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Cettina Militello "Quell’oracolo di Gioele"

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…Effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie… anche sopra gli schiavi e sulle schiave in quei giorni effonderò il mio spirito.

L’oracolo di Gioele nell’annunciare il compiersi dell’effusione universale dello Spirito, fa enfaticamente emergere un dato inclusivo: figli e figlie, schiavi e schiave ne saranno ripieni. Detto altrimenti, il carisma profetico non sottostà a discriminazioni di genere. Loquela, sogni, visioni, discernimento sapiente appartengono anche alle donne.

Le incontriamo che profetizzano nell’intero arco della Scrittura e poi nella storia della Chiesa. Ma sono ugualmente presenti in ogni esperienza religiosa – si pensi alle Sibille o alla Pizia, sacra ad Apollo. Si pensi ancora a quelle donne – sciamane, indovine, guaritrici, comunque “sagge” - che accompagnano i percorsi di popoli e culture.

Benché escluse dalla prassi sacrificale – ed anche questa sembrerebbe una costante interreligiosa – partecipano anch’esse del dono dello Spirito. I disposti sociali e cultuali che le discriminano, negando loro soggettualità e parola, cadono dinanzi alla sua forza. Non lo ostacola l’imbecillitas sexus. Se mai la sua esuberanza la dissolve.

Certo – e lo si è fatto – si potrebbe anche cogliere nel dono profetico delle donne una sorta di contiguità a quella imprevedibilità, a quella loquela alogica, a quei fenomeni non riconducibili al razionale che le discriminano. Contro questa lettura, palesemente misogina (e ostile allo stesso Spirito), sta il tratto saggio, sapiente, lucido, efficace della profezia delle donne.

Ciò appare già nell’Antico Testamento. Innanzitutto vi emerge la “naturalezza” della profezia delle donne. Profetessa è, ad esempio, la moglie di Isaia e l’affermazione non ha bisogno di glosse esplicative. Poi l’“autorevolezza”, il loro autorevole discernimento. Tale è il caso di Hulda (vedi Alessandra Buzzetti a pag. 25), la profetessa a cui è rimesso il giudizio circa l’autenticità del ritrovato libro della Legge . In quel tempo operano non pochi profeti in Israele ed è davvero sconvolgente che ci si affidi a una donna, la quale dovrebbe, a ragione del suo sesso, essere incolta e del tutto inadeguata a quanto le si chiede. E di discernimento, attraverso una sorta di rappresentazione oracolare, può parlarsi anche a proposito della donna di Tekoa chiamata, appunto, per indurre Davide a non vendicarsi del figlio Assalonne che ha ucciso il fratello Amnon. Diversa, ma pur prossima, nella capacità di leggere la storia della salvezza e cantare l’agire misericordioso di Dio, la locuzione profetica di Anna, madre di Samuele. Il suo canto trova eco nel Magnificat di Maria di Nazaret.

E come dimenticare, dopo il prodigioso passaggio del Mar Rosso, la sorella di Mosè: «Allora Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un tamburello: dietro a lei uscirono le donne con i tamburelli e con danze. Maria intonò per loro il ritornello…» . Il suo ruolo nella vicenda esodiale è rimarcato, dopo l’episodio che assieme ad Aronne la vede parlare contro Mosè, dal sostare dell’accampamento sino a che non sia mondata dalla lebbra che la colpisce per sette giorni. [vedi Ami-Jill Levine a pag. 16]

Nel Nuovo Testamento, accanto a Maria di Nazaret - Girolamo la individua come profetessa proprio a partire dal Magnificat - stanno la vecchia Anna che vive la sua vedovanza non allontanandosi dal tempio e le quattro figlie di Filippo. Non abbiamo niente che ci ragguagli, tranne l’additarle come profetesse. Ma la gamma tutta intera del carisma profetico è individuabile nel Magnificat, canto di lode, riconoscimento della fedeltà del Dio dell’alleanza, sguardo utopico su un futuro a venire nel quale saranno ribaltate le regole dell’umano vivere così estranee al disegno di Dio.

Indipendentemente dalle complesse questioni esegetiche, nel porlo sulle labbra della Madre del Signore l’autore del vangelo lucano dell’infanzia ha voluto dare di lei un ritratto teologico e teologale. E, credo, che più dì ogni altra cosa risalti, accanto alla spiritualità dei “poveri del Signore”, il lucido giudizio sulla storia, l’indomita certezza del farsi definitivamente prossimo del Dio dell’alleanza. Queste testimonianze, certamente esigue, nell’ovvietà con cui ci vengono trasmesse ribadiscono la costante della profezia femminile. Che d’altra parte l’epistolario paolino conferma.

