Paolo Gamberini "Aggiornare Dio"
Il titolo del mio nuovo libro Deus. DuepuntoZero. 2.0 suggerisce un aggiornamento, un update, del concetto di
Dio. Il sottotitolo al libro è ripensare
la fede nel post-teismo.
Il testo è nato da una serie di incontri
di un Seminario Online (Deus dp: dopo la
pandemia) offerto durante l’anno della
pandemia, cioè dall’ottobre 2020 al giugno
2021. Durante le sedute di questo seminario è emersa sempre più l’esigenza di offrire anche a coloro che non avevano partecipato al Seminario quanto avevamo vissuto: cioè, come lentamente si stava maturando la necessità di passare ad una
nuova concezione di Dio. Allo stesso tempo orientarsi ad una concezione aggiornata di Dio che fosse in continuità con ciò
che il deposito della fede, il kerygma, ci
testimonia, senza chiudersi alle innovazioni che provengono dalle scienze in particolare, la biologia, la fisica quantistica, le
neuroscienze, così come dalla sapienza
delle altre tradizioni religiose.
Come dice Papa Francesco, questo è un
tempo che esige una trasformazione nel
modo di pensare e vivere la religione. La
coscienza di fede delle nuove generazioni
risulta essere sempre più secolarizzata,
come se Dio non esistesse più; è una generazione agnostica, indifferente. Da qui
nasce l’urgenza di come e quale Dio annunciare in questo tempo e società postsecolare. È interessante che nel frattempo – in questa società post-secolare – la
mistica e le recenti scoperte scientifiche
in fisica quantistica e neuroscienze, per
esempio, stanno dischiudendo una visione della realtà che nel suo più profondo è
compresa come connessa. Questa visione
della realtà «inter-connessa» non è solo
proposta da molti teorici della fisica quantistica, ma è sempre stata anche la visione mistica delle grandi religioni. A fondo
e nel profondo, tutta la realtà è inter-connessa e satura di consapevolezza.
Dio non è separato dal mondo
A differenza dell’ateismo del XIX e XX secolo, il post-teismo non rifiuta ogni tipo
di trascendenza, ma solo quella trascendenza in cui Dio viene concepito come
«separato dal mondo», «intervenendo» di
volta in volta con qualche rivelazione soprannaturale e azione miracolosa. Così il
teismo ha pensato gli eventi fondativi dell’Esodo e della risurrezione di Gesù di
Nazareth: interventi divini dall’alto, dall’esterno del cosmo, così interrompendo
le leggi della natura, per salvare il mondo
dalla morte.
Nella visione, invece, post-teista il cosmo
non è più concepito come fuori dell’essere di Dio ma radicalmente dentro il Suo
essere. In tal senso si parla di pan-en-teismo: espressione questa coniata dal filosofo tedesco Karl Krause (Lezioni sul sistema della filosofia, 1828) per indicare la
propria dottrina teologica, che intendeva
mediare fra panteismo e teismo. Tutte le
cose sono in Dio e Dio è in tutte le cose. Va
fatto notare che questa visione della realtà era già presente in molti autori, non
ultimo Ignazio di Loyola il quale nella contemplazione per ottenere l’amore negli
Esercizi Spirituali invita l’esercitante a vedere Dio, presente e operante in tutte le
cose.
Come possiamo comprendere le verità
della fede cristiana, dal peccato originale
alla resurrezione corporea di Gesù, dall’incarnazione del Verbo alla concezione
trinitaria di Dio, dal sacrificio della croce
alla unicità salvifica di Cristo, in modo tale
che queste verità siano intese a partire da
un concetto di «Dio» e di «salvezza» non
più teista? Come comprendere le verità
essenziali della fede cristiana alla luce di
una versione aggiornata di Dio, Deus 2.0?
cos’è il post-teismo
Ma che cos’è il post-teismo? Il post-teismo
realizza quanto già l’ateismo, ben sottolineato con l’alfa privativo (a – teismo), aveva tentato di fare, cioè di negare il «Dio»
della religione. Tuttavia, quello dell’ateismo è stato un tentativo – a mio avviso
parziale – di negazione, perché di fatto ha negato una particolare e specifica immagine di Dio, appunto quella teista, ma non
ha voluto negare la realtà di Dio, come fondo originario della realtà. Questa questione è rimasta, diciamo così, sospesa. Basti
pensare alla categoria di «trascendenza
senza alcuna trascendenza celeste» in
Principio speranza di Ernst Bloch. Si tratta
di una negazione della trascendenza del
trascendente, e non della trascendenza in
quanto tale. Il post-teismo fa sua questa
visione «immanente» di Bloch in quanto
nega il Dio trascendente del teismo, compreso come qualcuno che è fuori e separato dal cosmo, e il cosmo come qualcosa di
esterno, fuori della trascendenza.
