Alessandro D’Avenia "Spasimante"
Innamorato. Così voglio morire. Non parlo della follia dell’inizio di una storia, ben espressa in italiano con «infatuato» e in inglese con «fallen in love», cadere nell’amore come in una buca. Innamorarsi, come qui lo intendo, non è cadere, ma far accadere, permettere ad altro (cosa o persona) di «farsi vivo» in e grazie a noi, in-amorarsi è porsi in condizione permanente d’amore, cioè di gioia.
L’innamorato, per quanto costi impegno, sceglie di avere sempre una storia d’amore con il mondo, di esserne «cotto», messo «a fuoco». Ma questo non accade per caso come crediamo oggi, tanto che poi siamo convinti che l’amore, con eguale fatalità, finirà. Chiamiamo «caso» ciò che ignoriamo e di cui vorremmo avere il controllo: come far accadere «sempre e per sempre» l’amore. Possiamo vivere un quotidiano innamoramento, senza essere degli illusi fuori dalla realtà? Bisogna «diventare» amore, cioè avere, in superficie, una pelle che si lascia «toccare» e, in profondità, un cuore «spaziale». Che vuol dire e come fare? Ho trovato risposte in una lettera ricevuta da una 35enne, risvegliata dal dis-amore (uscita dalla condizione in-amorata) dalla lettura di un libro: «Dentro di me qualcosa si è mosso, come un ingranaggio che si rimette in moto. Come un vecchio orologio trovato in un cassetto a cui si dà la carica dopo una vita, ho incominciato a ticchettare».
La lettera continua così: «Mi sono sentita come vorrei sentirmi sempre. Come se fossi nata per sentirmi così: inquieta, assetata, entusiasta, piena di speranze anche adesso che ho 35 anni e qualche sogno l’ho già realizzato. Mi sento restituita a me stessa. Volevo leggere ma il tempo non ce l’avevo. Faccio il medico e quando lavoro so a che ora entro e non so mai quando esco. Adesso però sono in maternità e ho scoperto che la mia cronica mancanza di tempo era una terribile menzogna, infatti il resoconto del mio telefono mi ha sbattuto in faccia le 2-3-4 ore di social giornaliere. 4 ore?!? Così ho deciso di non accampare scuse. Ho cancellato i social, mi sono iscritta in biblioteca e iniziato a leggere nei momenti liberi, mentre allatto, o addirittura mi ritaglio del tempo proprio per leggere. Passeggio con mia figlia, e se non ho un libro mi gusto un momento di solitudine a tu per tu con me stessa. Ora che la corrente è tornata, si può riparare l’impianto elettrico del mio cuore e non farla saltare più?».
Questa donna parla di corrente elettrica, la vita innamorata è infatti in-tensità (da tensione, energia), non intensità apparente che ci sfinisce perché è solo accelerazione (aumentiamo ritmo e numero di cose da fare ma restiamo fermi, come il criceto nella ruota). L’intensità non è iper-tensione, ma tensione tra due poli, noi e il mondo, cioè stare dinanzi a cose e persone con una precisa intenzione: partecipare al loro compimento.
I poli sono opposti non perché nemici, ma perché relativi (in relazione). Sono in-amorato se sto di fronte a qualcosa/qualcuno non per dominarlo (rendere servo), ma per permettergli di essere più pienamente. Mi innamoro: di una pianta se l’innaffio, delle parole se le scelgo, degli studenti se li aiuto a trovare la vocazione, della mia amata se la faccio sentire Amata. Quando Giovanni dice «Dio è amore: chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1Gv 4) afferma che l’onnipotenza non è dominio ma servizio al compimento di ogni creatura. Se il dis-amore è quindi l’indifferenza a questo compimento, l’odio è addirittura l’impegno a ostacolarlo.
I social non permettevano a questa donna una relazione d’amore col mondo, come infatti dice non basta che ci sia corrente, se il cuore, cioè l’a tu per tu con se stessi, salta. Se la relazione primaria, la conversazione interiore, l’amore per se stessi, è in cortocircuito, tutto il resto è vano. Eliminare i social e ricominciare a prendersi cura dell’a tu per tu è la creazione di uno spazio che permette di ascoltare, dalla vita tutta (a partire dalla propria), la richiesta di aiuto a compiersi, come il vagito del bambino.
Questo spazio per me si apre con la preghiera, parola con cui indico tutti i momenti grazie ai quali «rimango nell’amore». Senza preghiera il quotidiano innamoramento mi è impossibile, perché le mie forze sono precarie. Precario ha infatti la stessa radice di preghiera: precario è chi sa di non avere e chiede. Preghiera è allora per me tutto ciò che mi dispone a ricevere il mondo andandogli incontro: leggere, meditare, camminare, scrivere, ascoltare, cucinare...sono «passività-attive», la vita accade se le permetto di farlo, le do spazio, divento cassa di risonanza.
Social, distrazioni, informazioni sono «passività-passive», si intasa l’a tu per tu, uno spazio che chiamiamo cuore, servendoci metaforicamente non del cervello ma giustamente di un organo cavo che, in un corpo, irrora di sangue 120mila chilometri di vasi!
Ha un potenziale di dilatazione infinito come l’universo, che sappiamo essere in espansione non perché si sposti continuamente un confine, ma perché una misteriosa energia intrinseca apre nuovo spazio dall’interno. Allo stesso modo il cuore crea spazio solo se assecondiamo la sua energia interna (lo spirito da cui viene ogni in-spirazione), ma va sgombrato (fare spazio) e dedicato (dare spazio) al mondo, andando dall’a tu per tu con me all’a tu per tu con ogni cosa. Lo chiamo un quotidiano «rincuorarsi e rincuorare», entrare e far entrare più volte (ri-) nel (-in-) cuore, per rendersi e rendere le cose più vive. I Giapponesi hanno l’intraducibile termine kokoro: «mente-cuore» uniti, luogo-azione che infatti significa: centro, vita.
In questo modo amare non è «l’amore» (retorica insipida e sterile), ma mille volti e nomi amati. Se amare non «accade» grazie a me in ognuno di questi volti e nomi, ogni giorno, è perché in me non c’è spazio, dall’antica radice verbale spa-, che indicava il tendere (tensione buona: distensione) qualcosa, ampliarla, darle vita, tanto che da questa radice deriva non solo il bellissimo sinonimo di innamorato, spasimante, dis-te