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Vito Mancuso "Il mondo ha sete di spiritualità"

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SPECIALE JESUSMOLTE FEDI SOTTO LO STESSO CIELO

Nella gente c’è il rifiuto della religione tradizionale ma anche grande ricerca di etica e trascendenza, sostiene il teologo Vito Mancuso. Ed è ciò che la Chiesa dovrebbe offrire, a partire da una liturgia che favorisca la preghiera. Il cammino sinodale? «Le vere rivoluzioni vengono dell’alto».

Intervista di Vittoria Prisciandaro

Non insegna in un’università ecclesiastica, ha una solida formazione teologica, riesce a vivere dei suoi libri. È anche per questi tre fattori che probabilmente, quando si tratta di affrontare qualche argomento “delicato”, più di una persona passa la palla: «Chiedi a Vito Mancuso, può parlare con più libertà..». 60 anni, originario di Carate Brianza, genitori siciliani, il teologo che si definisce “post-cristiano” è stato ospite a “Molte fedi sotto lo stesso il cielo”. «Il cristianesimo è parte integrante di me e al contempo non è più l’unica spiritualità che definisce il mio credo, il mio agire, il mio pensare. Sto provando a sviluppare una spiritualità ecumenica universale».

Lei è un osservatore attento del mondo delle fedi. Cosa pensa del cantiere sinodale della Chiesa cattolica?

«Proprio per la mia posizione, ho un po’ di pudore a prendere la parola, sono con un piede dentro e uno fuori. Credo che si possa parlare fruttuosamente della Chiesa solo se, insieme, si parla del mondo. L’unione “Chiesa-mondo” è strutturale soprattutto per il cattolicesimo, che non a caso almeno dal IV secolo ha pensato se stesso non sulla base della spiritualità o dell’etica, ma del diritto. Basta guardare l’organizzazione della Chiesa a tutti i livelli, il diritto romano è la base del diritto canonico. Insomma la Chiesa non può pensare se stessa a prescindere dal mondo».

Un mondo che è senza religione…

«Ma anche palesemente alla ricerca di una spiritualità. Ci troviamo al cospetto di questa dialettica: il mondo occidentale rifiuta la religione tradizionale in cui si è configurato, sia nella forma cattolica sia in quella protestante, ma è alla ricerca di un’etica, e non c’è etica senza spiritualità. Per questo la Chiesa, secondo me, per il bene di sé e del mondo, deve avere la spiritualità come prima preoccupazione. Penso al cardinale Carlo Maria Martini, da cui ho imparato che alla base di tutto vi è la dimensione contemplativa della vita. In questo discorso è prioritario che la liturgia favorisca la preghiera. Lo dico perché durante la Messa ho l’impressione che ben poche persone preghino. Paradossalmente per pregare in chiesa vi devi andare quando non c’è la Messa» …

Come mai?

«Oggi, anche nella formazione teologica, prevale l’idea che la spiritualità discende dalla dottrina. Quindi tanta dogmatica e poca spiritualità. Anche nella catechesi in parrocchia si privilegiano le nozioni, ma i bambini hanno bisogno di introduzione alla vita spirituale. Prima di tutto c’è la vita delle persone alla ricerca di senso, del mistero, dell’incontro con l’eterno, poi le spiegazioni».

La spiritualità dunque…

«Sì, e a questo proposito vorrei fare un piccolo inciso. È fondamentale sanare la frattura di Bose. La vicenda è stata gestita male, bisognava che si trovasse un accordo, senza rovinare decenni di esperienza spirituale che hanno formato migliaia di persone. E poi occorre illuminare le altre esperienze: penso a Romena, ai monasteri, ai centri che diffondono spiritualità autentica. Cosa di cui il mondo ha bisogno. Luoghi dove andare a raccogliersi e sentire sapore dell’eterno».

Come ripartire dalla spiritualità?

«Andando via dal dottrinarismo ed esercitando la fede come pensiero. Altrimenti c’è obbedienza supina e non elaborazione: non c’è quella sorgiva libertà intellettuale che conferisce autenticità alla persona. E che è il motivo per cui uno inizia un vero cammino spirituale. La zavorra è il dogmatismo che blocca il pensiero…».
Quali sono le altre istanze, a suo parere, di cui il Sinodo dovrà tenere conto?
Vivo a Bologna da dodici anni. Qualche mese fa il cardinale Zuppi mi chiese di pranzare insieme e fare quattro chiacchiere. Parlammo appunto di spiritualità e di liturgia. E aggiunsi che occorre avere una chiarezza più che cristallina sui casi di abusi ai minori nella Chiesa. Rigore, niente sconti sulla commissione di inchiesta. Se passa il sospetto dell’insabbiatura è finito tutto. Sicuramente questo è un banco di prova».

Spiritualità, liturgia, abusi…

«Nell’elenco metterei anche le donne e i preti profetici. La Cei dovrebbe promuovere il più possibile la presenza femminile, come ha fatto l’arcivescovo di Torino che ha nominato una donna come Cancelliere. Se c’è la competenza e se è donna, che ci sia un occhio di riguardo all’interno di questa struttura dove per secoli e secoli la presenza femminile è stata sistematicamente emarginata. E poi sarebbe bello sostenere i tanti preti bravi che ci sono. Vanno valorizzati, oggi, da vivi, non quando muoiono, come è accaduto con don Milani, don Mazzolari, Turoldo, Balducci, Arturo Paoli e altri, santificati da morti ed emarginati in vita. I preti profetici vanno sostenuti da Roma adesso là dove sono. Cosa significa una Chiesa che bastona i profeti?».
Pensa che dal Sinodo universale, che sta coinvolgendo milioni di persone in tutto il mondo, verrà fuori una spinta propulsiva importante per il cambiamento?
Sono convinto che le vere rivoluzioni non partano dal basso ma dall'alto. Le fanno le élite, soprattutto nel caso della Chiesa cattolica. Come papa Giovanni XXIII che si inventò il Vaticano II. Oggi la Chiesa cattolica soffre di questa scissione: viva e vitale sulla dottrina sociale dove presenta una posizione coerente che genera un pensiero; debolissima in altri campi, tra cui la morale sessuale dove corre il rischio di essere semplicemente ridicola e mostra un’incapacità di capire il mondo».

E quindi?

«Non credo che il cammino sinodale possa giungere a conclusioni definitive, perché c’è una strozzatura nel modello ecclesiologico: la base discute ed elabora proposte, ma poi, quando si arriva alla dottrina e alle decisioni, non può fare nulla. La base non potrà mai innovare. Il vero cambiamento può avvenire solo se il cammino viene accolto da un Papa coraggioso. I cammini sinodali in corso, come quello tedesco, o producono scismi e quindi falliscono, o sono approvati da Roma e quindi fruttificano. La questione, quindi, sarà il prossimo Conclave. Tutto dipende da chi ne uscirà eletto: se ci sarà Francesco II andranno avanti, se ci sarà Benedetto XVII o Giovanni Paolo III no…».

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