oltre l’immagine teista di Dio
Nel criticare l’immagine teista di Dio mi
faccio aiutare in questo da Dietrich Bonhoeffer, il quale in Resistenza e resa parla sovente del Dio tappabuchi: un Dio concepito come un tutore, anzi potremmo dire un
tumore per la coscienza religiosa. Dio è
inteso come un sostegno, riempitivo delle
mancanze dell’umano. In proposito abbozzo una spiritualità che chiamerei post-secolare, attingendo dalla mistica ebraica,
recuperando il famoso concetto dello zimzum, del ritirarsi di Dio dal mondo, e facendo riferimento alle questioni sollevate
dai teorici della fisica quantistica, dai neuro-scienziati e dai biologi evolutivi, nel loro
tentativo di comprendere la sostanza della realtà. Si tratta delle grandi questioni
dell’origine dell’universo, della struttura
del reale, e per i teologi, la questione del
male che è stato uno dei punti più forti
della critica rivolta al concetto tradizionale di Dio.
Per risolvere queste varie questioni è indispensabile – a mio avviso inevitabile – intraprendere un cambiamento di paradigma nel modo di immaginare Dio. Alla luce
dei fruttuosi studi esegetici che si sono
avviati a partire dalla pubblicazione dell’enciclica Divino afflante spiritu (1943) e
dalle scoperte archeologiche, i credenti
stanno rileggendo la Bibbia con occhi nuovi, potremmo dire demitizzata, desacralizzata. I credenti stanno uscendo dall’incantesimo della fede. La Bibbia è parola
pienamente umana, e noi cristiani e con
noi anche i nostri fratelli ebrei del Primo
testamento, vediamo questo testo anche
come pienamente divino. Ma come coniugare queste due prospettive nell’approcciare il testo sacro? Mi soffermo a distinguere due modi di leggere il testo sacro.
La Bibbia non può essere ridotta a un testo di verità scientificamente verificabili,
ma è un testo destinato a divenire carne e
vita per coloro che la leggono. In essa i
credenti vedono le tracce di quel Dio che
si rivela nel più profondo della loro vita.
Riprendendo quanto detto finora è fondamentale analizzare l’immagine credente di
Gesù. La chiesa primitiva ha dato un’interpretazione della storia del Nazareno,
servendosi del linguaggio e delle categorie religiose del giudaismo del Secondo
tempio, segnato da una visione apocalittica della storia. La lettura successiva dei
grandi concili cristologici dal IV al VII secolo d.C. è stata la ricezione ecclesiale di
questa primitiva interpretazione attraverso nuove categorie culturali, provenienti
dalla cultura ellenistica. Il kerygma, infatti, deve essere continuamente ripensato,
affinché possa essere compreso in ogni
secolo. Solo così si rimane seguaci – in
modo credente ed intelligente – di quell’uomo Gesù che ha vissuto in Galilea nel I
secolo d.C.
la resurrezione senza miracolo
In questo senso è fondamentale quanto
l’apostolo Paolo afferma del fondamento
della fede cristiana. Se Cristo non fosse risorto dai morti, vana sarebbe la nostra fede.
L’approccio con cui affronto l’evento della
risurrezione è «senza miracolo». L’intento
è di fare il punto sulla storicità della risurrezione, comprendendo questo evento non alla stregua o analogo ad altri eventi mondani. La parola «risurrezione», infatti, fa
riferimento alla realtà di Dio. Se Dio è un
essere trascendente, ne segue che la realtà
della risurrezione debba essere compresa
come un evento relativo a Dio. Il carattere
storico della risurrezione, pertanto, non è
analogo a quello della tomba vuota, delle
apparizioni, e nemmeno della nascita della fede. Questi sono tutti «segni» ma non
«prove» della risurrezione. Le varie esperienze post-pasquali sono esperienze dello Spirito Santo, e quindi di fede, e ci dicono il carattere simbolico e metaforico
con cui i vangeli parlano di questi eventi,
compresa la narrazione sulla tomba vuota.
