Vito Mancuso "L'Etica come architettura sociale"
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Definisco	l’etica	“architettura	sociale”	perché	ritengo	che	senza	un'etica	condivisa	non	si	possa	
dare	un'effettiva	società,	ma	solo	una	massa	più	o	meno	informe	di	individui.	Società	viene	dal	
latino	societas	e	rimanda	a	socius,	e	noi	ci	dobbiamo	chiedere	che	cosa	rende	soci	tra	di	loro	gli	
esseri	umani	così	da	formare	un'effettiva	societas.	Una	prima	risposta	è	l'economia,	e	infatti	si	
hanno	 al	 riguardo	 una	 serie	 di	 aggregazioni	 umane	 di	 tipo	 economico	 dette	 per	 l'appunto	
società:	 società	 per	 azioni,	 a	 responsabilità	 limitata	 o	 di	 altro	 tipo	 ma	 comunque	 società.	
Queste	società	basate	sull'interesse	economico	possono	essere	molto	stabili,	ma	è	ovvio	che	
non	 sono	 tali	 da	 poter	 generare	 una	 società	 nel	 senso	 civile	 del	 termine,	 perché	 l'interesse	
degli	 uni	 è	 spesso	 in	 naturale	 concorrenza	 con	 l'interesse	 degli	 altri.	 Dal	 punto	 di	 vista	 del	
livello	 sociale	 hanno	 più	 valore	 performativo	 la	 politica	 e	 la	 religione,	 le	 quali	 già	 nel	 loro	
nome	 contengono	la	 dimensione	 sociale:	 politica	 deriva	 da	polis,	 città;	 e	 religione	 da	 religio
che	contiene	la	radice	“lg”	da	cui	logica,	legame,	legge,	le	quali	sono	la	base	della	relazione	e	
quindi	 della	 società.	 Oggi	 però	 tutti	 noi	 vediamo	 quanto	 la	 politica	 e	 la	 religione	 siano	 ben	
lungi	dal	poter	generare	un	reale	tessuto	sociale.	Si	impone	allora	la	domanda:	dove	ritrovare	
il	fondamento	del	nostro	vivere	insieme,	del	nostro	essere	o	poter	essere	una	società? 
Vi	 sono	 giorni	 in	 cui	 si	 avverte	 con	 un	 brivido	 quanto	 il	 tessuto	 sociale	 si	 vada	
progressivamente	 sfilacciando.	 Le	 possibilità	 per	 contrastare	 questo	 declino	 sono	 due,	
solitamente	 poste	 in	 alternativa	 tra	 loro:	 il	 sangue	 o	 la	 cultura.	 Ius	 sanguinis	 contro	 ius	
culturae.	Da	un	lato	la	nazione,	dall’altro	la	comunità	internazionale.	Da	un	lato	la	fratellanza	
basata	sulla	patria	(che	però	suppone	necessariamente	uno	straniero,	quando	non	addirittura	
un	 nemico),	 dall’altro	 la	 fratellanza	 basata	 sul	 sentimento	 universale	 di	 umanità	 (che	 però
suppone	altrettanto	necessariamente	una	tendenziale	ostilità	verso	l’identità	che	procede	dal	
territorio	e	dalla	nazione).	La	prima	via	è	più	facile,	la	seconda	più	difficile,	perché	la	prima	è
naturale	 in	 quanto	 si	 basa	 sull'istinto,	 mentre	 la	 seconda	 è	 culturale	 in	 quanto	 si	 basa	
sull'educazione.	Politicamente	parlando,	è	lo	scontro	tra	destra	e	sinistra.	
