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Francia: crolla un altro mito del cattolicesimo del ‘900

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Ludovica Eugenio 
Tratto da 
Adista Notizie n° 28 del 27/07/2024 

È stato un trauma collettivo, in Francia e non solo, la notizia degli abusi sessuali su sette donne, tra gli anni ‘70 e il 2005, perpetrati da una figura di spicco del cattolicesimo francese del ‘900, l’abbé Pierre, al secolo Henri Grouès (1912-2007), durante la seconda guerra mondiale uno dei principali leader della resistenza francese (maquis), paladino della giustizia sociale, sempre a fianco dei più disagiati ed emarginati, fondatore nel 1949 della comunità Emmaus. Un personaggio luminoso, impegnato in campagne "politiche" basate su manifestazioni, messaggi mediatici, gesti di disobbedienza civile, scioperi della fame e altre forme di lotta nonviolenta per attirare l'attenzione dell'opinione pubblica su determinati problemi, come quando si incatenò ai cancelli della Chiesa di Saint-Ambroise (a Parigi) per solidarietà con i sans-papiers.
Ma ai tratti luminosi, che ne fecero un personaggio adorato, quasi santificato in vita, fanno sempre da contrappeso tratti di ombra. Il 17 luglio, un comunicato diffuso da Emmaüs International, Emmaüs France e dalla Fondazione Abbé-Pierre rende noto che nel giugno 2023, una donna aveva denunciato presso i responsabili gli abusi subiti alla fine degli anni ‘70, quando era ancora minorenne. L’abbé Pierre, che era un habitué della sua casa familiare, avrebbe compiuto gesti non consensuali «in modo brutale e del tutto inaspettato», ripetutisi anni dopo. Nel 2003, si era recata da lui con il padre leggendogli un testo che aveva scritto, in cui esplicitava ciò che le aveva fatto subire. Il religioso l’aveva distrutto nel distruggi documenti; poi, su richiesta della donna, le aveva chiesto scusa. 

Sulla base di quella testimonianza, Emmaus all’inizio del 2024 aveva affidato una indagine allo studio indipendente Egaé, specializzato in violenza di genere, di Caroline de Haas, fondatrice dell’associazione Dare Feminism!. Ed ecco, dopo alcuni mesi di lavoro e dodici interviste, il bilancio agghiacciante di sette presunte vittime: sei accuse di violenza sessuale e una di linguaggio sessista e richieste inappropriate. 

I capi d’accusa 

Due sono le fattispecie giuridiche sotto le quali ricadono i fatti imputati all’abbé Pierre: molestia sessuale («imporre a una persona, in modo ripetuto, parole o comportamenti a connotazione sessuale o sessista che o ledono la sua dignità a causa del loro carattere degradante o umiliante, o creano nei suoi confronti una situazione intimidatoria, ostile o offensiva», art. 222-33 del Codice penale francese) e aggressione sessuale («qualsiasi atto sessuale compiuto con violenza, costrizione, minaccia o sorpresa o, nei casi previsti dalla legge, compiuto su un minore da un adulto», art. 222-22); cinque delle persone ascoltate riportano comportamenti ripetuti (ad esempio proposte sessuali, commenti ripetuti a connotazione sessuale, tentativi di contatti fisici non richiesti, contatti non richiesti), mentre due citano comportamenti simili ma non reiterati. Una delle persone ascoltate riporta difficoltà psicologiche durate per tutta la vita. Almeno altre quattro persone sono state identificate come possibili vittime di violenze, ma al momento non è stato possibile ascoltarle. 

Il rapporto redatto dal gruppo Egaé, ovviamente, «non permette di avere una visione esaustiva di tutti i fatti che potrebbero essere stati commessi dall’abbé Pierre», si legge. «Alla luce degli elementi emersi fino a questa data, il gruppo Egaé considera che esistano probabilmente altre vittime non ancora identificate dal Movimento. Il dispositivo di raccolta delle testimonianze permetterà di offrire loro un luogo di ascolto, se lo desiderano». È chiaro che l’accesso alle testimonianze è complicato dalla distanza temporale dei fatti e dal fatto che l’abbé Pierre è morto da 17 anni. 

