Venendo alla religione, anche il suo concetto è, a mio avviso, triplicemente configurato. La prima accezione designa le chiese e i loro riti, dottrine, obbedienze. La seconda designa la religiosità interiore, il sentire del cuore, il sentimento complessivo della vita detto spiritualità. La terza rimanda al senso originario del concetto latino di “religio”, che non è religioso in senso stretto bensì sociopolitico, in quanto indica il collante mentale che fa sentire “soci” gli esseri umani tra loro portandoli a formare una “societas”.
Di quale di questi tre concetti di religione noi abbiamo bisogno? Certamente del terzo, perché la sua assenza (oggi conclamata) sgretola il vivere civile: senza religio infatti non c’è societas, né tanto meno civitas. Gli antichi lo sapevano bene, visto che il secondo re di Roma, Numa Pompilio, diede all’urbe appena fondata una religio civilis per ottenerne compattezza morale e forza militare. E Roma divenne una divinità ed ebbe la storia che tutti sappiamo. Oggi invece noi come siamo messi? Heidegger descriveva così la situazione: “Il mondo sovrasensibile dei fini e delle norme non suscita e non regge più la vita. Quel mondo ha perso da sé solo la vita: è morto. Questo è il senso metafisico dell’affermazione «Dio è morto»” (da La sentenza di Nietzsche: “Dio è morto”, in Sentieri interrotti, La Nuova Italia, p. 233).
Oggi la morte di Dio, come scomparsa di fini e norme condivisi, è ancora più evidente rispetto ai giorni di Heidegger. E la nostra società si indebolisce sempre più. Forse è il segno che siamo destinati all’estinzione, come molte altre civiltà prima di noi? O forse è l’inizio di una grande trasformazione per una nuova “epoca assiale”? Io non lo so, credo nessuno lo sappia.
Per quanto riguarda gli altri due concetti di religione, il secondo configura la religione come fatto privato e a questo livello entra in gioco la più bella definizione di religione che io conosca, opera del matematico e filosofo inglese Whitehead: “Religione è ciò che l’individuo fa della propria solitudine”. Solitudine designa qui l’interiorità di ognuno, e a questo livello la situazione è sempre la medesima: qualcuno sente il bisogno di collegare la sua solitudine al senso complessivo del tutto e quindi di avere una religione, altri invece no, nessun collegamento e nessuna religione. Come mai? Da cosa dipende? Non lo so, di certo però non è l’ignoranza a istituire il legame e non è la conoscenza a strapparlo, perché altrimenti non si spiegherebbe la fede di scienziati come Planck, Heisenberg o di Fabiola Gianotti, l’attuale direttrice del Cern di Ginevra.
Rimane infine il primo concetto di religione, quello che rimanda alle religioni istituite. La dimensione comunitaria in realtà è essenziale al fenomeno umano in quanto tale, ed è proprio nella natura sociale che risiede l’ambiguità degli umani e quindi anche l’ambiguità delle loro religioni. L’aggregazione e il relativo senso di appartenenza può infatti generare socialità positiva sotto forma di comunità, movimento, chiesa, eccetera, ma può anche avere effetti negativi contrapponendo tra loro le varie istituzioni in aperta rivalità e anche appiattendo la libertà del singolo sul conformismo comunitario.
Visto però che ci troviamo nelle Giornate della laicità vorrei concludere con un padre del pensiero laico quale fu Norberto Bobbio. Durante la sua esistenza egli si definì sempre estraneo alla fede: “Io non sono un uomo di fede, sono un uomo di ragione e diffido di tutte le fedi” (“MicroMega” 2/2000, p. 7). All’indomani della sua morte però, il 10 gennaio 2004, su questo giornale venne pubblicato un testo, oggi noto come Ultime volontà, in cui Bobbio scrisse: “Non mi considero né ateo né agnostico. Come uomo di ragione non di fede, so di essere immerso nel mistero che la ragione non riesce a penetrare fino in fondo, e le varie religioni interpretano in vari modi”. Queste parole descrivono un rapporto fede-ragione del tutto diverso rispetto all’impostazione dominante. Di solito infatti si ritiene che la fede introduca al mistero, mentre la ragione ne faccia piazza pulita. Bobbio capovolge la prospettiva: è la ragione a comprendere che siamo “immersi nel mistero”, rispetto al quale le diverse religioni sono interpretazioni tutte imperfette. Egli supera così i due contrapposti dogmatismi, quello razionalista e quello fideista, e tanto la ragione quanto la fede appaiono impossibilitate ad afferrare il senso ultimo della vita. È la cosiddetta “dotta ignoranza”. Il che ci insegna che non dovremmo più dividerci tra chi crede e chi non crede, ma piuttosto unirci nell’esercizio del pensiero, con mitezza, senza nessuna volontà di primato, al fine di pensare e comprendere noi stessi “immersi nel mistero”.