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Mariapia Veladiano "Pace in terra" per costruire un futuro

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Come si parla del Natale se tutto, intorno a noi, sembra dichiarare il tradimento di ogni nostra speranza di uomini e donne?

“Pace in terra” cantano gli angeli. E dove. Nemmeno la terra promessa, la Terra che chiamiamo Santa, conosce qualcosa che somiglia alla pace. E del resto si può dire che mai, proprio mai la terra, nemmeno la Terra Santa, abbia conosciuto la pace. Gesù nasce dentro la violenza di un mondo poverissimo e non trova nemmeno un posto minimamente adeguato in cui essere accolto e poi, dopo che niente, assolutamente niente di male ha fatto per tutta la vita, muore della morte violenta e vergognosa di chi è colpevole, della colpa più antica e moderna, aver contestato il potere, aver agito a favore dei poveri in nome di Dio.

Aiuto, di che cosa si parla? La vertigine del Cielo che incontra la terra. Di un Dio che si fa bambino, si affida alle mani delle donne e degli uomini e se loro non lo accudiscono muore, proprio davvero muore. All’epoca di Gesù più o meno quattro bambini su dieci morivano ancora bambini, appunto. Ma non è morto di mancato accudimento Gesù, perché ha trovato Maria, Giuseppe, Elisabetta, quanti lo hanno accudito. Quindi si può. E poi? La sua nascita non è stata divisiva, diremmo oggi. Intorno a lui si sono ritrovati pastori e Re Magi. Ma Gesù che nasce non è separabile dalla strage degli innocenti. Il Natale non è una magia che fa sparire il male. È un evento potentissimo che tiene insieme i capi della storia: Dio è con noi, il male esiste e solo la conversione dei nostri cuori è una speranza per il mondo. Gli innocenti della strage muoiono perché i re del mondo, Erode o chi per lui, vogliono salvare il proprio smisurato potere. Dis-umanizzano avversari e nemici, disumanizzano i bambini. Oggi capita che chi grida rabbia e vendetta sia “normale” e chi grida il bene e l’amore sia “buonista”, esagerato, sospetto. Ma parlare dobbiamo, in nome della speranza. Che cosa resta se non coltiviamo la speranza. Nella giustizia come imperativo assoluto. Nell’amore che solo può guarire le nostre ferite e quelle di chi ci ha ferito. Ci sono mille motivi per cercare vendetta. Tanti hanno una buona buonissima ragione. C’è chi per decenni ha subito, è stato ignorato dai grandi del mondo che hanno spartito le ragioni con l’accetta dell’economia, c’è chi ha avuto così tante persecuzioni e così tanti morti innocenti che mai, proprio mai sarà possibile pareggiare il conto, c’è chi vive da sempre nel cono d’ombra della storia ed è così povero e così disperato che può pensare che tutto sia preferibile al morire lentamente di fame e malattie. Anche il terrorismo e la strage.

In un testo famoso e bellissimo il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer si poneva il problema del successo. È Dieci anni dopo, del 1943. Dieci anni dopo l’ascesa al potere di Hitler, ovvero il trionfo della “grande mascherata del male”, come la chiama. Quando “capita che i mezzi cattivi portino al successo”, cioè che il male prevalga sul bene, proprio allora non si può né essere “semplice spettatore” né “arrendersi e capitolare”. “Chi parla di soccombere eroicamente davanti a un’inevitabile sconfitta, fa in realtà un discorso molto poco eroico, perché non osa levare lo sguardo al futuro” (D. Bonhoeffer, Resistenza e resa, Queriniana: Brescia 2002, pp. 21-27).

Ecco, il futuro. Dov’è la nostra fede nel futuro? Di cristiani, certo, ma anche di persone non credenti che vivono in una comunità, mettono al mondo figli, lavorano e amano. Stiamo tutti perdendo in un momento quello che abbiamo cercato di costruire in secoli di storia e lavoro: i diritti umani per tutti, la pace come bene assoluto, la terra come casa comune. Ci sono stati tempi in cui queste parole non avevano senso. Ora ce l’hanno ma qualcosa ci corrode la speranza che si possa afferrare la mano di chi sta cadendo vicino a noi e salvarci, noi e lui. Che poi è un bel modo di vivere anche il presente, a pensarci.

Il Natale ci consegna lo scandalo della povertà e della violenza fra gli uomini e insieme la luce della speranza. Perché tanti, ricchi e poveri, hanno saputo vivere lontani dalle logiche di violenza e anche noi possiamo ancora ogni giorno farlo.


Mariapia Veladiano


Mariapia Veladiano, scrittrice, laureata in filosofia e teologia, ha lavorato per più di trent’anni nella scuola, come insegnante e poi come preside. Collabora con la Repubblica e con la rivista Il Regno.



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