Io	penso	però	che,	scendendo	più	in	profondità	nell’esercizio	del	pensiero,	si	possa	percepire	
che	 si	 tratta	 di	 una	 contrapposizione	 non	 solo	improduttiva,	 perché	 divide	in	 due	la	 società
che	 invece	 necessita	 di	 essere	 riunificata,	 ma	 anche	 ultimamente	 falsa	 dal	 punto	 di	 vista	
teoretico.	 La	 contrapposizione	 tra	 natura	 e	 cultura,	 tra	 istinto	 ed	 educazione,	 è	 infatti	
teoreticamente	inconsistente.
Ragioniamo	 sull’educazione:	 educazione	 a	 che	 cosa?	 Io	 sono	 convinto	 che	 l’unica	 risposta	
giusta	 sia	 questa:	 alla	 nostra	 vera	 natura.	 E	la	 nostra	 vera	 natura	 non	 è	 quella	 di	 superficie	
determinata	 dall’essere	 nati	 in	 un	 luogo	 piuttosto	 che	 in	 un	 altro,	 ma	 è	 quella	 ben	 più
profonda	 che	 deriva	 dal	 nostro	 essere	 un	 insieme	 armonioso	 di	 miliardi	 di	 miliardi	 di	
relazioni,	a	partire	da	quelle	delle	particelle	subatomiche	che	formano	i	nostri	atomi,	dalle	cui	
relazioni	 si	 generano	 le	 nostre	 molecole,	 da	 cui	 le	 nostre	 cellule,	 e	 sempre	 più	 su	 fino	
all’armonia	dell’organismo	e	della	personalità.	
Capire	 che	 noi	in	 quanto	individui	 non	 siamo	 una	 sostanza	 unitaria,	ma	 un	insieme	 sempre	
rinnovantesi	 di	 relazioni,	 significa	 capire	 la	 nostra	 vera	 natura.	 La	 quale	 consiste	 nella	
relazione	ed	è	relazione.	Per	questo,	quanto	più	siamo	capaci	di	istituire	relazioni	vere	e	leali,	
tanto	 più	 siamo	 fedeli	a	 noi	 stessi	e	 stiamo	 bene	e	 siamo	 felici.	Vedi	alla	 voce	amore.	Non	è
questione,	 come	 qualcuno	 ironizza,	 di	 buonismo.	 È	 questione	 di	 intelligenza	 nel	 capire	 la	
nostra	vera	natura	e	di	saggezza	nel	corrisponderle.	I	più	grandi	esseri	umani	l’hanno	capito	e	
insegnato	 da	 sempre,	 così	 Socrate,	 Buddha,	 Confucio,	 Gesù.	 Dante	 l’ha	 cantato	 in	 modo	
indimenticabile:	 “Considerate	la	 vostra	semenza”,	aggiungendo	che	 tale	 “semenza”	ci	porta	a	
vivere	non	secondo	la	bruta	natura	che	ci	fa	simili	alle	bestie	che	marcano	il	territorio,	ma	per	
quella	natura	che	è	cultura	in	quanto	ricerca	del	bene	e	del	sapere:	“Fatti	non	foste	per	viver	
come	 bruti,	 ma	 per	 seguir	 virtute	 e	 conoscenza”.	 Per	 questo	 l’etica	 è	 architettura	 sociale	 e	
perseguirla	significa	preparare	nel	modo	migliore	la	casa	futura	per	noi	e	i	nostri	figli. 
Ovviamente,	 però,	 si	 può	 dare	 etica	 come	 architettura	 sociale	 solo	 se	 al	 contempo	 si	 dà
un’etica	come	architettura	individuale.	Introduco	in	questo	modo	un	concetto	un	po’	scomodo,	
forse	persino	lesivo	della	privacy	e	di	cui	ben	pochi	parlano,	che	ha	però	un	decisivo	 rilievo	
esistenziale:	la	conversione.	Non	necessariamente	a	Dio,	ma	a	un	dio	sì.	Laddove	dicendo	“dio”	
intendo	una	realtà	avvertita	come	più	grande	e	più	importante	del	proprio	io.	
