Esequie reali e fosse comuni belliche. La morte (non) è una livella
Abbiamo una tradizione poetica ispirata dal poema I sepolcri di Ugo Foscolo, che ci mette in guardia dall’assuefazione all’anonimato oltre la morte. Chi ha un nome e ne rivendica la dignità non può dimenticare quanti ne sono privi. E non si tratta, come nel poema foscoliano, soltanto delle persone illustri, ma di ognuno di noi, che merita di essere sepolto e ricordato col suo nome proprio. Un filosofo come Jean-Luc Marion, richiamando lo pseudo-Dionigi, riferendosi al nome indicibile di Dio, insegna che: «Colui che non si nomina, ci nomina»«Colui che non si nomina, ci nomina».
Il riferimento che Marion porge, contestato da Derrida e dal suo decostruzionismo, è che siamo stati battezzati nel nome, del Padre e Figlio e Spirito Santo, e in quel momento, l’innominato o l’innominabile ci da un nome, quindi un’identità. Questo gioco paradossale tra il non-nome e il nome ci deve interpellare di fronte all’anonimato delle tante vittime. Aggiunge il filosofo: «Per teologia dell’assenza non intenderemo più ormai la non presenza di Dio, ma il fatto che il nome che si dà a Dio, che dà Dio, che si dà come Dio (tutti questi passaggi vanno tenuti insieme senza essere confusi) ha per funzione di proteggerlo - perché la debolezza designa Dio tanto bene quanto la forza - dalla presenza e donarlo come se ne fosse eccettuato».
Ciò contro cui siamo chiamati a resistere è la tendenza alla rassegnazione dell’anonimato, mentre il messaggio che si orienta a partire dalla persona, rivendica la necessità del 'nome proprio'. Se qualcuno mi chiedesse: dov’è Dio oggi? A Londra nel solenne funerale di una regina o nelle fosse comuni determinate dalla guerra? Non avrei esitazione né dubbio nel rispondere che Dio è qui ed ora.
E se un solenne funerale ci aiuta a pensare, oltre la religione civile, alla fede di Elisabetta II e al tempo stesso a illuminare con questa fede la croce dei derelitti affossati, allora forse dobbiamo continuare a pensare, con Totò, che la morte è una livella perché ci inchioda al pensiero del senso di questa vita e della giustizia e della pace che in essa dobbiamo realizzare, ma al tempo stesso ci apre all’altra vita, che crediamo 'eterna'.