Sabino Chialà "Oltre la coscienza"
Per concludere questo breve percorso nell’infinito spazio della coscienza, desidero fare qualche
rapida considerazione su quello che chiamerei il
“limite della coscienza”. Credo che, pur nella sua
brevità, questa riflessione abbia almeno lasciato
intuire quanto la coscienza sia importante e irrinunciabile, a vari livelli dell’esistenza, umana e
credente; quanto sia necessario resistere a tutto
ciò che ne impedisce l’esercizio: sia alle paure di
chi non vorrebbe ascoltarla, sia alle seduzioni di
chi tenta di ottunderla. Eppure, in una visione
profondamente cristiana, neppure la coscienza
è un’istanza assoluta e definitiva.
Innanzitutto non è infallibile, per cui necessita di un processo mai finito di maturazione e
purificazione, attraverso le vie che ho indicato,
in particolare attraverso la parola del vangelo e la grazia che viene dal Signore. La Lettera agli
Ebrei dice che “il sangue di Cristo purificherà la
nostra coscienza dalle opere di morte” (Eb 9,14).
E Dietrich Bonhoeffer ricorda che la coscienza
naturale ha bisogno di essere abitata dalla presenza di Cristo, che in qualche misura supera la
nostra coscienza umana:
Quando Cristo, vero Dio e vero uomo, è diventato il centro di unità della mia esistenza,
la coscienza rimane sempre ancora formalmente la voce che nasce dal mio essere autentico
e mi chiama all’unità con me stesso, ma tale
unità non si può realizzare nel ritorno alla mia
propria autonomia che vive della legge, bensì
soltanto nella comunione con Gesù Cristo. La
coscienza naturale, anche la più rigorosa, appare allora come la più empia delle autogiustificazioni; essa è vinta dalla coscienza liberata
in Gesù Cristo, la quale mi chiama all’unità
con me stesso in lui. Gesù Cristo è diventato
la mia coscienza (1).
Vi è poi il rischio che la coscienza imponga
pesi insopportabili, che schiacciano anziché liberare. L’ultima parola, dunque, anche su sé stessi, spetta non alla propria coscienza ma a Dio
che, come ricorda la Prima lettera di Giovanni,
conosce ogni cosa meglio di noi: “Se il nostro
cuore [cioè: “la nostra coscienza”] ci condanna,
Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni
cosa” (1Gv 3,20).
È quanto osservato nell’agire di Dio nei confronti dei progenitori e di Caino. Dopo averli
indotti a prendere coscienza del loro male, egli
confeziona tuniche per Adamo ed Eva, al fine
di coprirne la nudità perché il peso della loro
vergogna non li schiacci; e a Caino impone un
segno, che la tradizione rabbinica dirà essere il
Nome stesso di Dio, perché nessuno osi uccidere colui che pure ha alzato la mano contro il
proprio fratello.
L’ultima realtà, che avvolge anche la nostra
coscienza, è lo sguardo di Dio e la sua misericordia. Una coscienza davvero luminosa è dunque quella che discerne tale misericordia e le si
conforma, lasciandosene trasformare.
1 D. Bonhoeffer, Etica, Bompiani, Milano 19692, p. 205.
tratto da "Pensare e Dire" Edizioni Qiqajon
Pensare e dire… coscienza e parresia: due dimensioni essenziali dell’essere e del relazionarsi.
Con un taglio esperienziale e pratico si indicano qui percorsi che aiutino a rivisitare il proprio vissuto: i pensieri che lasciamo abitare in noi e le parole che transitano per le nostre labbra.
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Sabino Chialà (Locorotondo 1968) è monaco e priore di Bose dal 2022 a oggi. Studioso di ebraico e siriaco, si è dedicato in particolare allo studio della figura e dell’opera di Isacco di Ninive, di cui ha recentemente pubblicato la prima traduzione italiana completa della prima collezione dei suoi scritti.