia, così come si conoscono l’Iliade, l’Odissea, la Divina Commedia. Anche perché – lo ripeto sempre ai miei ragazzi e ragazze – la nostra cultura occidentale ha due gambe: quella greco-latina e quella giudeo-cristiana. Io credo che, insieme ad altri testi fondatori, si debba riscoprire la Bibbia come Grande Codice dell’Occidente, come base della nostra cultura, in modo da avere strumenti per comprendere la nostra società attuale. Questo è assolutamente essenziale. Della Bibbia mi ha affascinato il suo essere un libro che racconta in maniera molto umana e concreta le storie di Dio. Quel Dio che la filosofia greca dipinge come il Motore Immobile e lontano, senza alcun interesse reale per la nostra vita, nella Bibbia invece viene trasmesso come un Dio che si mescola alla nostra storia, alle nostre vicende, che gioisce e soffre con noi. E lo fa richiamandoci sempre all’essenziale: la vita! 

In questi giorni ho trovato un tuo scritto di qualche anno fa dal titolo «Perché avete paura?». Nella nostra società ci sono tante paure, ma, come tu giustamente scrivi, la madre di tutte le paure è la morte. Qual è il senso della morte nella società attuale e per chi si dice cristiano? 
Di nuovo, questione molto ampia… La morte è una realtà che viene sempre più rimossa, allontanata. Pensiamo solo a com’è cambiato il linguaggio comune. Quand’ero piccolo, sentivo dire: «Quella persona è morta», oggi invece si dice: «È scomparso, è mancato, se n’è andato», con perifrasi che vogliono togliere di mezzo l’idea che alla fine tutti siamo attesi dalla nostra morte. La morte oggi viene rimossa e perciò finisce per atterrirci, per farci paura, come un nemico senza volto. L’apostolo Paolo nella lettera ai Romani scrive che «il salario, la ricompensa del peccato è la morte»: peccato, dunque morte. Secondo la grande tradizione cristiana, accanto a questa verità occorre metterne un’altra: cioè la morte è anche causa del peccato, perché ci spinge a voler vivere senza gli altri, contro gli altri, a voler arraffare per noi e a voler agire come se fossimo immortali. Insomma, la morte ci spinge a peccare, perché il peccato è sempre contro gli altri. Con la cultura greca e anche con il Vangelo dovremmo riconciliarci con l’idea che siamo mortali, finiti, in modo da affrontare con realismo «il re delle paure», come Giobbe nella Bibbia definisce la morte. Così saremo più capaci di affrontare la vita, perché è la vita ciò che ci attende ogni giorno. Si muore una sola volta, ma si vive ogni giorno!

L’anno scorso, sempre con Feltrinelli, hai pubblicato un libro, Le parole di Gesù, scritto insieme a Umberto Galimberti. Com’è nato questo rapporto che poi è diventato amicizia? 
Effettivamente quello con Umberto è diventato un rapporto di grande amicizia. Ci vogliamo bene, ci stimiamo e, compatibilmente con i nostri rispettivi impegni, quando possiamo ci vediamo a pranzo o a cena, per stare insieme in allegria. Questo rapporto è nato quando ero nella Comunità di Bose. Venne per fare una conferenza e da allora, io che avevo letto sempre i suoi scritti fin da molto giovane, non ho mai smesso di dialogare con lui. È così che, quasi naturalmente, abbiamo deciso di scrivere un libro per bambini sulle parole di Gesù. Lui ha fatto una serie di libri con Feltrinelli su varie tematiche, sui filosofi, sulle emozioni, sulle grandi domande della vita: libri sempre dedicati ai bambini e arricchiti da illustrazioni. In questo libro, ognuno dal proprio punto di vista, spieghiamo ai bambini e alle bambine di oggi chi è Gesù e perché è importante rileggere le sue parole e la sua vita. Umberto ha fatto un’ampia introduzione e io ho commentato 51 parole usate da Gesù. Questo piccolo libro ha avuto molto successo, è stato regalato per comunioni, cresime e usato anche come strumento pastorale. Di più, so di genitori che, pur non essendo credenti, hanno deciso di acquistare questo libro per far conoscere ai loro figli e figlie chi è Gesù. È un libro che vuol far capire l’importanza della figura di Gesù per la nostra cultura, al di là del fatto se siamo credenti o no. 

Ma per Ludwig Monti chi è Gesù di Nazareth? 
Per me Gesù è una figura estremamente seducente, affascinante, intrigante: un uomo che è un modello per insegnarci a pensare e a vivere le relazioni con gli altri. È quella persona dopo la quale non possiamo più andare a Dio allo stesso modo. Mi riferisco alla conclusione del famoso prologo del Vangelo secondo Giovanni, dove l’autore scrive: «Dio nessuno lo ha mai visto, ma Gesù suo Figlio ce l’ha raccontato». Giovanni usa una forma verbale greca, exeghésato, che significa tante cose insieme: ce l’ha raccontato, narrato, spiegato, rivelato. Tutti sinonimi per dire che ormai, per andare a Dio, bisogna passare per Gesù Cristo. Dunque, la ragione principale per credere nel Dio rivelato nelle Scritture è che Gesù l’ha raccontato e incarnato. Se nel Credo affermiamo che Gesù è vero Dio (e vero uomo), potremmo anche ribaltare questa affermazione, con conseguenze che forse non abbiamo ancora pienamente messo a fuoco e compreso: Dio è Gesù. 

Prima di concludere, vorrei farti una domanda diciamo più leggera. Tu sei nato a Forlì, ma com’è nata la tua passione, il tuo tifo calcistico per il Milan? 
L’amore di mio padre per il Milan mi ha trasmesso questa stessa passione, davvero molto intensa. Nel corso del tempo, in particolare negli ultimi 20 anni, vi ho aggiunto l’amore per il tennis e soprattutto per la figura di Re Roger Federer. Così dal 2020 è nata la straordinaria e inattesa avventura di collaborare con la rivista di tennis più antica al mondo Il Tennis Italiano, recentemente rinnovata in grafica e contenuti. Nei miei articoli prima ho messo in relazione Federer e la Bibbia in una rubrica intitolata «Atto di Federer». Poi, da quando il Genio di Basilea si è ritirato, più in generale cerco di collegare tennis e spiritualità in «La Bibbia del tennis». Sono percorsi apparentemente distanti ma in realtà molto più vicini di quanto si pensi… Recentemente il Direttore della rivista, il caro amico Stefano Semeraro, ha sintetizzato il tutto con una battuta efficace, che consegno ai nostri lettori e lettrici: «Bonhoeffer è il Federer della teologia». 

Grazie delle tue parole. 
Grazie a te, buona vita!










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