Una figura idolatrata 

«La dissonanza tra l’immagine dell’abbé Pierre, la sua ricerca di giustizia e di uguaglianza e il suo comportamento verso le donne crea una ferita immensa nelle persone che lo ammiravano o che ammiravano il suo impegno», afferma il rapporto. «Di solito mi difendo», ha detto una delle vittime. «Ma in quel caso, era Dio. Come si fa quando è Dio a farti questo?». «Penso che qui si tocchi il problema fondamentale della Chiesa nella rappresentazione che essa ha, che dà degli uomini che fanno il bene, che improvvisamente raggiungono uno status esterno all'umanità», ha affermato il gesuita p. Patrick Goujon, egli stesso vittima di abusi sessuali perpetrati da un prete, in una intervista a Radio RCF (18/7). «La Chiesa – ha aggiunto – ha davvero bisogno di rivedere le immagini di santità che produce. Un santo non è un uomo che ha risolto tutti i problemi dell'umanità. Noi non siamo icone, è teologicamente e umanamente impossibile. Chi può affermarlo? La nostra vita spirituale è fatta del riconoscimento di queste ambivalenze che ci portiamo dietro». 

Un cambio di mentalità? 

C’è comunque un dato che viene registrato come positivo, in questo caso, e cioè che a fronte di denunce cadute nel vuoto in passato, oggi le cose sono andate diversamente e la reazione della Comunità Emmaus è stata immediata ed efficace. «Le nostre organizzazioni rendono omaggio al coraggio delle persone che hanno testimoniato e reso possibile, attraverso le loro parole, portare alla luce queste realtà, noi crediamo loro», scrivono le tre organizzazioni in un comunicato stampa congiunto. «Ciò che riflette un cambiamento di mentalità è innanzitutto il modo in cui queste vittime parlano apertamente. Poter parlare apertamente senza essere stigmatizzate è qualcosa di nuovo. In passato alle vittime veniva chiesto di tacere», spiega Goujon. «Allora ecco cosa ha fatto Emmaüs, ha preso sul serio la denuncia di queste persone e a svolto un'indagine». 

Questo è certamente vero. Ma occorre anche sottolineare che secondo diverse testimonianze il comportamento del sacerdote era noto ad Emmaus; nel rapporto si legge che «una persona ascoltata nell'ambito dell'indagine, che conosce bene il Movimento, ha detto: "Tutta una generazione [quella degli inizi] sapeva che l'abbé Pierre aveva delle deviazioni". La persona ha aggiunto: "Non era un epifenomeno"». Una delle vittime svela che nel 1992 aveva informato i dirigenti dell'epoca dei comportamenti dell'abbé Pierre: «Gliene ho parlato. È stato nell'ufficio dove l'abbé Pierre aveva cercato di bloccarmi. Mi hanno detto “Pensavamo che si fosse calmato”. Mi hanno detto che non ero l'unica tra le segretarie di Emmaus International». Diverse persone in ruoli di responsabilità sono state messe al corrente, nel corso degli anni, ma non hanno fatto nulla. Addirittura, racconta una delle persone ascoltate, le segretarie venivano avvertite «di fare attenzione all'abbé Pierre» che, «invecchiando, aveva difficoltà a frenare i suoi istinti. Non poteva fare a meno di toccare i seni delle donne»; alle dipendenti si consigliava di non andare a trovare l'abbé Pierre da sole. 