non solo Gesù
Il Gesù risorto diventa e appare come il Cristo. La distinzione tra «Gesù» e «Cristo»
permette una comprensione del termine
«Cristo» in chiave cosmica, per cui ci si
riferisce con tale termine non solo all’incorporazione dei credenti nel Corpo di
Cristo che è la chiesa, ma – seguendo Teilhard de Chardin e Karl Rahner – l’unità
di materia e spirito, divino e umano. Attraverso la rivisitazione dell’idea di mediazione, non si può isolare l’uomo Gesù dal
contesto cosmico con cui si dà la realtà di
Cristo. Sono importanti in questo senso
quegli elementi della fisica quantistica e
specialmente le riflessioni filosofiche sulla teoria quantistica che sollecitano ad una
visione cristica di tutta la realtà. Inoltre è
essenziale ripensare l’unicità salvifica di
Gesù Cristo e superare la distinzione tradizionale tra figliolanza divina e adozione
a figli, e infine rivisitare la dottrina della
impeccabilità di Gesù.
Quanto alla salvezza, in particolare la salvezza della croce, è necessario rivisitare
la parola «sacrificio» attraverso le analisi
psicoanalitiche di Massimo Recalcati sul
fantasma sacrificale. Ripensando il sacrificio alla luce della categoria di dono, sarà
possibile parlare di salvezza senza sacrificio da una prospettiva post-teista.
la dottrina trinitaria e la purificazione
dell’immagine di Dio
La dottrina trinitaria come metafora tra
Dio e il mondo permette di trascendere le
forme non duali della relazione tra Dio e
mondo. Bisogna trascendere le forme antropomorfizzanti con cui è stato pensato,
immaginato e anche creduto Dio. Per realizzare questa purificazione dell’immagine di Dio, è necessario attingere direttamente alla sua realtà, così come suggerisce Meister Eckhart, concependo la divinità al di là di ogni determinazione e limitazione, anche personale deus-trinitas, attingendo a quella realtà che Meister
Eckhart chiama il profondo, il fondo dell’anima, laddove si dà la forma più alta
dell’unità tra Dio e l’uomo che è lo spirito.
L’interpretazione metaforica della dottrina trinitaria permette, infine, di ripensare cosa significa dire che Dio è persona e
personale, e infine l’identità tra il vedere
Dio e diventare Dio.
quale preghiera?
Durante il tempo della pandemia e ora con
la guerra in Europa è tornata al centro la
questione della preghiera. Perché Dio non
interviene nella vita degli uomini? Perché
non risponde alle nostre preghiere? La maturazione della fede, anche nel modo di
concepire la preghiera di richiesta, implica un cammino di trasformazione che fa
passare dalla preghiera intesa prevalentemente come colloquio o dialogo con un
Tu ad una lenta e approfondita trasformazione dell’orante nell’essere stesso di Dio.
Noi diventiamo ciò che contempliamo; ogni
uomo, ogni donna è chiamato a diventare
Cristo, pienamente Dio.
La necessità di aggiornare l’immagine di
Dio è sottesa nella nostra comprensione
di fede. Nei primi secoli del cristianesimo, specialmente durante il periodo dei
grandi Concili come quello di Nicea e di
Calcedonia, la fede cristiana ha compiuto
una svolta determinante: dal rigido monoteismo ebraico, ad una forma relativa di
monoteismo che si è venuta poi ad esprimere nella dottrina trinitaria. L’idea dell’incarnazione fu fondamentale per attuare questa trasformazione. Tale sviluppo
non fu mai considerato dalla chiesa un tradimento della fede biblica: anzi, potremmo dire in un senso evolutivo è stato il suo
compimento. Quanto spinse nei primi secoli del cristianesimo a far evolvere l’idea
cristiana di Dio, nell’attuale svolta postteista è ciò che spinge vari autori a far
compiere alla forma monoteista della fede
cristiana un ulteriore passo verso l’oltre
di Dio. La presente rivoluzione teologica
intende ripensare il Dio senza Dio della secolarizzazione, fenomeno questo tipico
dell’età moderna contemporanea, in direzione di un aggiornamento post-secolare
dell’idea di Dio. Deus. DuepuntoZero.
Paolo Gamberini