Purtroppo, una certa diffidenza – si pensi alle profetesse montaniste - produrrà quell’esilio dello Spirito che, a tratti e ripetutamente, pare contrassegnare la storia della Chiesa. Ma, ciò malgrado, la profezia delle donne non si spegne. Si pensi a Ildegarda di Bingen, e ad altre ancora.

Va anche detto che a un certo tornante della storia, la loquela profetica è l’unica possibilità di parola offerta alle donne. Possibilità pericolosa che può anche condurle alla morte (Margherita Porete ne è esempio eclatante). E, tuttavia, allorché la si riconosce, essa diventa vaticinio, scienza, mistica, teologia, sapere, presa di parola nel senso più ampio del termine. Si tratta nella maggior parte dei casi di una loquela attenta al presente che ne mostra gli errori, le incertezze, spronando la comunità a un rinnovato sentire evangelico, a una rinnovata purità. Esemplare in questa chiave santa Maria Maddalena de’ Pazzi nelle sue Lettere della renovazione, probabilmente mai pervenute ai destinatari, ma quanto lucide in un tempo di cruciali trasformazioni. Con strumenti più espliciti, esponendosi in prima persona, questo hanno fatto ancor prima Brigida di Svezia e Caterina da Siena. In esse locuzione profetica e locuzione mistica si intrecciano insieme al giudizio sul presente, non senza uno sguardo aperto al futuro. La profezia delle donne è intrisa di presente, di sguardo critico sul presente e proprio perciò apre al futuro Essa trova forme molteplici, non poche solidali alle stesse donne in tempi che rimangono loro avversi. Non a caso, epigono della mistica medievale, delle figure profetiche avanti l’età moderna – come dimenticare Giuliana di Norwich e la sua statura teologica? – è la “profezia dei bisogni”, ossia quel farsi carico di piaghe sociali quali l’infanzia abbandonata, le donne di malcostume, le orfane, le malate, le incolte umanamente e religiosamente… Un immane sforzo fondativo vede sorgere tra il secolo XVIII e il XX istituti e congregazioni religiose nell’intento di porre fine a intollerabili situazioni di malattia morale e sociale, spesso acquisendo come leva, come punto forte proprio l’istruzione delle donne. A dar loro vita sono figure singolari che faticano a essere ascoltate e che, tenaci e caparbie, resistono a pressioni d’ogni tipo pur di corrispondere al soffio dello Spirito. Potremmo anche dire che, a un certo punto, alla loquela profetica subentra la profezia fattuale e in forme sempre nuove. Purtroppo essa perde nel tempo l’originario spessore mistico e teologico. Bisognerebbe ripercorrere la storia della spiritualità per mostrare cadute di tono imputabili non tanto alle donne quanto all’idea di Chiesa di tempo in tempo elaborata. E bisognerebbe anche capire – e questo vale per l’oggi – che i bisogni mutano e intestardirsi a mantenere vivo ciò che è morto, non riconvertire il carisma, non solo è negazione della profezia, ma è peccato contro lo Spirito...

Oltre le inevitabili ombre, nella complessità di storie e persone, la profezia delle donne permane. E non solo nel filo rosso dell’illuminatismo, spesso perseguitato, comunque vincente nel far spazio a una esperienza di Chiesa meno ingessata, meno autocentrata, meno trionfalistica…

Dalle profetesse montaniste, passando per l’eresia di Guglielma e Maifreda, si arriva alla Riforma radicale, alle profetesse ugonotte, alle profetesse metodiste, al rinnovamento dello Spirito come fenomeno interconfessionale e trans-religioso.

La profezia delle donne è oggi presente nella Chiesa attraverso l’istanza di riforma, nella ricerca di autorevolezza nuova, nell’impegno teologico e culturale. Se le profetesse di un tempo, visionarie o no, ci si sono rivelate teologhe, la loquela profetica delle donne corre ora nell’appassionato loro interrogare le Scritture, nel rivisitare e ri-orientare la teologia a tutto campo, nella lettura attenta della storia, nell’utopia di una umanità finalmente sororale e fraterna, aperta al soffio dolce e gagliardo, gioioso e pacificante, mai, mai omologante, dello Spirito di Dio.

di Cettina Militello
Direttrice della Cattedra Donna e Cristianesimo, Pontificia Facoltà Teologica Marianum


Fonte: L'Osservatore Romano 1 ottobre 2022

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