"Un giorno ti deluderò, quel giorno avrò bisogno di te" 

Lo strazio provocato dalla notizia delle accuse nel cattolicesimo francese è molto intenso. Come la lacerazione espressa dal giornalista René Poujol sul suo sito Cath’lib (18/7), legato all’abbé Pierre da una lunga amicizia. «Sono arrabbiato, abbé. Arrabbiato con te. Mi sento più tradito che ingannato, non avendoti mai interrogato su queste questioni. Come avrei potuto osare farlo?», scrive Poujol. 
«Ricordati: l'11 aprile 2006 sono venuto a trovarti ad Alfortville. Un uomo minacciava allora di rivelare ai media che era tuo figlio biologico. Su mia richiesta, hai accettato di dirmi “la tua verità”. Mi sono impegnato a mantenere quell'incontro segreto finché (il figlio, ndt) non fosse passato all'azione. Il mio desiderio era poter darti un giorno la parola se queste rivelazioni fossero avvenute dopo la tua morte. Così è stato. Sul Pèlerin del 24 maggio 2007, quattro mesi dopo la tua scomparsa, ho pubblicato la tua testimonianza: “Lo affermo e riaffermo: mai mi è capitata alcuna unione con sua madre”. Quella sera mi chiedo: dicevi la verità?». Poujol ricorda che l’abbé Pierre affermava «Conosco troppo bene le mie debolezze e le mie insufficienze”. Poi, dopo un lungo silenzio: “Ti dirò riguardo alla mia presunta santità ciò che Giovanna d'Arco rispondeva ai suoi giudici che le chiedevano se fosse in stato di grazia: se lo sono, Dio mi ci mantenga, se non lo sono, Dio voglia mettermici». «Ti incolpo, abbé. Ti incolpo per queste donne che hai umiliato con gesti inappropriati che non erano degni di te. Non sarò io qui a giudicare la loro sofferenza! Ti do la colpa di aver distrutto così, per incoscienza, una vita di lotta contro la miseria e le ingiustizie». Il giorno in cui ho copiato nei miei quaderni di lettura questa frase di Robert Desnos, non immaginavo di doverne fare un tale uso. Ascolta te stesso parlare, abbé: “Un giorno ti deluderò, e quel giorno avrò bisogno di te”. Cerco di esserci!». Ma tu conosci, come me, nella Bibbia, questa terribile profezia di Ezechiele (18,24): “Se il giusto rinuncia alla sua giustizia e commette il male, imitando tutte le abominazioni che commette il malvagio, vivrà? Non ci si ricorderà più di tutta la giustizia che ha praticato, ma a causa dell'infedeltà di cui si è reso colpevole e del peccato che ha commesso, morirà. «Non posso dimenticare di te, abbé, quei momenti in cui alla fine della giornata mi proponevi di “restare” perché stavi per celebrare l'eucaristia su un angolo di tavolo. Non posso dimenticare questa convinzione che ti ha fatto vivere, che in ogni uomo – fosse anche l'ultimo dei farabutti – c'è un tesoro». «Non posso dimenticare ciò che mi hai fatto capire della radicalità della lotta per la giustizia venendo a sostituire troppe sdolcinatezze caritative. Perché se, come avevi scoperto, “Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli” è scritto al presente, a differenza della maggior parte delle Beatitudini coniugate al futuro, è perché il Regno è già qui, ma non possono avvalersene che coloro che conducono aspramente questa lotta». «Lo so, abbé: alcuni leggeranno nelle mie parole una colpevole indulgenza nei tuoi confronti. Perché ero e rimango tuo amico. No! Non ho alcuna indulgenza. Ma conosco il peso del male di cui nessuno di noi è libero e che c'è peccato – nel senso etimologico di sbagliare obiettivo – a lasciarsi affascinare eccessivamente da esso. Ho letto che la Chiesa di Francia ha espresso la sua vergogna e la sua compassione per le vittime. Sa come nessun'altra vergognarsi delle turpitudini degli altri. Senza mai mettersi davvero in discussione – in particolare nel suo approccio alla sessualità e al celibato ecclesiastico – perché ne va – dice – della comprensione del piano di Dio sull'umanità. Abbé, quante volte mi hai detto: “Quando si è vinta la paura della povertà, della sofferenza e della morte, allora e solo allora, si diventa un uomo libero”. Hai vissuto nella povertà. Posso testimoniarlo. Ora sei nella povertà più estrema, spogliato di quell'ultimo orgoglio che con il nostro assenso avevi portato con te nella tomba. Ora sei nudo. Definitivamente nudo? Ma che spreco, abbé, che spreco». 

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