Paolo Crepet «Ragazzi zombie, abbiamo insegnato l’indifferenza»
intervista a Paolo Crepet a cura di Lorenza Rapini
La Stampa 22 marzo 2024
Indifferenza. Mancanza di empatia. «Abbiamo insegnato l’indifferenza. Noi stessi siamo stati indifferenti. La tecnologia digitale ci rende indifferenti»: lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet interviene dopo la lite tra due ragazzine a una fermata del bus nel Bresciano, culminata con l’accoltellamento di una quattordicenne da parte di una quindicenne, davanti ai telefonini degli amici che, invece che intervenire, hanno documentato la scena.
«I genitori dei ragazzi che hanno osservato la scena dovrebbero parlarne con i figli, spiegare loro che si tratta di una tragedia – prosegue lo psichiatra – Dovrebbero arrabbiarsi moltissimo, non lasciar correre. A 15 anni avere tale distanza dalle cose è pericolosissimo. Serve un percorso di arrabbiatura, anche a scuola. Invece purtroppo probabilmente non se ne parlerà più in quelle scuole, magari se qualche professore proverà a parlarne arriveranno genitori a chiedere di non farlo. Siamo in un mondo algido».
Per Crepet così non va: «Bisogna avere delle passioni. Abbiamo una generazione di ragazzi-zombie. I giovani non fanno nemmeno più sesso, sono disinteressati. Non lo fanno o non gli piace. Non inseguono più l’altro. Le persone non si abbracciano: le stazioni, con chi arriva e chi va, sono i luoghi degli abbracci. Ma oggi chi si abbraccia più? Siamo indifferenti. Anche alle persone più vicine. Si manda un cuoricino sul telefono, ma questo non è stare vicini all’altro. I fidanzati si mandano messaggini ognuno dalla solitudine del suo divano. Bisogna cercarlo, l’altro, fuggire al mare, baciarsi».
«La violenza non è di genere. Certo, sono le donne a essere vittime. Ma abbiamo sbagliato a incasellare tutto, a parlare per generi, a dividere, a parlare di patriarcato cattivo e basta. La situazione è più complessa – dice ancora Crepet – Ci siamo attaccati agli stereotipi, pensando che ai aiutino a leggere la realtà. Invece ci allontanano dal capire i perché. La frustrazione è universale, non è di genere. A 15 anni si può essere molto frustrati. Il politicamente corretto è diventato una gabbia. Per esempio, un paio di giorni fa a New York volevano quasi proibire Turandot di Puccini perché c’è la geisha. Raffaello avrebbe potuto dipingere una Navitità con due donne? Forse non ha fatto in tempo. Ci stiamo incartando. Il mondo va avanti, dobbiamo guardare i suoi fenomeni. Invece, inventiamo nuove categorie per non capire il casino che abbiamo fatto».
Lo psichiatra spiega anche che i violenti, tutto sommato, e le violente, nella società sono poche. Il problema è oltre all’indifferenza anche la mancanza di speranza: «Gli hoplessness sono di più. E cosa fa lo Stato invece di tentare di combattere questo fenomeno? Toglie le tasse sull’eredità. Toglie ai giovani la voglia di sognare. Un ragazzo non andrà più a Parigi a inseguire il suo sogno, facendo il cameriere per pagarsi un alloggio condiviso con altri, avrà i soldi dell’appartamento del nonno immediatamente: perché allora andare a cercarsi qualcosa con fatica altrove? Così si uccide l’Italia. Pensiamo sempre che l’angoscia per il futuro derivi dall’angoscia per questioni materiali ma così non è. Morricone suonava la sua tromba per campare. Poi è diventato Morricone. I soldi oggi tolgono l’orizzonte ai ragazzi. E il passaggio dalla stilografica al pc ha ucciso l’empatia. Ora siamo alle coltellate, che manifestano la stessa indifferenza di chi osserva. Anche chi ha usato il coltello è indifferente. Non vede l’altro, non lo considera».
E’ possibile fare qualcosa per invertire questa tendenza? Per Crepet il lavoro da intraprendere è lungo e difficile: «I ragazzi hanno tutto: si incancreniscono, non sono più uccelli viaggiatori. Bisogna che osserviamo la realtà e ci prendiamo le nostre responsabilità. Io non mi arrendo».
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