Questo	“qualcosa	più	importante”	si	può	chiamare	in	molti	modi,	ma	il	punto	essenziale	è	che,	
percependolo,	si	viva	per	un	valore	diverso	e	superiore	rispetto	a	sé.	Diceva	Norberto	Bobbio,	
spesso	ripreso	dal	card.	Martini:	“La	vera	differenza	non	è	tra	chi	crede	e	chi	non	crede,	ma	tra	
chi	 pensa	 e	 chi	 non	 pensa”.	 In	 prospettiva	 di	 etica	 individuale	 la	 frase	 diventa:	 la	 vera	
differenza	non	è	tra	chi		crede	e	chi	non	crede,	ma	tra	chi	supera	se	stesso	e	chi	riporta	tutto	a	
sé.	
Quando	 Creonte	 ingiunse	 ad	 Antigone	 di	 obbedire	 alla	 legge	 che	 le	 vietava	 di	 seppellire	 il	
fratello,	lei	rispose:	“esempio	 Dio-patria-famiglia,	 oppure	 bellezza,	 giustizia,	 pace,	 ricerca	 scientifica,	 cura	 della	
natura.	 Il	 livello	 pratico	 consiste	 nell’agire	 quotidiano	 dove	 si	 manifesta	 concretamente	 se	
l’ideale	 dichiarato	 a	 parole	 è	 veramente	 autentico.	 Può	 capitare	 infatti	 che	 uno	 dichiari	 di	
vivere	per	Dio	e	poi	di	fatto	ne	utilizzi	il	nome	solo	per	il	potere.	O	che	dichiari	di	essere	per	la	
famiglia	 tradizionale	e	poi	di	 fatto	 viva	in	modo	alquanto	diverso,	per	non	dire	opposto.	Per	
questo	al	livello	pratico	la	questione	diventa:	esiste	per	me	qualcosa	più	importante	di	me	e	
del	mio	gruppo	di	appartenenza	(sia	esso	economico,	politico	o	religioso)?	La	vera	differenza,	
infatti,	non	è	tra	crede	e	chi	non	crede,	ma	tra	chi	supera	se	stesso	e	chi	no.	Tra	chi	conosce	un	
dio,	e	chi	solo	il	proprio	io.	Non	sono	nata	per	condividere	l’odio,	ma	l’amore”.	E	pagò	con	la	vita.	 Il	
suo	 esempio	 costituisce	 una	 domanda:	io,	 per	 che	 cosa	 sono	 nato?	 La	 risposta	 ha	 un	livello	
teorico	e	uno	pratico.	 Il	livello	 teorico	consiste	nel	dichiarare	l’ideale	per	il	quale	si	vive,	per	esempio	 Dio-patria-famiglia,	 oppure	 bellezza,	 giustizia,	 pace,	 ricerca	 scientifica,	 cura	 della	
natura.	 Il	 livello	 pratico	 consiste	 nell’agire	 quotidiano	 dove	 si	 manifesta	 concretamente	 se	
l’ideale	 dichiarato	 a	 parole	 è	 veramente	 autentico.	 Può	 capitare	 infatti	 che	 uno	 dichiari	 di	
vivere	per	Dio	e	poi	di	fatto	ne	utilizzi	il	nome	solo	per	il	potere.	O	che	dichiari	di	essere	per	la	
famiglia	 tradizionale	e	poi	di	 fatto	 viva	in	modo	alquanto	diverso,	per	non	dire	opposto.	Per	
questo	al	livello	pratico	la	questione	diventa:	esiste	per	me	qualcosa	più	importante	di	me	e	
del	mio	gruppo	di	appartenenza	(sia	esso	economico,	politico	o	religioso)?	La	vera	differenza,	
infatti,	non	è	tra	crede	e	chi	non	crede,	ma	tra	chi	supera	se	stesso	e	chi	no.	Tra	chi	conosce	un	
dio,	e	chi	solo	il	proprio	io.	 
 